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Le elezioni spiegate ai gatti

 

In un articolo – Il marxismo spiegato ai gatti – apparso sull’Unità nel 1946 all’interno della rubrica Gente nel tempo, Calvino scriveva di essere stato a casa di un compagno scrittore e di aver notato come un gatto e un cane dormissero insieme e di aver sentito giustificare la cosa facendo ricorso all’educazione marxista.

Da questa spiegazione ebbe inizio uno straniante ragionamento nel quale s’ipotizzava che la tradizionale inimicizia tra cani e gatti fosse una leggenda reazionaria per impedire l’unità e l’emancipazione degli animali domestici. Calvino giunse, così, a questa prima conclusione: «[…] propendo per una concezione dell’uomo come non staccato dal resto della natura, di animale più evoluto in mezzo agli altri animali, e mi sembra che una tale concezione non abbassi l’uomo, ma gli dia una responsabilità maggiore, lo impegni a una moralità meno arbitraria, impedisca tante storture. (Non che io creda a una natura buona e saggia alla Rousseau: so che la natura non è buona né cattiva, ma qualcosa d’impassibile e di ambiguo come la balena bianca di Melville)». Siamo, cioè, fatti della stessa stoffa.

Ebbene, noi non siamo nel 1946 ma nel 2013, non scriviamo sull’Unità ma su Contropiano e abbiamo qualche altro gatto (ci manca – è vero – Calvino ma d’altra parte l’egemonia culturale l’abbiamo persa da qualche tempo).

Partiamo, dunque, da questa prima conclusione provvisoria di Calvino e usiamola come spunto per l’oggi. A parte il riferimento alla balena bianca di Melville che ricorda altra impassibilità e ambiguità – quella democristiana – i gatti avrebbero potuto (ovviamente) far loro lezione di materialismo (soprattutto dialettico!) a Calvino. Per quanto riguarda, invece, quello storico proviamo a utilizzarlo per comprendere queste ultime elezioni spiegandolo, così, ai nostri gatti.

Proprio perché, come prima si diceva darwinianamente, l’uomo non ha un’intelligenza qualitativamente diversa ma quantitativamente superiore, la sua impassibilità e ambiguità vanno spiegate attraverso l’analisi di classe materialista, cioè attraverso l’adattamento storico all’ambiente.

Sì perché anche “natura umana” è un’espressione altrettanto ambigua: se prescindiamo, infatti, da qualunque elemento fisico-organico, ben poco accomuna e unifica una presunta sostanza umana. Esistono effettivamente, invece, tutte le articolazioni dell’essere sociale proprio dell’uomo. Per questo le appartenenze di classe hanno sino a oggi definito l’uomo in individui storici concreti, anche se, ovviamente, non si possono nullificare tutte le ulteriori articolazioni interne alle stesse. L’appartenenza alla classe, infatti, era in genere espressa anche attraverso una posizione di classe. Non è mai stato sufficiente essere oggettivamente un salariato e uno sfruttato: la condizione necessaria per far muovere la classe è sempre stata quella di posizionarsi, esprimendo appunto un’angolatura di classe. 

La prima lezione – propedeutica – da dare ai nostri gatti, dunque, è che l’interesse generale non esiste sebbene, in determinati momenti storici, difendere l’interesse generale del paese ha avuto un senso (guerre, conflitti interimperialistici, occupazioni e liberazioni nazionali). Anzi. In diverse circostanze un soggetto particolare si è fatto sostenitore di istanze universalistiche: l’ha fatto la borghesia francese durante la rivoluzione, l’hanno fatto più volte i comunisti in tutto il mondo. Hanno, cioè, determinato un passo avanti per l’intero genere umano pur facendo leva sulla propria posizione particolare.

L’attuale Partito Democratico ha voluto anch’esso fare questo ma ha dimenticato che per plasmare (non volendo trasformarlo) il mondo, bisogna capirlo: la borghesia francese aveva compreso la realtà sociale del suo tempo e così anche i comunisti – e non solo in Russia – quando sono riusciti a svolgere la loro funzione. In Italia, ad esempio, indipendentemente dalle valutazioni sui contenuti portati avanti, Giolitti seppe interpretare il Paese e lo modernizzò (non solo ricorrendo ai metodi clientelari denunciati da Salvemini, ma individuando nei due poli dello sviluppo capitalistico – capitale e forze produttive al nord – il perno della sua azione politica). Non, invece, il PD. Si può anche avere un modello politico coerente e strutturato in base al quale plasmare, appunto, la realtà sociale circostante ma è necessario avere scienza dell’impasto che si sta per usare.

La nostra verifica sperimentale, il nostro laboratorio galileiano, è sempre la storia (anche quella del presente). Quali interessi generali del paese, infatti, voleva e poteva difendere il PD quando, poco più di un anno fa, davanti alla crisi del Centro Destra di Berlusconi ha pensato di non dover chiedere elezioni ma (con la complicità di Napolitano) si è accollato un governo di massacro sociale, subalterno all’Unione Europea, che ha dato l’opportunità del ricompattamento politico alle identità sociali e ideologiche più retrive del paese?

Lo abbiamo scritto più volte[1]. Il PD era, in queste ultime elezioni, l’unico partito con dimensione nazionale e capacità organizzativa ma l’ostacolo principale alla realizzazione del suo progetto era (ed è) l’incapacità di comprendere il paese, mostrando, così, tutta la sua fragilità sociale.

L’inesistenza oggettiva di interessi generali non porta necessariamente alla disgregazione sociale come, invece, è avvenuto nel nostro paese. Che il modo di produzione capitalistico sia intrinsecamente contraddittorio e, per ciò stesso, non basato sull’equilibrio e l’armonia ma sul conflitto, non ha mai impedito la formazione delle classi. Formazione, appunto, e non la mera esistenza. Gli ingredienti dell’impasto sono sempre presenti, infatti, il suo prendere forma non è, però, un passaggio spontaneo. Questa disgregazione attuale della società italiana (che abbiamo a caldo definito essere l’esito del passaggio dall’anomalia alla frammentazione[2]) è il frutto di un mancato posizionamento di classe. Frammentazione che è la nuova condizione oggettivata del paese: una condizione di ricattabilità individuale trasversale ai gruppi sociali e alle classi. Una parcellizzazione atomizzante a livello strutturale e, ovviamente, sovrastrutturale. Identità multiple e redditi spurii, ha scritto Dante Barontini. Spappolamento sociale e coscienza da questo prodotta.

Se l’anomalia storica dell’Italia è stata quella di avere il più grande Partito Comunista d’occidente senza poter governare, Berlusconi ne è stata la seconda. Il momento attuale è, invece, il prodotto dell’assenza di un contenitore, di una forma generalizzante e, quindi, il tutti contro tutti che si unifica – prende forma – in poche e semplicistiche parole d’ordine. Non per colpa dei tutti, ma di chi per mestiere dovrebbe svolgere tale funzione: quei partiti e quelle organizzazioni che, almeno a sinistra, dovrebbero avere questo nelle loro corde. In tempi non sospetti avevamo parlato di Berlusconi tigre di carta, puntando l’indice contro una vulgata da fronte popolare antifascista che non permetteva di scorgere le contraddizioni interne alla borghesia italiana e il ruolo sempre più invasivo del processo di costruzione politica ed economica dell’Europa unita. Abbiamo adesso davanti a noi quattro pezzi della società italiana: il tradizionale grande capitale dell’Italia nord occidentale – che è storicamente legato all’Europa (sin dall’Ottocento) – riflesso politicamente nella lista Monti, il lavoro dipendente (soprattutto pubblico) espresso dal PD, mentre la borghesia non competitiva a livello continentale e il mondo delle professioni contrario alle regole di sistema (le liberalizzazioni di Bersani) sostiene il centro-destra di Berlusconi e, infine, la questione generazionale del contrasto tra realtà e aspettative di un potenziale nuovo ceto medio che ha trovato sbocco grazie al Movimento Cinque Stelle. Altri non pervenuti, ma sulla cui sorte – soprattutto quella degli eredi del PCI – bisognerà avviare un ragionamento a parte.

Dalla consapevolezza di questo impasto e di questi ingredienti bisogna partire, tenendo in mente un modello di sviluppo diverso, per sedimentare forze popolari e fare organizzazione. Perché, come scriveva Barontini, la frammentazione del voto popolare e di classe che a noi interessa «non è ricomponibile per via “istituzionale”, mettendo assieme frammenti di rappresentanza politica».

Queste elezioni contengono un altro insegnamento per i nostri gatti: più volte abbiamo ripetuto che, chiunque avesse vinto le elezioni, le politiche del nostro paese erano già dettate dagli apparati di Bruxelles. Questa definizione implica, però, un corollario: politiche già scritte se come orizzonte strategico si accetta questa UE.

È un corollario fondamentale (e da non dimenticare mai), in mancanza del quale saremmo in presenza di una relazione univoca e deterministica tra struttura e sovrastruttura che renderebbe utopica qualunque inversione storica. Possiamo così (forse) tracciare un inizio di risposta alla domanda (sempre di Barontini): «Come interpretare […] il fatto che le “elezioni più inutili della storia” […] abbiano prodotto la più seria rottura di continuità nel panorama politico italiano?»[3]

Ecco perché la politica – il dominio dell’azione dell’uomo – è possibile (per noi e in questo momento) solo se intesa come proposta di rottura; solo, cioè, negando le leggi del suo asservimento (la costruzione politica ed economica del polo europeo, la prospettiva degli “Stati Uniti d’Europa”) attraverso il ribaltamento del tavolo da gioco. Ribaltamento che, lungi dalle prospettive antisindacali e corporativistiche del Movimento Cinque Stelle (perfettamente compatibili col modo di produzione capitalistico), non è la ricerca di un punto di frizione all’interno della classe operaia, dei lavoratori e degli sfruttati dell’Europa, ma la rivendicazione della necessità, come da altri ribadito, di un nuovo internazionalismo di classe. Torniamo all’impasto.

In conclusione un dubbio: non è che questo articolo si sarebbe dovuto, invece, intitolare Le elezioni spiegate ai grilli(ni)?

  


[1] Le ipoteche e le certezze della scadenza elettorale

 

[2] Elezioni. Dall’anomalia italiana alla frammentazione

 

[3] Tempesta perfetta

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1 Commento


  • puzzailsignorvincenzo

    Il professore esimio Vincenzo Puzza ha provato a spiegare taluni dei più basilari concetti di politica al proprio antico gatto Marino, ma ello non mostrò giammaie alcuno interesse per l’argomento.

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