Centinaia di morti, numerose vittime durante un assalto alla sede dell’Onu e un paese ad un passo dalla guerra civile. E’ questa la tragica situazione di un paese la cui indipendenza è stata imposta solo pochissimi anni fa e festeggiata da comunità internazionale e media sorvolando sul fatto che il distacco da Khartoum era conseguenza dell’ingerenza di potenze straniere e multinazionali interessate alle risorse naturali che giacciono nel sottosuolo del poverissimo territorio del Sud Sudan. Il nuovo stato è infatti il terzo in tutta l’Africa per l’entità dei suoi giacimenti di idrocarburi dopo Angola e Nigeria.
Se nella capitale Juba, dopo il massacro di 500 persone dei giorni scorsi, ora sembra regnare una calma apparente, la situazione è assai tesa invece a Bor, nel nord del paese, nel territorio petrolifero di Jongley, dove giovani miliziani dell’etnia Nuer hanno attaccato una base Onu uccidendo tre caschi blu del contingente indiano e numerosi sfollati.
Dopo le scaramucce più o meno gravi degli ultimi mesi – che comunque hanno provocato centinaia di morti – nelle ultime settimane pare che la situazione stia degenerando e sfociando in una guerra civile. E comunque si è di fronte alla crisi più grave da quando nel 2011 un referendum organizzato con il consenso delle autorità centrali del Sudan – convinte da sanzioni internazionali e pressioni di ogni tipo – sancì il distacco delle province meridionali.
Protagonisti della ribellione nel nord – in particolare nella cittadina di Bor – sono i miliziani dell’etnia Nuer fedeli all’ex vicepresidente Rijek Machar, ex stretto collaboratore del presidente Salva Kiir – esponente invece dell’etnia rivale dei Dinka – passato all’opposizione e protagonista di attacchi armati contro il governo e i civili sfociati pochi giorni in un tentativo di colpo di stato sventato dalle truppe fedeli al governo.
In una intervista alla radio francese Radio France Internationale Machar ha definito il suo rivale un dittatore ed ha incitato i soldati dell’Esercito per la Liberazione del Sudan a destituirlo dal potere.
Gli scontri nel Sudan del Sud erano cominciati domenica tra reparti contrapposti della Guardia Presidenziale nella capitale e sul terreno erano rimaste centinaia di vittime, combattenti ma anche civili. La situazione è così grave che mentre le ambasciate di alcuni paesi europei hanno iniziato l’evacuazione dei propri connazionali, in contemporanea circa 20mila abitanti della capitale si sono rifugiati nelle due basi della missione Onu (Unmiss) alla periferia di Juba, metre altre migliaia di persone hanno fatto lo stesso a Bor e Torit. Gli scontri politici tra i due leader e le rispettive milizie – dietro le quali vi sono diverse imprese petrolifere indigene e straniere – stanno ormai prendendo la forma di un massacro e ad essere colpiti sono sempre più i civili appartenenti all’etnia opposta a quella degli aggressori di turni.
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