Detto, fatto. Il ‘sultano’ Erdogan deve essere veramente preoccupato se alle minacce di bloccare i social network prima del voto amministrativo previsto per fine mese ha deciso di dare veramente un seguito ieri bloccando Twitter e provocando reazioni trasversali fuori ma anche dentro il suo schieramento politico.
Un nuovo bavaglio alla libertà d’informazione che potrebbe però avere un effetto boomerang su un personaggio sempre più screditato anche all’interno di settori non necessariamente in disaccordo con le sue politiche ma desiderose di un cambio al vertice del partito liberal-islamista Akp.
Fatto sta che durante la notte le autorità turche hanno bloccato l’accesso alla rete sociale Twitter su tutto il territorio nazionale, poche ore dopo l’ennesimo strale di Erdogan che aveva promesso di ‘sradicare’ i social network. In un suo intervento elettorale a Bursa, il premier ha attaccato frontalmente Twitter: “La faremo finita… Mostreremo quanto è potente la Repubblica di Turchia”.
L’ordine di blocco è stato emesso dal cosiddetto Istituto Tecnologico delle Comunicazioni (BTK) alla quale il governo ha concesso poteri straordinari nell’ambito della recente legge sul controllo di internet varata recentemente dal governo con l’obiettivo di restringere ulteriormente la libertà di espressione in un paese dove la censura sui media è sempre stata ai massimi livelli.
La decisione sarebbe stata adottata, formalmente, sulla base di tre denunce contro il social network arrivate a due tribunali e a un procuratore. La verità è che i social network stanno avendo un ruolo centrale nella diffusione delle notizie legate alla repressione dei movimenti sociali e popolari, sulla violazione dei diritti umani e negli ultimi mesi sulle inchieste della magistratura contro l’entourage del primo ministro, accusato di essere a capo di una vasta rete di corruzione, speculazione e clientelismo. Le elezioni amministrative di fine marzo – si vota anche per rinnovare la carica di sindaco di Istanbul – vengono considerate in questo clima un vero e proprio referendum nei confronti di Recep Tayyip Erdogan, e alcuni partiti di opposizione hanno già affermato che faranno di tutto per evitare casi di brogli elettorali già denunciati nelle scorse tornate. Secondo alcuni media il governo avrebbe approntato una squadra specializzata composta da ben seimila persone il cui compito è sostanzialmente orientare e condizionare le discussioni sui social network a proposito di temi politici.
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