LA PIANIFICAZIONE È SEXY!
Riflessioni su alcuni capitoli di Non sarà un pranzo di gala, l’ultima raccolta di scritti di Emiliano Brancaccio.
“Questa rosa – disse il dottor Heidegger – questo stesso fiore rinsecchito e che quasi si sgretola, fiorì cinquantacinque anni fa. Mi fu dato da Sylvia Ward, il cui ritratto è appeso laggiù, ed era mia intenzione appuntarmelo al petto il giorno del nostro matrimonio. Per cinquantacinque anni questa stessa rosa è stata custodita fra le pagine di questo volume. Ora, credereste possibile che questa rosa di mezzo secolo fa possa fiorire ancora?”
(Nathaniel Hawthorne, L’esperimento del dottor Heidegger)
Dimenticate i teoremi neoliberali sulla libertà d’impresa; il loro tempo, fatto di continui rilanci al futuro del benessere collettivo, perché prima di tutto doveva venire la crescita del capitale, è ufficialmente scaduto, alla luce dell’incapacità delle società neoliberali (con delle rarissime eccezioni) di far fronte ad un brutto virus.
Dimenticate le passioni tristi di economisti keynesiani e giuristi, che dall’indefinita tonalità di bianco delle loro stanze hanno pianto amare lacrime di nostalgia per i trent’anni gloriosi del capitalismo italiano, anni in cui il compromesso sociale fra capitale e lavoro mascherava, ma solo in parte, il conflitto, grazie al potente stabilizzatore della crescita economica e del consumismo.
Dimenticate l’estetica movimentista del conflitto, almeno fintantoché da esse non traspaia la possibilità di un minimo bagliore di orizzonte strategico.
Dimenticate tutto ciò perché il cambiamento epocale che la pandemia ci porta richiede progetti all’altezza del compito che ci si dà, e l’affermazione che intitola l’ultimo testo dell’economista Emiliano Brancaccio toglie ogni dubbio (se ce ne fosse stato bisogno) che qualunque disegno politico consapevole, a qualsiasi scala ambisca ad attestarsi, qualunque sia il suo referente, al varco della realtà sarà atteso dalle braccia conserte della teoria critica del capitale: nessuna strada è sbarrata, ma “Non sarà un pranzo di gala“.
Ma allora sarà una catastrofe? O una rivoluzione? È quello che sembra temere Olivier Blanchard, ex boss del Fondo Monetario Internazionale, ed è da questa domanda che comincia l’ultimo saggio della raccolta di Brancaccio, e che a nostro parere rappresenta il suo nucleo centrale.
Esso si distingue per tre aspetti: è un utile contributo teorico di critica del capitale, è un’efficace polemica contro gli economisti mainstream – valida ANCHE quando si spacciano come assennati critici degli eccessi della ricchezza – ed è infine qualcosa in più di una semplice proposta politica: è un messaggio.
Cosa sarà in futuro, se catastrofe e/o rivoluzione, è questione di saper leggere nelle pieghe delle dinamiche storiche di una totalità sociale chiamata capitalismo, e Brancaccio fa subito un’affermazione forte: la “scienza critica dell’economia e della storia, ispirata all’analisi marxiana” è ancora ad uno stato embrionale per poter rispondere, ma al contempo si possono progettare i fondamenti per il rilancio di questa scienza:
“Stabilire un collegamento fra la teoria della ‘riproduzione’ e della crisi capitalistica da un lato, e la teoria delle leggi di ‘tendenza’ dall’altro. L’una e l’altra hanno finora quasi sempre proceduto lungo sentieri separati, come fossero oggetti impossibilitati a connettersi. A riprova di questa idiosincrasia vi è persino l’assenza di una metafora adatta ad esprimere il loro possibile incontro: cerchio e linea, ruota e binario, rapporto e catena, nessuna figurazione sembra adeguata al caso.
“Una possibile via di collegamento fra le due teorie, allora, può provenire dalla decifrazione di un loro legame inedito, emerso da alcune ricerche recenti. Si tratta del nesso fra le condizioni di solvibilità sottese alla riproduzione del capitale da un lato, e la tendenza verso la centralizzazione del capitale sempre in meno mani dall’altro […]. Lo chiameremo legge di riproduzione e tendenza, ovvero la tendenza alla centralizzazione del capitale”.
In parole povere, essa parte dalla constatazione che quando la crescita del rendimento medio del capitale supera quella del reddito, allora il tasso medio di interesse supera il tasso medio di profitto. Le conseguenze concrete sono chiare: diventando più difficile remunerare i prestiti le bancarotte si susseguono e così le acquisizioni, processo frastagliato ma potenzialmente senza limiti:
“Dalla riproduzione del sistema, dunque, si può trarre una duplice tendenza: il capitale non solo tende a crescere rispetto al reddito, ma anche e soprattutto a centralizzarsi. [Ma] esistono delle controtendenze?”
Ed è proprio dalle controtendenze che Brancaccio, delineando la possibilità di una “teoria materialista della politica economica”, giunge alla critica delle teorie mainstream. Si può per esempio osservare che le politiche keynesiane di intervento pubblico rappresentano un intervento sulle “condizioni di solvibilità sottese alla riproduzione del capitale”, in quanto manovre dal lato della domanda che rendono più sicure le remunerazioni degli investimenti, per tenere quindi gli interessi sui prestiti al di sotto dei profitti – e quindi tendenzialmente reazionarie, a tutela dei capitali più piccoli piuttosto che dei lavoratori
Una condizione in cui Keynes muove contro Friedman ma tutti e due muovono contro Marx, un contesto paradossale e contraddittorio in cui la concentrazione di capitale – che è anche concentrazione dei poteri – tanto quanto la controtendenza keynesiana, finisce per minare i fondamenti dello stesso ordine liberale.
È così che emerge la necessità della “logica di piano” e del “comunismo scientifico” – come vengono invocate nei due saggi-intervista più focalizzati sulla pandemia
“Per uscire da questo caos non basteranno le solite invocazioni a fornire liquidità e a rilanciare la spesa aggregata. Servirà pure consapevolezza della fragilità delle catene input-output della moderna produzione capitalistica, che potrebbero incepparsi e potrebbero quindi aver bisogno di una riorganizzazione tramite interventi misurati e moderni di pianificazione pubblica. Non basta Keynes, questa volta servirebbe almeno Leontief”.
La logica di piano corrisponde alla concreta possibilità di liberare un’intelligenza collettiva repressa da tutto l’ordine sociale e politico vigente, secondo quanto affermato in un altro saggio, più datato degli altri di qualche anno.
“La verità è che le idee dei singoli lasciano il tempo che trovano, di per sé non contano assolutamente nulla. Anziché affidarsi a esse, penso che bisognerebbe avviare un lavoro comune di lunga lena, mettere all’opera un’intelligenza collettiva che nel tempo contribuisca a una lettura scientifica del presente, a una ferrea critica dell’ideologia prevalente e magari, in prospettiva, a un coordinamento delle lotte di emancipazione sociale”.
Ecco aleggiare sullo sfondo dei saggi di Brancaccio la lotta di classe, le lotte concrete che, in una recente occasione di discussione con la Rete dei Comunisti, l’economista ha menzionato come “il punto di partenza” per una trasformazione sociale verso un ordine sociale superiore.
Nel racconto di Hawthorne, gli ospiti del dottor Heidegger vengono convinti del potere miracoloso, ma effimero, dell’acqua della Fonte della Giovinezza; per tutta risposta, decidono di trasferirsi in Florida, nei pressi della fonte, per abbeverarvisi per sempre. Ma per noi lavoratori, precari e sfruttati, una “Florida” non c’è, almeno per ora.
Il lavoro di Brancaccio può essere un buon lavoro per individuare, come testimoniato dall’ultima citazione che abbiamo riportato, gli assi portanti dell’azione teorica e pratica delle forze anticapitaliste.
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