Un esempio di violenza intimidatrice, non a caso sul giornale della Fiat. Potremmo anche chiamarlo “indicazioni dalla procura”, comprensive di “consigli” su chi e come “isolare” dentro il movimento da parte del movimento stesso. Del resto, Caselli & co. da 40 anni a questa parte non sono mai andati oltre la triade concettuale “irriducibili-pentiti-dissociati”.
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Tutte le anime del mondo No Tav
a cura di massimo numa
Torino
Nella notte tra lunedì e martedì scorso, un gruppo di attivisti «No Tav» con il volto coperto ha attaccato il cantiere della Torino-Lione a Chiomonte, lanciando molotov e provocando danni per 100 mila euro. Gli autori , se identificati, rischiano l’accusa di tentato omicidio. A quale area politica appartengono?
Secondo gli investigatori, potrebbero essere un mix di persone provenienti dalle varie frange estreme del movimento. In particolare dal segmento anarco-insurrezionalista radicato nel Comune di Exilles, collegato a elementi che hanno basi nel Canavese, Cuneese e a Torino. Anarchici che non si riconoscono nella Fai ma autonomi, in bilico tra la protesta violenta e l’eversione. Attivisti dei centri sociali torinesi, in particolare Askatasuna, che hanno messo radici in Val Susa, specie a Bussoleno. Forse si sono aggregati a loro anche studenti delle Superiori della Val Susa, molto radicalizzati e indottrinati dagli «istruttori» adulti, anche ultracinquantenni.
Che rapporti hanno con i Comitati No Tav e con i portavoce storici?
Esiste un doppio binario. Se le strutture orizzontali e le assemblee dei comitati No Tav decidono che una manifestazione avrà caratteristiche pacifiche, questi estremisti si adeguano e seguono le direttive comuni. Ma negli ultimi mesi hanno deciso di agire in modo autonomo, spesso sorprendendo gli attivisti storici, ignari delle loro iniziative di lotta, sempre più simili ad azioni in stile paramilitare. Non annunciano i raid, non usano telefoni per comunicare appuntamenti e modalità e non usano i social network. La logica è quella di una struttura composta da attivisti selezionati e fidati.
Il movimento No Tav, che si definisce «pacifico ma determinato», approva questo modus operandi?
I singoli attivisti, che erano in prima linea sino al 2005 e oltre, in genere no. Non condividono il tipo di azioni, essendo più inclini a far valere le proprie ragioni con argomenti tecnici e le manifestazioni di massa che hanno caratterizzato le passate stagioni, foriere anche di innegabili successi.
Ci sono state dissociazioni chiare dall’ala violenta?
I portavoce storici o hanno scelto di tacere o hanno di fatto avallato la deriva estremista, spesse negando i fatti accaduti. Alcuni, pubblicamente, hanno definito gli scontri con centinaia di feriti una «fiction giornalistica» e gli arresti il frutto di una campagna di criminalizzazione del movimento. Gli slogan per definire il quadro sono questi: «Si parte e si torna insieme», «Siamo tutti black bloc» e altri simili.
Da tempo, nel mirino degli estremisti ci sono anche i lavoratori del cantiere. C’è stata un agguato ai danni di un operaio rimasto ferito. È una posizione condivisa dalla maggioranza degli attivisti?
Assolutamente no. Il movimento No Tav è composto al 90% da uomini e donne di ogni categoria sociale e di idee politiche diverse, fondamentalmente pacifiche, rispettose della legge e prive di una cultura di natura violenta e intollerante. Tanti sono contrari al progetto dell’Alta Velocità poiché ritengono che la Val Susa, in termini ambientali, abbia già pagato un prezzo altissimo. Sono loro che animano i cortei, colorati, pieni di famiglie con i bambini, che organizzano incontri o dibattiti. Sono l’anima vera della protesta che vorrebbe un confronto aperto con la politica, assente nei primi anni della vertenza, quando forse il dialogo era ancora possibile.
Gli estremisti si possono definire «infiltrati» ?
No. Chi, di fatto, orienta e guida le mosse degli attivisti, considera autonomi e anarchici parte del movimento. Sono quelli che hanno pagato il costo umano e giudiziario più alto, che hanno affrontato la parte più dura della vertenza, che si sono messi a disposizione per portare avanti un conflitto sociale e politico sempre più aspro, impossibile da gestire da parte degli attivisti di sempre.
Il successo del Movimento 5 Stelle in Val Susa, con le sue posizioni dichiaratamente No Tav, ha cambiato il movimento?
Decisamente sì. Ora i No Tav, che da sempre avevano tutti i partiti contro, hanno una forte rappresentanza in Parlamento, anche all’interno dei partiti storici. Molti attivisti, anche tecnici di alto livello, hanno dato con fiducia un mandato pieno ai parlamentari di Grillo. Ma i segmenti delle frange più estreme non intendono lasciarsi omologare dalla politica tradizionale e si sono ancora di più isolati, sottraendosi ad ogni controllo.
C’è rischio di fenomeni di natura eversiva?
Gli analisti sono convinti che questo sia uno scenario possibile. L’apertura del primo vero cantiere dopo ventitré anni di lotta è stato uno choc. C’è un clima diffuso di disperazione e di frustrazione. Di sfiducia verso la politica ufficiale e verso le cosiddette «barricate di carta». Il modello scelto dai violenti ricorda da vicino quello praticato nei Paesi Baschi, in Spagna. Gli autonomisti hanno scelto la strada degli attentati e del sabotaggio dei cantieri. Il loro slogan è molto semplice: «Non ci sono governi amici».
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