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Rawa, la lotta all’egemonia imperialista

Tramontati regimi e governi fantoccio, sorti purtroppo di nuovi questo coriaceo movimento femminile resta comunque vivo e attivo. La fondatrice venne assassinata nel 1987, altre presero il testimone. E’ un gruppo indubbiamente minoritario ma puntuale nell’intervenire a difesa dell’oppressione delle donne e di strati sociali bisognosi nonostante le sue attiviste agiscano in una condizione di semiclandestinità. Offrono i minori indizi possibili agli organi repressivi, a cominciare dal loro nome che non è mai quello reale, chiamatelo nomignolo di battaglia se volete. Di fatto sono appellativi normali e più che ammantarsi di retorica queste formidabili ragazze puntano alla concretezza dell’operato. Sono presenti in ogni provincia del Paese e nel vicino Pakistan nei cui campi profughi generazioni di militanti hanno sviluppato reclutamento, formazione e cultura. 

Attiviste affidabili e determinate

Iniziano a responsabilizzarsi giovanissime, 13-14 anni, affiancando compagne più esperte e sottoponendosi con naturalezza a quel praticantato della militanza che le forgia e può portarle ai vertici del movimento e nelle istituzioni, com’è accaduto a qualcuna diventata celebre. Quel che evitano accuratamente è il personalismo, vero cancro di sedicenti antagonismi sparsi per il mondo che anziché praticare un impegno collettivo per finalità comuni insegue interessi individuali. Rawa parla solo al plurale e ha radici fra la gente perché vive fra la gente. Incontriamo due di loro, sotto i trent’anni eppure preparatissime sia sul versante della professione acquisita, una è psicologa, sia da conseguire: l’altra si laureerà in legge. E ovviamente su questioni politiche. Iniziano a discorrere del futuro. “Non vediamo svolte a breve termine. L’occupazione straniera continuerà seppure con nuove forme. Gli Usa lasceranno un numero limitato di truppe di terra. Notizie a nostra disposizione oscillano fra le 6 mila e 20 mila unità. Ma non è questo che fa la differenza. L’imperialismo statunitense continuerà a usare il nostro Paese per la sua strategia geopolitica, le basi di Herat e Khandar hanno finalità di guerra aerea e altre strutture sono in preparazione”.

Controllo ed egemonia

“Oltre all’aspetto militare, l’altra grande arma che sta usando la macchina organizzativa americana è quella della formazione del ceto dirigente e qui il lavoro è sottile e articolato. Se sul fronte delle alleanze interne Washington tiene aperti tutti i canali, dal premier fantoccio Karzai ai Signori della guerra riciclati che sono gli attuali vicepresidenti, passando per probabili inserimenti ai vertici dello Stato di qualche capo talebano, dall’altro sta realizzando un’operazione immagine che può ingannare buona parte del nostro popolo, in genere povero e bisognoso d’aiuto. Parliamo della formazione di una giovane classe dirigente, plasmata nei Paesi occidentali, Gran Bretagna oltre che negli Stati Uniti. Queste figure, per ora tecniche, cominciano a rivestire incarichi manageriali e occupare ruoli in strutture statali o private fornendo con le proprie competenze un contributo non indifferente ai clan politici che le utilizzano e le fanno arricchire purché lavorino per gli interessi soggettivi dell’establishment non certo per il bene della nazione. Si tratta, dunque, di un’operazione immagine che immette volti giovanili in tanti apparati puntando a rinnovare l’egemonia interna”.

Nuovi tecnocrati per vecchi furti

Insomma questi tecnocrati prestano i loro servigi agli interessi stranieri e agli arricchimenti di noti caporioni. I volti sono nuovi, il sistema resta quello vecchio e marcio che ha ridotto l’Afghanistan alla miseria, come già hanno illustrato Joya, Roshan e alcuni dirigenti di Hambastagi ascoltati nei giorni scorsi. “Noi prestiamo molta attenzione al fenomeno. All’università avviciniamo quei giovani capaci a cui vengono offerte borse di studio nei Paesi occidentali, meccanismo che costituisce il primo gradino per l’attuazione del piano. Nel clima incerto e opprimente della nostra quotidianità diversi studenti manifestano il desiderio di restare all’estero, ma gli aiuti vengono offerti principalmente a coloro che si prestano a rientrare per poter applicare la linea di condotta con cui sono stati forgiati. E’ una delle sfide più importanti con la quale dobbiamo misurarci in una fase intermedia che vedrà l’Afghanistan controllato sul piano militare e sfruttato dal punto di vista economico. Gli spazi d’azione sono sempre più ristretti e circoscrivono le iniziative di contrasto e il rilancio di un’ampia opposizione”.

Intimidazione e repressione

“Un esempio. Due mesi or sono mentre alcuni giovanissimi attivisti della nostra rete distibuivano volantini di propaganda casa per casa, una spiata ha fatto arrivare degli agenti che li hanno fermati. Sediq Sediqi, portavoce del ministro dell’Interno, li ha incontrati negli uffici di polizia e li ha rilasciati in base alla loro promessa di stare lontani dalla politica. In questi casi qualcuno ha paura e si blocca, i più coscienti proseguono però un successivo fermo li porterà in galera dove, per l’aria che tira, potranno restare a lungo. Tutto ciò vene fatto per contrastare una semplice propaganda che è prevista dalla legge. Sin dalla nascita la nostra organizzazione ha mirato all’azione collettiva pubblica, al confronto democratico, ma come un tempo i Signori della guerra limitavano questi spazi a suon di bombe ora la sedicente democrazia tutelata dalla Nato dà voce ai metodi repressivi dei ministri di Karzai. E in futuro non è detto che non possano rispuntare prospettive di uso dell’appartenenza etnica o religiosa per riproporre la divisione del Paese secondo la legge del più forte, oltre all’appagamento degli interessi geostrategici ed economici delle potenze mondiali. Il quartetto è composto da Usa, Russia, Cina e India”.

Egemonie regionali

“Fra le nazioni con intenti di supremazia locale Iran e Pakistan rappresentano vicini ingombranti e pericolosi. L’Iran applica una politica soft intervenendo su questioni culturali che travalicano la stessa confessione sciita, cui aderiscono soprattutto i tre milioni di hazara afghani. La simbologia è particolarmente visibile nella capitale, sia la nuova moschea appunto sciita, sia l’attigua università sono strutture recenti edificate coi capitali delle bonyad. L’Intelligence di Teheran è attiva seppure non raggiunge per numero di agenti l’Isi pakistana, la cui presenza è ampiamente visibile quasi fossero poliziotti piuttosto che controllori segreti. Il Pakistan ha un rapporto diretto col partito di Hekmatyar (l’ennesimo Signore della guerra che, dopo aver svernato per alcuni anni in Iran, dal 2007 è nuovamente attivo nella doppia veste di capoguerrigliero e politico, ndr) e con varie componenti talebane, alcune delle quali hanno le centrali organizzative e militari in terra pakistana. Il governo di Islamabad interviene anche militarmente nei territori di confine con operazioni che violano la territorialità afghana e vengono più che tollerate subìte dalle truppe di Karzai. Pressioni ancora maggiori riguardano la fornitura di merce, ogni genere di prodotti, da quelli agricoli al materiale tecnico, i cui flussi vengono bloccati discrezionalmente dal Pakistan, provocando ricattatorie carenze o totali mancanze nei nostri mercati”.

Sarebbe interessante discorrere ancora ma le due ore a disposizione sono scadute. Le militanti si scusano e indossano il chador fuori dalla casa dell’incontro. Sorridono, salutano e spariscono nella polvere che avvolge Kabul.

Da Kabul, Enrico Campofreda, 18 marzo 2013

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