La Lega di Cultura di Piadena (CR), nata nel 1966, è uno dei centri oggi più significativi per la documentazione della storia delle classi popolari dell’Italia settentrionale. Essa fa parte di un arcipelago di realtà impegnate nella documentazione della cultura e della storia delle classi subalterne italiane, tra le quali citiamo in particolare L’Istituto Ernesto De Martino per la per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario, il Circolo Gianni Bosio di Roma, la Società di Mutuo Soccorso Ernesto De Martino di Venezia, l’Associazione italiana di storia orale e le edizioni Kurumuny di Calimera (LE).
La Lega di Cultura di Piadena condivide con l’Istituto De Martino anche l’anno di nascita, il 1966, e uno dei fondatori, l’intellettuale “rovesciato” Gianni Bosio, indimenticato ricercatore militante socialista (senza tralasciare il contributo di Alberto Mario Cirese). Data la sua collocazione nelle campagne della bassa padana, la Lega di Cultura di Piadena nacque e si sviluppò attorno alle attività e alla cultura dei paisàn, cioè del proletariato agricolo del Nord, che viveva proprio negli anni sessanta la crisi dovuta alle trasformazioni dell’agricoltura, all’abbandono delle campagne, alla partenza di molti giovani verso le città dove potevano ambire ai salari industriali meno poveri.
Fu proprio in quegli anni che iniziò l’attività del fotografo e documentarista Giuseppe Morandi, anch’egli proveniente da una famiglia del proletariato agricolo che trovò ben presto sostegno culturale nella figura di Gianni Bosio ma soprattutto in Mario Lodi, l’eccezionale maestro della scuola del Vho di Piadena che da quel piccolo borgo seppe irradiare un messaggio innovatore che coinvolse la cultura pedagogica italiana.
Le fotografie e i filmati di Giuseppe Morandi costituiscono la gran parte dell’archivio della Lega di Cultura di Piadena, a partire dal quale la ricercatrice Simona Pezzano ha recentemente costruito un prezioso libro che ricostruisce la memoria visuale della Lega di Cultura, ma più in generale la sua storia nel contesto della vita e delle lotte dei paisàn. Scrivo di Campo lungo, memoria visuale dall’archivio della Lega di Cultura di Piadena, Mimesis, Milano-Udine, 2021, p. 145, € 14.
La documentazione fotografica realizzata da Morandi è relativa soprattutto, ma non solo, agli anni cinquanta-settanta e testimonia gran parte alle attività lavorative dei paisàn, quindi le più umili, faticose ed eseguite generalmente in gruppo e proprio per questo la vita di tali lavoratori è collettiva oltre che caratterizzata da gesti specifici che si differenziano da quelle dei contadini e dei proprietari terrieri. Sono immagini realizzate da un fotografo che proviene dalla stessa classe, che è conscio che l’immagine è potere e che i paisàn non avevano potere anche perché la loro immagine non esisteva ed era cancellata.
Questo è il senso che Morandi attribuisce al riprendere il lavoro agricolo, anche se non mancano, nell’archivio, immagini relative a momenti conviviali e di festa. Purtroppo la documentazione fotografica è, nel libro, forzatamente limitata, ma si può ricorrere, per un’integrazione, al celebre libro fotografico i Paisan pubblicato da Mazzotta nel 1979 che raccoglie molte fotografie dello stesso Morandi. Si tratta di un’attività culturale e di ricerca che, tuttavia, nel 1968 lasciò spazio all’impegno politico diretto, attraverso l’incontro con il Movimento Studentesco e con la classe operaia in lotta; fu una svolta che cambiò i caratteri della partecipazione della Lega alla lotta di classe, come è ricordato da Gianfranco “Miciu” Azzali, che ne è un altro grande animatore. La ricerca, come scriveva Gianni Bosio, che racchiudeva in sé la figura del ricercatore e del militante, non può non sfociare nella lotta politica.
Un primo capitolo introduttivo contestualizza la storia della Lega di Cultura di Piadena nelle trasformazioni della ruralità lombarda, narra quale fosse la vita dei braccianti, proletari agricoli, sottoposti ogni anno, tra l’altro, al ricatto padronale del rinnovo del contratto, con la scadenza del giorno di San Martino, l’11 novembre, in cui avveniva il rinnovo dei contratti agricoli, Se un lavoratore non andava a genio al padrone era costretto a caricare tutti i suoi averi su un carretto e a cercare un nuovo lavoro e quindi anche un nuovo alloggio per sé e la famiglia (la vita si svolgeva nella cascina).
Simona Pezzano proietta su scala nazionale le difficoltà economiche e sociali del proletariato agricolo del Nord scrivendo della mancanza di una politica di riforma agraria da parte del governo De Gasperi e dell’insufficienza della cosiddetta “Legge stralcio” del luglio 1950. Le terre distribuite dall’espropriazione di alcuni latifondi erano troppo piccole per garantire un reddito adeguato oppure erano confiscate proprio perché di scarsa qualità.
Inoltre la pietra tombale a una vera riforma agraria fu posta da Antonio Segni, quando successe come ministro dell’agricoltura al comunista Gullo che aveva emanato un decreto di assegnazione delle terre alle cooperative contadine. Tutto ciò dà il senso delle tragedia che vissero i braccianti al Nord come nel Meridione, a proposito della quale ho già scritto in un precedente articolo sulle lotte bracciantili nell’Arneo. (Ci muovemmo con bandiere al vento portate su biciclette… – Contropiano). In questo modo Campo lungo allarga il suo sguardo dalla dimensione della bassa padana a quella nazionale.
Tra gli altri pregi di Campo lungo la valorizzazione dell’importanza della figura di Mario Lodi nella nascita della Lega di Cultura attraverso la sua attività che trasformò la Biblioteca Popolare della Cooperativa di consumo in un luogo di ritrovo e di progettazione di attività che risvegliassero nei proletari la voglia di essere attori della propria storia. A Mario Lodi è dedicato in gran parte il capitolo sulle “figure di riferimento” dove viene anche ricordata e discussa la saldatura tra impegno pedagogico e politico del grande maestro piadenese.
Più in generale il testo di Simona Pezzano connette la nascita e la vita della Lega di Cultura di Piadena a tutti i personaggi e le associazioni che diedero vita al movimento di ricerca e di valorizzazione della cultura popolare a partire dagli anni sessanta, arrivando, per esempio, sino a citare il Nuovo Canzoniere Italiano il cui primo numero, datato luglio 1962 fu curato da Roberto Leydi e Sergio Liberovici, ma che, anch’esso, ebbe tra i suoi promotori Gianni Bosio.
La figura di quest’ultimo è tracciata con precisione, anche nelle sua dimensione politica di militante vicino alle posizioni di Lelio Basso e Rodolfo Morandi, che rivendicavano l’importanza degli studi storici sul movimento operaio e proletario come via per ritrovare la dimensione delle prime lotte socialiste e un’autonomia dal PCI che tendeva a “farsi stato”. Una posizione che purtroppo rimase estremamente minoritaria nel PSI, anche se è indiscutibile il ruolo avuto in quegli anni dalle edizioni dell’Avanti nella documentazione storica della cultura delle classi subalterne.
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