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L’UE cambia ma tiene. Dalle elezioni in Spagna e Francia nessuna “rivoluzione”

Dopo le elezioni greche di fine gennaio, che avevano portato alla sconfitta di Nuova Democrazia, alla sparizione del Partito Socialista e al boom di Syriza, in molti hanno previsto, sondaggi alla mano, che una ‘rivoluzione elettorale’ avrebbe investito anche gli altri paesi europei. Ma i dati delle competizioni – parziali ma indicative – andate in scena in Spagna e in Francia nei giorni scorsi smentiscono in parte le previsioni di coloro che auspicavano – o sul fronte opposto, temevano – la rottura dei sistemi politici che negli ultimi anni hanno garantito la stabilità politica e la tenuta dei diktat rigoristi applicate dall’Unione Europea nei confronti dei cosiddetti PIGS.

In Francia l’establishment continentale temeva che continuasse il boom elettorale dell’estrema destra euroscettica e nazionalista guidata da Marine Le Pen iniziata ormai qualche anno fa e che tale ascesa avrebbe portato alla fine del bipolarismo politico tra ‘droite’ e ‘gauche’. Ma anche se i socialisti sono stati penalizzati fortemente dal voto di marzo, il partito di Hollande ha recuperato qualche punto rispetto al tracollo senza appello dei mesi scorsi, mentre il centrodestra di Nicolas Sarkozy si è affermato con numeri non esaltanti al primo turno che però al ballottaggio si sono trasformati in un’onda gollista che ha conquistato quasi 70 dipartimenti (le locali province) su 101 in palio. Alla fine il Front National, che pure ha raggiunto di nuovo la quota toccata alle assai più facili competizioni europee dello scorso anno, con il 25% non è riuscita a conquistare neanche un dipartimento e solo una sessantina di consiglieri locali su 4000 totali. Di fatto i due schieramenti principali – centrodestra e centrosinistra – reggono l’urto dell’assalto lepenista mentre le forze a sinistra dei socialisti non sono riuscite ad affermarsi utilizzando un malcontento generato dal governo Valls e da alcune misure imposte dall’Unione Europea che invece si è orientato verso l’astensione, il voto all’estrema destra o addirittura ai conservatori attualmente all’opposizione. Di fatto il tradizionale bipolarismo francese si è trasformato in un tripolarismo che per ora non mette in discussione gli assi portanti della politica francese e i rapporti interni all’Unione Europea. Anzi, l’affermazione indiscutibile di Sarkozy rafforza a Parigi il partito del rigore nella sua forma più corrispondente alle politiche finora difese e applicate dal governo tedesco e in particolare da Angela Merkel.
Era forse soprattutto sulla Spagna che si concentravano le attenzioni degli analisti e dei commentatori europei. Il voto anticipato per il rinnovo del parlamento regionale dell’Andalusia – comunità con 8 milioni di abitanti e assai importante per gli equilibri politici dello Stato – rischiava infatti di causare il tracollo della tradizionale ripartizione dell’elettorato tra i due grandi partiti usciti dall’autoriforma del sistema franchista. Ma anche se dopo il voto la mappa politica della regione è mutata rispetto al passato, la prevista affermazione di Podemos è stata solo parziale, incapace di impensierire un Partito Socialista che si è affermato nettamente anche se senza ottenere la maggioranza assoluta. Anche il Partito Popolare, al governo a Madrid e divenuto odioso a molti elettori per le politiche da massacro sociale applicate negli ultimi anni sotto dettatura di Troika ed Ue, si è fortemente ridimensionato ma ha comunque conservato una fetta consistente del proprio elettorato. Inoltre, a contendere da destra la sfida al sistema politico spagnolo lanciata dal movimento riformista radicale guidato da Pablo Iglesias, si è affermato il partito liberale Ciudadanos che da forza regionale nata in Catalogna contro le spinte indipendentiste ha assunto ora il ruolo di contenitore dei voti in fuga dai partiti storici che in questo modo rimangono all’interno del recinto nel quale è rimasto il sistema politico di Madrid negli ultimi 40 anni. La tendenza espressa dal voto regionale andaluso sembra confermata da alcuni sondaggi che prevedono nelle prossime competizioni elettorali in programma nello Stato Spagnolo un’affermazione di Podemos meno netta di quella finora previsto e un boom di Ciudadanos, con un calo consistente del PP ma una sostanziale tenuta del Psoe. In questo quadro le opposizioni di sinistra – in particolare Izquierda Unida – sembrano assai ridimensionate sia elettoralmente sia nelle proprie aspirazioni a calamitare un voto di protesta che sembra orientarsi verso altri lidi, anche per oggettive responsabilità del suo gruppo dirigente.
Due paesi su 28 sono probabilmente troppo pochi per segnare una tendenza continentale, ma certo Francia e Spagna hanno un peso politico non indifferente all’interno di un’Europa nella quale le forze politiche ‘euroscettiche’ – categoria che cancella le enormi differenze identitarie e programmatiche tra movimenti di destra e di sinistra – aumentano di peso ma non sfondano. Lo scenario greco per ora sembra lontano. Se è vero che i partiti tradizionali entrano in crisi quasi ovunque è anche vero che il sistema sembra trovare un nuovo equilibrio grazie alla nascita o alla crescita di nuovi movimenti “anticasta” compatibili con gli interessi strategici delle classi dirigenti continentali. Pensare – come stanno facendo imperterriti i dirigenti della sinistra italiana più o meno radicale, dai dissidenti Pd fino a Rifondazione passando per Sel e Fiom – che lo scenario greco possa essere riprodotto nel nostro paese attraverso la creazione dell’ennesimo contenitore elettorale guidato dal guru di turno si sta rivelando un grosso errore. Non sarà con una visione meccanicista dei fenomeni politici e con la riproposizione della consueta coazione a ripetere che la sinistra italiana risolleverà le sue sorti.
Oltretutto sembra proprio che le enormi contraddizioni che caratterizzano la sfida greca all’austerity – disarmata dal rifiuto da parte di Syriza di mettere in discussione la gabbia costituita dai trattati e dalla moneta unica europea – stiano condizionando negativamente la possibile evoluzione di altri scenari nazionali in cui forze più o meno di sinistra potrebbero perdere credibilità ed appeal elettorale proprio a causa degli scarsi progressi vantati finora da uno Tsipras in panne.

Rete dei Comunisti – www.retedeicomunisti.org

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