Teoricamente i capi dell’opposizione ucraina al governo di Viktor Yanukovich hanno concesso all’esecutivo fino a domani per accettare le proprie richieste – sciogliere il parlamento e indire nuove elezioni – prima di passare all’offensiva. Ma in realtà in tutto il paese i gruppi conservatori e dell’estrema destra, a volte anche in competizione tra loro, stanno continuando a operare una forte pressione nei confronti dell’esecutivo nel tentativo di dare una spallata al governo e provocarne la caduta.
Se in virtù della relativa tregua la notte é trascorsa senza nuovi scontri con le forze di sicurezza, i manifestanti hanno però intrapreso la costruzione di nuove barricate nel centro della capitale, accatastando sacchetti di sabbia e compattandoli con la neve, ed estendendo il proprio raggio d’azione fino in prossimità della sede della Presidenza della Repubblica.
A Kiev i manifestanti e i componenti delle milizie dell’estrema destra hanno occupato la sede del ministero dell’Agricoltura, ad appena 100 metri da piazza Indipendenza (Maidan), dove da mesi si svolge la protesta dei partiti che spingono per un ingresso dell’Ucraina nell’orbita dell’Unione Europea. E ora l’opposizione è passata all’attacco anche in altre regioni, non solo nella capitale. Ieri sera 5 consigli regionali nelle regioni occidentali e centrali del Paese sono stati presi d’assalto dai manifestanti, a Leopoli, Rivne, Ternopil, Khmelnytsky e Cherkassy (quest’ultimo poi riconquistato dalla polizia). Per mantenere le loro posizioni i dimostranti, che chiedono le dimissioni dei governatori nominati dal presidente Viktor Ianukovich, hanno costruito barricate intorno agli edifici occupati a Lviv e Rovno.
Proseguono intanto i colloqui tra i capi delle opposizioni e gli esponenti del governo e lo stesso Yanukovich che però, lamenta l’ex campione del mondo di pugilato Vitaly Klitschko, a capo dell’Alleanza Democratica Ucraina per le Riforme, non avrebbe fatto nessuna concessione alle richieste dei partiti filo Ue. “L’unica cosa su cui siamo riusciti a trovare un accordo é l’impegno a far rilasciare tutti gli attivisti detenuti» ha però detto l’esponente della destra liberal-nazionalista. Che poi ha aggiunto: «Io credo che si debba procedere passo dopo passo: oggi alcune città, domani saranno di più. Oggi alcune barricate, domani di più».
Anche Oleh Tiahnybok, capo degli ‘ex’ nazionalsocialisti di Svoboda, e Arseniy Yatsenyuk, già ministro dell’Economia e ora alla testa della cosiddetta Unione Pan-Ucraina ‘Patria’, promettono battaglia.
Sembra ormai evidente che una ricomposizione della crisi scatenata dai partiti che pretendono l’ingresso dell’Ucraina nell’area economica e politica dell’Unione Europea – poco importa se questo porterebbe al tracollo della già debole economia del paese – appare sempre più difficile. Nelle ultime settimane i gruppi e i partiti di estrema destra hanno preso il sopravvento nelle manifestazioni, scavalcando i partiti della destra parlamentare e attaccando le forze di sicurezza con molotov, sassi, bastoni e coltelli, il che ha spinto l’esecutivo filorusso a varare una serie di leggi contro i diritti di manifestazione e di espressione. Leggi il cui varo ha naturalmente permesso alle opposizioni di inasprire ulteriormente la propria offensiva. Nei giorni scorsi, proprio quando la polizia è stata accusata di aver sparato sulla folla, dalle file delle squadracce dei gruppi di estrema destra si è cominciato a far uso di armi da fuoco. Alcune delle foto diffuse dai media occidentali ritraggono dei “manifestanti” che utilizzano delle pistole e non dei poliziotti, come invece erroneamente indicato.
Secondo i leader delle opposizioni di destra filoeuropee e filoNato di Kiev, la degenerazione della situazione sarebbe una responsabilità esclusiva del governo che avrebbe scatenato una repressione selvaggia contro i ‘manifestanti pacifici’ infiammando gli animi e portando a una radicalizzazione dello scontro. Che alcuni pezzi dell’establishment ucraino pensino che l’unica strada per fermare l’opposizione sia la repressione, gli arresti e le botte contro i manifestanti appare più che evidente. In queste ore sui media di tutto il mondo rimbalza la foto di un manifestante completamente denudato dalla polizia e costretto a subire percosse sulla neve per lungo tempo.
Ma la ricostruzione secondo la quale la protesta sarebbe partita in modo pacifico e solo a causa della repressione delle forze di sicurezza sarebbe degenerata non sembra essere corrispondente alla realtà. Qualcuno, a Mosca, oltre che a Kiev, aveva previsto che le opposizioni, imbeccate da Bruxelles e Washington, avrebbero puntato a un processo di destabilizzazione violenta del paese come era già avvenuto laddove gli interessi dell’Unione Europea e degli Stati Uniti hanno trovato ostacoli.
A ottobre del 2013, in occasione del forum euroasiatico che si è tenuto a Verona, l’analista russo Evgeny Utkin ha pubblicato un’analisi su Expert , il principale settimanale russo, nel quale si ipotizza un futuro di “guerra civile” in Ucraina, e si paragona il contesto politico di Kiev a quello della ex Yugoslavia. Non sembra un paragone azzardato quello tra Ucraina e Yugoslavia. Infatti l’ex repubblica sovietiva, unificata solo nel 1919, appare storicamente spaccata a metà: ad est una popolazione russofona e ortodossa, orientata verso Mosca, ad ovest una popolazione maggioritariamente cattolica e antirussa. Il rischio che in nome della difesa dei suoi interessi l’Unione Europea preferisca una rottura del paese non è affatto peregrino. Bisognerà vedere se questo avverrà in maniera indolore, e quali contromisure metterà in campo la Russia per evitare che il nemico arrivi fin sotto le porte di casa.
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