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Palestina-Israele tra origine, mito e realtà

Prima parte

La questione palestinese-israeliana è un tema difficile da affrontare perché esiste una “narrazione main-stream” per cui molto facilmente si viene accusati di anti-semitismo (ma gli arabi/palestinesi non sono anche loro semiti e perseguitati?).

La questione palestinese/israeliana è giustificata da ideologie teologiche che perdurano nel tempo e ha un suo terreno pregresso nei racconti biblici, ma quello che è necessario chiedersi è cosa erano effettivamente i personaggi in essa narrati e come realmente erano andati i fatti narrati per capire cosa c’è di diverso dal presente, mentre normalmente gli studiosi biblici affrontano i racconti biblici esegeticamente (cosa dice effettivamente il testo), o teologicamente (la loro interpretazione ideologica).

Per affrontare l’argomento è necessario chiarire alcuni termini riferiti all’ebraismo, perché in essi si fa molta confusione, volutamente o per superficialità.

Sono giudei gli appartenenti alla comunità ebraica termine parallelo a ebrei, senza distinzione tra credenti o atei (Sigmund Freud era ateo ma si riconosceva giudeo).

E’ da intendere con ebraismo la componente culturale della fede israelitica, con la stessa valenza che ha per i cristiani evangelici il termine protestantesimo.

Sono israeliti i credenti nella fede ebraica.

Sono israeliani gli abitanti della repubblica israeliana e quindi sono altra cosa dagli israeliti italiani o di altri paesi, anche se gli zeloti cercano continuamente di sovrapporre e unire le due situazioni, usando tra l’altro la shoà (l’olocausto) come ”mantello di Harry Potter” per nascondere le loro scelte razziste e suscitare un pietismo falso (per gli armeni del Nagorno Karabakh nessuno in occidente si è indignato e ha fatto paragoni forti, nonostante il genocidio passato e la recente pulizia etnica, con i media main-stream che hanno dato la notizia a “scappar via”).

Sono Zeloti, come appena nominati, quella componente dell’ebraismo sorta ad inizio degli anni ’30 del XX secolo, con valenza di destra oscurantista e in opposizione del sionismo sorto a fine XIX secolo che aveva aspirazioni socialiste, oggi completamente rimosso; l’Irgun, razzista, terrorista e con frequentazioni naziste (vedi la banda Stern in particolare) è stato il precursore da cui è sorto il Likud e la destra israeliana, con una doppia componente: religioso-integralista e nazionalista-civile ma parimenti razzista e oscurantista.

Questi zeloti attualmente dominano le istituzioni ebraiche anche all’estero della repubblica israeliana, e in Italia è ben visibile la loro preminenza, e chi si oppone ad essi tra gli israeliti è considerato “paria”, come è per Moni Ovadia in Italia, o Noah Chomski in USA, anche se sono tra i più illustri tra i loro intellettuali.

L’ultimo termine da affrontare è quello del sionismo.

Il termine sionismo è diventato per gli zeloti un termine di vanto, mentre per chi si oppone alla apartheid in Israele è un termine negativo, ricevendo dalla narrazione main-stream l’accusa di anti-sionismo, termine equivalente ad anti-semitismo.

Usare il termine sionismo per chi è contro l’apartheid israeliana è per me sbagliato, semplicemente perché ogni persona e ogni comunità ha un luogo a cui aspira di tornare o andare: i primi “sionisti” sono i palestinesi, come sono “sionisti” tutti i migranti che attraversano il mediterraneo rischiando la vita, oppure gli italiani andati emigrati.

Il termine appropiato per i razzisti israeliani è perciò quello di zeloti, perché è il nome con cui si identificavano i fanatici integralisti religiosi in Giudea contro l’impero romano (una Hamas ante litteram ma ebraica) e che portò dopo due rivolte, quella conclusa nel 70 d.C. e poi nel 134, alla deportazione e alla dissoluzione della presenza ebraica in “terra santa”: la loro faziosità rischia di portare a un nuovo disastro perché il loro colonialismo si regge sulle armi in un territorio circondato da centinaia di milioni di arabi e mussulmani, che sanno essere il bersaglio futuro dopo i palestinesi.

E’ ora di parlare dell’attuale rovesciamento della storia.

Quella dei palestinesi e degli israeliani è una storia sorprendente, anche per quello che è raccontato nella Bibbia successiva alla storia dei re Saul e Davide in poi, ma esula da quello che qui si sta cercando di smitizzare, è però significativa per la storia attuale di quelli che oggi si confrontano.

Rispetto ai racconti biblici i ruoli si sono invertiti: i filistei-indoeuropei provenienti dall’Egeo invasero Canaan dal mare insediandosi sulla costa imponendosi con la forza data dalla superiorità militare (le armi di ferro), mentre gli israeliti-semiti, insediati sugli altipiani della west-bank subirono per molto tempo la loro violenza, invertendo i ruoli solo sotto il re Davide, mentre ora gli ebrei-israeliani, forti delle armi potenti fornite dall’occidente e forti del sostegno yankee si sono insediati sulla costa come i filistei, provenienti dal mare all’inizio e ora attraverso il trasporto aereo, e tiranneggiano la popolazione palestinese-semita sottoponendola ad una inqualificabile apartheid, che i mass-media occidentali continuamente fanno finta di non vedere, anzi descrivono i persecutori zeloti come vittime.

E’ però necessario alzare la voce contro i zeloti e farlo proprio per proteggere gli ebrei fra di noi, perché tutte le falsità continuamente dette dai mass-media non passano inosservate tra la popolazione comune che valuta, anche se non ha una voce che la rappresenti, e a lungo andare ciò porta a considerare gli israeliti la stessa cosa che gli zeloti e sviluppare di conseguenza nuovo odio contro gli ebrei per quello che subiscono i palestinesi, dove Hamas è un attore oscurantista, ma sempre creato dalla violenza zelota, direttamente e indirettamente.

E’ necessario perciò proteggere la comunità ebraica dagli zeloti che sono riusciti a costituirsi come loro classe dirigente, in Israele come da noi, e questo perché la comunità ebraica ha dato così tante figure postive alla umanità che non possiamo lasciarla in mano a razzisti falsi e mentitori: Marx, Rosa Luxemburg, Trotzkij, Ernst Bloch, solo per citarne alcuni importanti per i comunisti (e ancora Freud, Einstein, Chaplin, eccetera) .

E’ ora di smitizzare chi erano palestinesi e israeliti, perché anche quella è stata una storia sorprendente e fondamentale.

I filistei insediati in Canaan

Parte seconda.

I palestinesi erano in origine un popolo con capacità marinare, attivi come pirati e commercianti, conosciuti negli scritti, specialmente egizi, pervenutoci coevi, con il nome di “popoli del mare” e anche con altri nomi quali lukka, zeki, sikala, e appunto peleset, da cui il termine biblico ed ebraico di pelestim (plurale di pelest), la cui variante di pronuncia è “filistei”.

Sempre per la Bibbia i filistei provenivano da Creta e per gli egizi dalle “isole” e che fossero di origine egea ce lo conferma la loro ceramica introdotta a fine età del bronzo in Canaan (la costa dal nord della fenicia sino alla zona di Gaza, nella Galilea e lungo il fiume Giordano/Beth-Shean), di chiara derivazione micenea (elladica).

Durante il XIV secolo a.C. assalirono più volte le città della fenicia (lettere di Amarna) e all’inizio del regno di Sethi I (circa 1320 a.C.) tentarono di sbarcare nella zona dei “laghi amari” (Baal Tsefon) ma furono sconfitti e costretti a servire da mercenari.

Sotto il regno del faraone Ramesse III, circa 1190 a.C. tentarono ancora l’invasione dell’Egitto, questa volta di massa, ma furono sconfitti davanti alla capitale Piramesse nel delta orientale del Nilo e costretti a insediarsi sulla costa meridionale di Canaan, dal monte Carmelo sino Gaza che prese appunto il nome di Filistea.

E’ questo il periodo di torbidi causati da migrazioni massive e di spopolamenti di massa (la Grecia continentale ridusse la popolazione a solo un 10/20 % di quella precedente), è il crollo e la dissoluzione dell’impero ittita, la distruzione della importante città siriana di Ugarit (sopra Latakia) e la divisione dell’Egitto in vari regni e proprio questa frammentazione politica egiziana favorì la progressiva indipendenza delle città filistee, forti del monopolio del ferro (anche la Bibbia lo afferma chiaramente) e di una talassocrazia per cui, prima dei fenici (che erano anche loro di origini filistee ma velocemente semitizzati) per cui dominavano i commerci sul mar Mediterraneo e nel mar Rosso: proprio il possesso delle armi di ferro permise ai filistei di prevalere: è possibile che la città di Cadice in Spagna sia stata fondata dai filistei.

Per almeno due o tre secoli i filistei, che si imposero come aristocrazia guerriera su una popolazione semita, conservarono la loro lingua, probabilmente un dialetto greco miceneo perché nella Bibbia ci sono pervenute quattro loro parole, “seren” (principi/capi), ferro (parzon/pharzon), pillegesh (prostituta regale o sacra, con corrispondenza al greco pellakis) e Anakim loro nome alternativo (è il plurane di Anak) dato a gruppi filistei derivata dal termine miceneo wanax (re) con la  corrispondente definizione in lingua semita di amalek (con in radice la parola re) che indicava ugualmente i filistei, tutte parole di radice indo-europea e micenea.

La cultura occidentale ha un enorme debito culturale dai filistei/pelistim perché è attraverso loro che si è diffuso l’alfabeto detto molto impropriamente fenicio, infatti i più antichi esempi di scrittura alfabetica (circa XI secolo a.C) sono di area filistea.

L’alfabeto nord semitico, questa è la definizione corretta, è un adattamento ragionato e sintetico di due alfabeti, quello proto-sinaitico (circa XX/XVIII secolo a.C.) utilizzato nell’area del monte Sinai (Serabit el khadim), quale adattamento di circa 30 segni geroglifici egizi consonantici secondo il principio di acrofonia per una lingua semito-occidentale e diffusosi in seguito sino tra i sabei (Yemen) ed evolutosi infine nella scrittura etiope (ge’ez), lingue anch’esse semite, ma messo in un ordine dei segni simile all’alfabeto di Ugarit, scritto però su tavolette di creta con segni cuneiformi per registrare una lingua semito-occidentale.

L’ambiente di ideazione dell’alfabeto detto scorretamente fenicio è però e incredibilmente sorto in ambiente nomade (la scrittura è propria della cultura urbana) e non cittadino e tantomeno marinaro e la dimostrazione è il nome delle  lettere che riportano a tale ambiente rinforzato in maniera evidente da alcuni segni introdotti diversamente da quello proto-sinaitico: palese è nei segni di Beth (casa), che semplifica una tenda e Daleth (porta) che mostra la forma triangolare di entrata ma sempre di una tenda: in area filistea questo alfabeto, sorto incredibilmente in area desertica e nomade, fu adattato a una lingua indeoeuropea trasformando alcuni segni consonantici in vocali (a, e, i, o, u),  permettendo in seguito l’introduzione dell’alfabeto in Grecia e Italia.

E’ mia opinione, e dopo molte letture, che il nome “pelestim” con cui questo popolo si auto definiva fosse l’unione di due parole entrambe prese dalla lingua micenea: “combattente (di) Dio”, che ha altre conseguenze molto importanti.

Con la costituzione del regno semi-mitico del re Davide (prima metà del X secolo a.C.) venne interrotta la talassocrazia dei filistei verso il mar Rosso e interdetto l’accesso al legno per le navi dei boschi degli altipiani,  permettendo ai “cugini” fenici di sostituirsi nella talassocrazia sul Mediterraneo e sul mar Rosso: i filistei scivolarono lentamente nella marginalità venendo infine assorbiti linguisticamente dalle popolazioni semite circostanti.

 

Israele, un popolo con due origini

Parte terza.

I leviti.

La prima attestazione dell’esistenza del popolo chiamato Israele ce l’ha fornita una stele datata anno 5 del faraone Merenptha (circa 1230 a.C.) in cui è ricordata la sua campagna militare in Canaan, ma mentre tutte le località nominate hanno il “determinativo” di città (una x dentro un cerchio) i cui principi dicevano “shalam” al faraone, per Israele (YSRR) è posto il determinativo di “popolo nomade” (due gambe stilizzate), aggiungendo anche il commento “devastato senza più seme”: all’epoca il popolo israelitico era semi nomade ed era collocato in un’area al centro di Canaan.

Chi erano dunque questi israeliti?

Nella Bibbia viene narrata una storia gloriosa dei fuoriusciti ebrei dall’Egitto che arrivavano in Canaan guidati da Mosè e la conquistavano, nella verità si insediarono in luoghi semi abbandonati e ostili.

E’ la storia mitica raccontata molti secoli dopo, probabilmente in epoca esiliaca (fine VII/VI secolo a.C.), frutto sicuramente di racconti orali.

Sigmund Freud analizzò i racconti mitici dell’Esodo e di Mosè usando il metodo psicoanalitico arrivando alla conclusione che questi fuoriusciti fossero appartenenti alla religione monoteista “atoniana” di Akhenaton (circa 1350 a.C.).

Fuggiti dall’Egitto dopo il ritorno all’ortodossia politeista furono guidati da Mosè, un nome egizio che sta per figlio.

Il personaggio Mosè è ritenuto dagli studiosi un personaggio mitico, come Abramo, questo ultimo sicuramente inventato, mentre invece è semi-mitico, nel senso che è realmente esistito ma la sua vicenda è stata pesantemente mitizzata.

Per distinguere il mito, che trasforma nella trasmissione orale vicende reali in racconti ideologici (vengono enfatizzati elementi a lui importanti da chi narra, trasformandoli via, via), è necessario concentrarsi su elementi marginali nel racconto mitizzato, i quali trasportano involontariamente parte del contenuto originario mitizzato.

L’Esodo, per gli studiosi, è collocato in un tempo successivo alla riforma atoniana, forse nel XII secolo a.C., in un ambiente che è quello egizio/sinaitico e con una religione sicuramente monoteista, almeno a partire dall’epoca esiliaca (VI secolo a.C.), perché per il periodo precedente non è chiaro cosa fosse la religione del popolo israelitico, ma che sicuramente era aliena rispetto a quella cananea, evidente nel rifiuto della “prostituzione sacra”.

Freud nota come uno dei nomi biblici di Dio, (Adonay, che tradotto dall’ebraico significa “mio Signore” o “il più grande Signore”) è la memoria trasformata del dio unico Aton.

I personaggi narrati nell’esodo sono tutti soprannomi: Aronne è la trasformazione della parola “cassa” perché custodiva ”l’arca dell’alleanza”, Kaleb è la trasformazione della parola egizio geroglifica Ker-heb  significante “sacerdote”, gli stessi leviti, narrati come la tribù israelita particolarmente vicina a Mosè e per questo trattata diversamente dalle altre, è la trasformazione della parola egizia “cessare, andare via”, quindi essa indicava originariamente “i fuoriusciti”.

Mosè è negli scritti profetici pre esiliaci quasi assente  oppure è chiamato “profeta” nel senso del più grande, di conseguenza anche questo è un sopranome (figlio di un personaggio importante? Erede? Parente?) e che fosse egiziano lo confermano vari elementi, il primo è la mitizzata adozione principesca, il fatto che parlasse male la lingua semita (balbuziente), il fatto che la madre era zia di suo padre, parentela vietata dalla legge ebraica.

Infine la capitale del faraone dell’Esodo, Piramesse, era una città rifondata da Horemheb (circa 1320 a.C) sul sito della capitale degli hyksos, Avaris, ma di nuovo abbandonata intorno al 1050 a.C. per un luogo a qualche decina di chilometri, Tanis, dove vennero spostati tutti gli elementi marmorei: la città venne abbandonata e intorno al 950 a.C. non esisteva più nulla, quindi la memoria biblica ricordava eventi quanto meno vecchi più di tre secoli.

Questo gruppo di fuoriusciti atoniani, i leviti, dopo molto vagare arrivarono in un luogo sul lato orientale del mar Morto prossimo al promontorio chiamato Lisan e vicini a un insediamento urbano chiamato Gabaon, abitato da hiviti, dando origine a quel punto,  e con l’altra componente, al popolo israelitico.

I hiviti

I hiviti nella Bibbia sono chiaramente appartenenti alle tribù filistee, come altrimenti sempre nella Bibbia  è chiamata Javan  (Argo/argivi?) il luogo di origine di questi popoli stanziati in Canaan da zone a nord della Galilea sino a sud del mar Morto e in particolare a Gabaon.

In un racconto biblico molto tardo, il libro di Giosuè (forse V secolo a.C.), viene raccontato l’incotro tra i gabaoniti e i fuoriusciti di Mosè (i leviti) i quali andarono a chiedere un’alleanza per non essere sterminati; il racconto menziona che per non essere considerati un pericolo si spacciarono per profughi vestendo vestiti e calzari logori, portando pane raffermo e sacchi e otri vecchi per dimostrare di venire da un paese molto lontano, scoperto l’inganno da Giosuè i gabaoniti/hiviti vennero condannati a portare legna e acqua per l’altare dell’Eterno e comunque rimanere l’unico popolo cananeo ad essere in pace con gli israeliti.

Tutta questa storia mitizzata ci dice alcune cose importanti: i gabaoniti/hiviti sono cananei filistei accettati a vivere con gli israeliti, vengono da un paese lontano (ovvero dal mar Egeo), sono, e incredibilmente, credenti di Adonay perché “servono” al suo altare.

Da un altro passo biblico sappiamo che nello stesso luogo sul lato orientale del mar Morto e nella valle del fiume Arnon, dove vivevano leviti e gabaoniti, erano pure giunti come profughi da Gaza il popolo dei avviti scacciati da Gaza dai caftoriti (Cretesi), quindi i gabaoniti erano micenei giunti molto tempo prima dell’ultima ondata filistea e poi costretti a spostarsi in un luogo ostico.

In questo luogo avvenne perciò l’unione/alleanza tra profughi religiosi atoniani e profughi micenei/filistei, ambedue cementati da risentimento verso chi li aveva scacciati: i micenei divennero “atoniani” (con tutte le riserve del caso) e i leviti trovarono nei gabaoniti la forza militare di autodifesa.

E’ questa una analisi fantasiosa dei testi biblici?

Che non lo sia lo dimostra il nome che si diedero una volta fusosi etnicamente.

Nella Bibbia i redattori non sapendo da cosa  derivassero i nomi contenuti nei loro racconti tramandati o ne evitavano il commento, come per la Pasqua, parola che non ha possibili radici nelle lingue semite, oppure ne diedero una loro interpretazione, che  alla luce degli esegeti moderni ne dimostravano l’intento falsificatorio: Mosè non vuol dire “tratto dalle acque” ma è chiaramente una parola egizia geroglifica (figlio).

Allo stesso modo il patriarca Giacobbe prese il nome di Israele, perché combattè con Dio venendo da lui vinto.

Perché attribuire a Giacobbe questo secondo nome?

Evidentemente il popolo che riconosceva Giacobbe come ancestrale antenato aveva un altro nome (Abramo è un personaggio inventato a metà del VII secolo per scopi ideologici), da conciliare nelle storie tramandate e tale nome era formato da due parole: combattere o combattente (Isra) e Dio (El).

Il nome Israele non è perciò “combattere con Dio”, ma bensì “combattente di Dio”, ovvero la versione in lingua semita occidentale di “filisteo” o se si preferisce “pelestim” (palestinese/i) che è invece la versione in lingua micenea.

Abbiamo un altro riscontro nella coincidenza degli hiviti all’interno del popolo israelita perché sia Saul che Davide, primi re israeliti, vi appartenevano chiaramente, Saul perché era un gabaonita e i suoi parenti vivevano in quel luogo con in più era di alta statura (etnicamente diverso dalle popolazioni semite), come lo era per l’appunto anche il filisteo Golia definito un “gigante”, mentre Davide era proveniente dalla tribù beniamita anch’essa correlata con i gabaoniti e anche lui di aspetto particolare: aveva i capelli biondi e occhi belli, ovvero azzurri o verdi, in più Davide con i filistei non solo fu loro mercenario, evidentemente considerato loro consanguineo, ma una volta divenuto “mini-imperatore” la sua guardia del corpo scelta era formata da “pleti e creti”, ovvero da filistei e cretesi, ed essendo elencati separati significa che i filistei micenei avevano una lingua diversa dai cretesi, i secondi probabilmente una lingua pre-ellenica anche se indoeuropea (gli etruschi, di origine egea (stele di Lemno), avevano una lingua proto-indoeuropea).

Alla luce di queste considerazioni, l’adattamento dell’alfabeto nord semita alla lingua indoeuropea dei filistei è con grande possibilità avvenuta ad opera dei leviti tra gli israeliti in Gabaon e quindi è possibile che nella zona desertica della valle del fiume Arnon (in verità un torrente) possano essere celati i più antichi “monumenti” della scrittura alfabetica.

La storia è sorprendente, sono i razzisti/integralisti a renderla negativa, che si chiamino zeloti o hamas, ma anche insegna come i ruoli dei popoli (e dei singoli) si mescolino e si invertano chiarendo come tutte le pretese di primato ed esclusività, a cominciare da quelle dei zeloti, siano false e forvianti, perché tutti appartenenti alla razza umana, come giustamente affermava Albert Einstein.

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1 Commento


  • Ludovico Basili

    per favore potreste segnalare una bibliografia necessaria per conoscere, capire. Grazie

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