Il 2020 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello mondiale – a pari merito con il 2016 – e il sesto di una serie consecutiva eccezionalmente calda. Secondo il Copernicus Climate Change Service (programma di osservazione della terra dell’Unione Europea) il 2020 ha fatto registrare 1,25 gradi centigradi in più rispetto al periodo preindustriale, proprio come avvenne 4 anni fa.
Per il direttore di Copernicus, Vincent-Henri Peuch: «Fino a quando le emissioni non si ridurranno a zero, l’anidride carbonica continuerà ad accumularsi e a condizionare ulteriormente i cambiamenti climatici».
Dunque, il CO2 in atmosfera è in continuo aumento e, nonostante le limitazioni sugli spostamenti imposte in molti paesi a causa della pandemia da coronavirus, non ci sono state riduzioni rilevanti di anidride carbonica e degli altri gas che causano l’effetto serra.
L’aumento della temperatura media globale ha causato prolungati periodi di siccità e la moltiplicazione di grandi incendi che hanno colpito duramente vaste zone del pianeta. E’ quel che è successo in Siberia dove sono andate a fuoco enormi foreste di conifere con la conseguente liberazione nell’atmosfera di circa il 30% di anidride carbonica in più rispetto all’anno precedente.
E sono state immagini impressionanti quelle che abbiamo visto sul web ed in tv degli incendi occorsi in Australia a gennaio 2020. Colonne di fumo altissime, fiamme che divampavano tra gli alberi e spesso arrivavano fino alle case, il cielo di un intenso arancione e i corpi carbonizzati degli animali che non riuscivano a fuggire alle fiamme.
Peraltro, proprio il premier australiano Scott Morrison, come Trump e Bolsonaro, fiero negazionanista dei cambiamenti climatici e schierato, senza riserve, a favore del carbone e delle fonti fossili, non aveva voluto assumere alcun impegno significativo in ordine agli obiettivi di Parigi 2015 di ridurre le emissioni di gas serra australiane, che hanno visto, invece, un continuo incremento negli ultimi quattro anni.
E, al di là delle dichiarazioni ad effetto, non è che il nostro paese abbia fatto e faccia molto meglio in tal senso. L’italianissmo “Piano Integrato per l’Energia e il Clima”, inviato alla Commissione europea in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999, a gennaio 2020, è davvero scarsamente ambizioso essendo ancora incentrato, in buona parte, sul gas fossile.
Ed altrettanto impressionanti sono state le immagini degli incendi che hanno messo in ginocchio la California, la scorsa estate, e che hanno raggiunto dimensioni da record. Secondo i maggiori esperti di variazioni del clima, gli effetti del riscaldamento globale sono direttamente collegati allo sviluppo di incendi più numerosi e vasti ed hanno avuto un peso rilevante in ambedue i casi.
In uno studio, pubblicato su Advancind Earth and Space Science, gli scienziati hanno analizzato proprio le connessioni tra i cambiamenti climatici di origine antropica e gli incendi nello stato della California.
L’effetto più evidente del riscaldamento globale è la minore umidità dell’aria che fa seccare la vegetazione e rende molto più facile lo sviluppo di incendi estivi, specialmente nelle zone forestali. Le temperature eccezionali delle ultime estati hanno californiane hanno contribuito, inoltre, a ridurre le dimensioni dei ghiacciai, fattore che, a sua volta, contribuisce a seccare la vegetazione.
Secondo quanto riportato dal Guardian, quest’anno, soltanto nell’oceano Atlantico, si sono verificati 29 tra uragani e tempeste tropicali: si tratta di un record e, per la comunità scientifica mondiale, il notevole incremento di questi fenomeni meteorologici eccezionali, nel corso del 2020, è certamente correlato all’aumento delle temperature causato dal riscaldamento globale.
La più grande deviazione annuale della temperatura media rispetto al periodo di riferimento è concentrata sull’Artico e nella Siberia meridionale dove, sovente, ha superato i 6 gradi centigradi. Questo non solo ha determinato un notevole ritardo nella formazione dei ghiacci, ma ha anche causato lo scioglimento del permafrost, l’aumento dei livelli dei mari e la modifica delle correnti oceaniche.
Purtroppo l’aumento di 1,25 gradi centigradi è molto vicino alla soglia massima di 1,5 gradi centigradi indicata dall’Accordo di Parigi del 2015. Il servizio meteorologico nazionale britannico, Met Office, sostiene che, nel 2021, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera sarà più alta del 50% rispetto al periodo precedente alla rivoluzione industriale(1850-1900).
Per aumentare quei livelli del 25% ci erano voluti più di 200 anni. Quei numeri sono invece aumentati fino a quasi il 50% soltanto negli ultimi 30 anni.
A novembre del 2018, l’ONU ha lanciato l’allarme definitivo, accompagnato da una sorta di ultimatum: se non ci fermiamo entro il 2030, il mondo, per come oggi lo conosciamo, non esisterà più. Se non verranno limitate drasticamente le emissioni di gas serra, il riscaldamento globale potrebbe superare la soglia di 1,5 gradi fra 10 anni, ovvero, nel 2030.
E’ lo scenario più grave tratteggiato dal rapporto dell’ONU-IPCC(Intergovermental Panel on Climate Change) commissionato all’IPCC dalla Conferenza di Parigi del 2015 e frutto di due anni di lavoro svolto da 91 ricercatori di 44 paesi diversi che hanno esaminato 6.000 studi sulle variazioni del sistema climatico terrestre determinate prevalentemente da interferenze antropogeniche (DAI, Dangerous anthropogenic interference), provocate dall’emissione in atmosfera di alcuni gas.
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