I social network sono guardati ormai con sospetto da decine di milioni di utenti. Il rischio, a medio termine, è un crollo verticale del numero degli utenti, stanchi di farsi spiare dai rispettivi governi e soprattutto da quello statunitense. A quel punto la migrazione verso altri strumenti di comunicazione interpersonale, meno esposti all’occhio malefico dell’amministrazione Usa, sarebbe cosa di un attimo.
Dopo lo scandalo del Datagate, con le rivelazioni di Edward Snowden sulle modalità extralegali con cui la Nsa – agenzia federale Usa incaricata fra l’altro dello spionaggio elettronico – procede alla raccolta dei dati, era stato raggiunto un accordo “limitato” tra i principali social network e il governo statunitense. I primi avrebbero potuto avvertire i propri clienti di un certo numero di richieste da parte delle “agenzie”. Ma non tutte e soprattutto non sempre corrispondenti a quelle effettivamente ricevute. Una mezza truffa, insomma, anche in una vicenda di spionaggio di massa.
Twitter ha rotto questo fronte, ieri, facendo causa all’amministrazione Obama. Spiazzando così in un colpo solo anche i concorrenti più forti, come Google, Apple, Microsoft o Facebook, che si sono adeguati senza problemi ai nuovi standard governativi.
Il microblog ha depositato presso una corte federale della California una denuncia in cui mette sotto accusa il governo federale, reo di violare il “primo emendamento” della Costituzione americana, quello che tutela la libertà di parola e di espressione. E l’argomento è proprio l’impossibilità, per Twitter e gli altri social, di rivelare quanto sa a proposito delle richieste avanzate dagli 007 della Nsa o dagli agenti dell’Fbi.
In linea molto teorica, queste richieste dovrebbero riguardare soltanto gli indagati sospettati di attentare alla sicurezza nazionale; ma quando le richieste riguardano decine di milioni di utenti, è chiaro che “il nemico è il popolo”, ovvero il governo Usa sa di non essere nel cuore dei propri cittadini. E vuole controllarli tutti, uno per uno.
Al centro della denuncia c’è soprattutto il Dipartimento alla giustizia, che di fatto impedisce a Twitter – e atutti gli altri social – di dare un’informazione completa sui programmi di sorveglianza del governo. “Crediamo di avere il diritto in base al primo emendamento di rispondere pienamente alle preoccupazioni dei nostri utenti, informandoli anche sullo scopo dei programmi di sorveglianza del governo”, afferma il vicepresidente di Twitter, Ben Lee. “Dovremmo essere liberi di farlo – aggiunge – in maniera piena invece che in maniera incompleta e inesatta”.
Al contrario che in Italia, dove la privacy non è un valore di massa, negli Usa lo scandalo Datagate ha costretto tutti i big dell’informatica correre ai ripari, fornendo ai clienti dispositivi o programmi che diano almeno l’illusione di essere un po’ al riparo dall’occhio del Grande Fratello di Washington.
Nelle ultime settimane, per esempio, Apple ha lanciato il nuovo sistema operativo iOs 8 che di fatto rende impossibile alla stessa casa di Cupertino sbloccare i nuovi codici criptati degli iPhone 6. Anche Google ha annunciato una mossa simile a proposito della prossima generazione del sistema operativo Android.
Twitter, che ha preso sul serio il concetto di concorrenza, ha fatto un passo molto più avanzato. Vedremo con quali effetti. Per ora, infatti, l’uso del microblog è altrettanto insicuro di prima.
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