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Paraguay: Rimane in carcere il leader dei contadini in sciopero della fame

Rubén Villalba, leader dei contadini sin tierra protagonisti negli ultimi mesi di uno sciopero della fame durato 58 giorni, è stato costretto a tornare nel carcere di Tacumbú.

Il trasferimento é avvenuto il giorno successivo alla concessione degli arresti domiciliari per i cinque detenuti coinvolti nel caso del massacro di Curuguaty.

A deciderlo è stata la giudice Janine Ríos imponendogli il ritorno in carcere a causa di un altro processo precedente che lo vede imputato per violazione di proprietà privata e sequestro avvenuti durante un tentativo di sgombero nel 2008 di un insediamento sin tierra nella località di Pindó. Minacciati da un coltivatore di soia brasiliano che dopo aver comprato 260 ettari nel mezzo della comunità cominciò a spargere i pesanti pesticidi anche nei pressi della scuola del paese, i contadini allontanarono il proprietario dei terreni ma dovettero confrontarsi giorni dopo con la polizia intervenuta a sostegno del fazendeiro.

Una prassi non nuova, quella delle fumigazioni volontarie, che irrorando di veleno per mezzo di un aereo gli insediamenti abitati, inquinano le falde acquifere e uccidono tutto il bestiame, causando gravi danni alla salute degli abitanti e costringengendoli qundi a migrare verso le città e abbandonare i terreni lasciandoli nelle mani del latinfondista di turno.

Dal carcere Rubén Villalba riferisce in un’ intervista ad un giornale nazionale, di aver abbandonato lo sciopero della fame essendo ancora molto debilitato dall’ultimo sciopero appena terminato.

Il suo trasferimento non è che l’ennesimo atto di persecuzione giudiziaria nei confronti del militante sin tierra, attivo fin dall’inizio della sua detenzione nella denuncia dell’irregolarità del processo del caso di Curuguaty e nelle proteste degli imputati all’interno del carcere.

Questo caso di accanimento giudiziario si inserisce in un contesto generalizzato di repressione nei confronti dei movimenti contadini che contano ormai migliaia di militanti incarcerati e decine di morti in un Paraguay che sempre più punta a diventare uno dei principali paesi produttori di soia da destinare al mercato internazionale.

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