Accerchiato dai suoi nemici interni agli apparati dello stato e sempre meno credibile di fronte al suo popolo e alla comunità internazionale, il ‘sultano’ sta in questi giorni dando a molti la sensazione che stia letteralmente dando di matto. Il che non vuol dire che le sue decisioni non siano pericolose ed estreme, nel tentativo di salvare il salvabile dopo la diffusione di alcune intercettazioni che coinvolgono lui, i suoi familiari e il suo ‘cerchio magico’ in inchieste per corruzione e clientelismo.
L’ultima dichiarazione di Erdogan ha lasciato molti interedetti, visto che il premier turco ha annunciato che il suo governo potrebbe presto proibire Facebook e YouTube (per altro da sempre monitorati e ampiamente censurati, soprattutto Youtube). Nei giorni scorsi il governo liberal-islamista ha già inasprito i controlli e la censura su internet, scatenando un’ondata di critice sia all’interno della Turchia che di numerose associazioni internazionali per la libertà d’espressione, dopo che a dicembre numerosi ministri, il capo di un importante banca e alcuni funzionari del Partito della Giustizia e dello Sviluppo sono finiti nelle maglie di un’indagine per corruzione, poi messa a tacere con il trasferimento dei magistrati titolari e la destituzione di migliaia di poliziotti e ufficiali delle forze dell’ordine.
“Ci sono misure che si possono prendere in quell’ambito dopo il 30 marzo” (data delle prossime elezioni amministrative in Turchia) ” tra cui il divieto” di usare YouTube e Facebook ha detto il premier in un’intervista concessa a una tv privata ieri sera. Il partito di Erdogan Akp è tornato nell’occhio del ciclone dopo un’intercettazione telefonica pubblicata su Youtube la scorsa settimana in cui il premier dà istruzioni al figlio Bilal di far sparire una grossa somma di denaro, all’indomani dell’emergere dell’inchiesta del magistratura. Il premier ha naturalmente definito l’intercettazione un montaggio “vile” e “immorale” dei suoi nemici, accusando il miliardario/imam Fethullah Gulen , con il quale ormai lo scontro è frontale, di essere a capo di un complotto internazionale contro di lui.
Il clima ad Ankara ed Istanbul è cupissimo come scriveva Fazila Mat su Il Manifesto lo scorso primo marzo: “La mattina del 24 febbraio la Turchia si è svegliata con l’ennesima notizia sconcertante. Yeni Safak e Star, due quotidiani vicini alle posizioni del governo guidato dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp), hanno pubblicato in prima pagina una lista con i nomi di settemila persone le cui linee telefoniche sono state tenute sotto controllo per tre anni: ministri, politici, giornalisti, membri di varie ong, uomini di affari e cittadini comuni, tutti presunti membri di una fantomatica organizzazione terroristica chiamata «Selam». L’elenco sarebbe stato scoperto grazie ai procuratori che hanno sostituito su pressione del governo quelli che avevano dato il via alla maxi operazione anti-corruzione del 17 dicembre, che ha coinvolto molte figure importanti dell’esecutivo e dell’entourage del premier.
Secondo quanto sostenuto dal quotidiano Yeni Safak, la «struttura parallela» responsabile dell’operazione di dicembre — che farebbe capo al movimento «Hizmet» dell’influente imam Fethullah Gülen, in esilio volontario negli Stati uniti dal 1999, che puntualmente nega le accuse — si troverebbe anche dietro alle intercettazioni delle migliaia di persone che intendeva mandare in prigione, dopo aver rovesciato il governo Erdogan. Intanto, mentre il Consiglio superiore della magistratura (Hsyk) ha avviato un’indagine sui procuratori e i giudici che avrebbero ordinato le intercettazioni — peraltro su autodenuncia degli stessi magistrati, che vogliono così smentire ogni accusa — il procuratore capo di Istanbul, Hadi Salihoglu, ha per il momento confermato solo l’esistenza di una lista di 2.280 intercettati, che sarebbe però destinata a crescere.
Prima ancora che lo shock suscitato da questa notizia si fosse spento, l’anonimo account twitter @haramzadeler ha messo in circolazione una nuova registrazione audio attribuita al premier e a suo figlio Bilal. Cinque presunte conversazioni svolte tra il 17 e il 18 dicembre, in concomitanza delle operazioni della polizia che hanno portato alla confisca di oltre 17 milioni di dollari nelle abitazioni dei figli di tre ministri, del direttore della Halkbank e del businessman Reza Zerrab.
Nell’audio Erdogan metterebbe al corrente il figlio di quanto sta avvenendo quella mattina, dicendogli di «far uscire di casa quello che c’è». «Cosa mai posso avere io papà», ribatte il figlio, «ho solo i tuoi soldi nella cassa», «appunto», risponde il primo ministro. Nelle seguenti conversazioni, la voce attribuita a Bilal Erdogan aggiorna il padre sullo stato di trasferimento del denaro, diverse decine di milioni di dollari in contanti, distribuiti tra vari uomini d’affari con l’aiuto della sorella Sümeyye e di altri parenti. Più di una volta la voce attribuita al premier intima di non parlare apertamente al figlio che ha difficoltà nel trovare una sistemazione per gli ultimi 30 milioni di dollari rimasti. (…)
Che le ‘intercettazioni’ in questione siano vere o frutto di un abile montaggio o addirittura false sembra importare assai poco. E anche la censura su internet rischia di essere tardiva e insufficiente. Prima di essere rimossi da Youtube gli scandalosi file audio sono stati ascoltati da oltre 2,5 milioni di persone. Ma le registrazioni .- racconta l’articolista – sono circolate ovunque, tramite i cellulari e i tablet, perfino sui taxi.
Vedremo presto – le elezioni amministrative del 30 marzo sono vicinissime – chi vincerà la furiosa battaglia in corso negli apparati di potere turchi. Se perderà Istanbul il ‘sultano’ sarà giunto alla fine della sua finora luminosa carriera politica.
Per ora le forze di sinistra e i movimenti sociali e sindacali protagonisti delle “rivolte di Gezi Park” non sembrano essere della partita.
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