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Ucraina: il governo Yatseniuk al capolinea?

Non c’è quiete per l’Ucraina, nè sul fronte nel Sud Est del Paese. Il conflitto nel Sud-Est del Paese è apparentemente congelato, ma non mancano i segnali che, al contrario, è pronto a riesplodere. A Kiev, contemporaneamente, si prepara un prossimo probabile stravolgimento politico. Nella capitale già si fanno i nomi dei possibili nuovi capi del governo, con la rediviva Yulia Tymoshenko e Volodymyr Groysman, fedelissimo di Poroshenko, in pole position.
Il governo del premier Arseni Yatseniuk è infatti ormai vicino al collasso, minacciato dalle pressioni interne di una coalizione di partiti nazionalisti e fascistoidi, obbedienti a oligarchi in competizione tra loro, che sembra arrivata al capolinea. Le guerre tra gli oligarchi, la sempre più catastrofica situazione economica e i vizi del vecchio sistema corrotto ulteriormente amplificati, insieme con nuove fibrillazioni e la scia di sangue dei recenti omicidi politici, raffigurano un quadro interno altamente instabile. Troppo instabile anche per gli sponsor europei del nuovo regime, che vogliono un raffreddamento della tensione con Mosca, la normalizzazione dei rapporti con le Repubbliche Popolari in attesa di capire quale nuovo status dare ai territori ribelli dell’est che non è possibile sconfiggere militarmente.
L’alleanza tra il Blocco del presidente Petro Poroshenko (filoeuropeo anche se non ostile a Washington) e il Fronte popolare guidato dal premier Yatseniuk (di stretta osservanza Nato), i due maggiori partiti alla Rada, sembra ormai esaurita e secondo gli analisti nel migliore del casi il ricambio al vertice del governo è dietro l’angolo: in quello peggiore, se non si trovassero alternative parlamentari per una nuova coalizione, si aprirebbe la via anche per elezioni anticipate che potrebbero aumentare la rappresentanza e il potere di ricatto delle forze di estrema destra, in alcuni casi apertamente neonaziste, che da tempo incitano a una nuova Maidan, a una ‘nuova rivoluzione’ per portare a termine quel repulisti che, a detta dei settori più estremisti, sarebbe rimasto incompiuto.
L’elettorato ucraino è del resto profondamente deluso dall’azione del primo ministro e del presidente, che nonostante i proclami non sono riusciti a mantenere le promesse di rinascita dopo il golpe filoccidentale del febbraio dello scorso anno. Se la dispendiosissima guerra contro le popolazioni del Donbass ha svuotato le casse dello stato già vuote e ha chiarito l’inettitudine dei nuovi governanti, la nuova élite si è incartata anche su tutto il resto riuscendo in poco tempo a peggiorare verticalmente le condizioni di vita della popolazione e a mettersi al collo la corda del Fondo Monetario Internazionale. Il risultato emerge con chiarezza da un sondaggio secondo cui solo il 2,6% degli ucraini dà oggi la piena fiducia al governo, solo l’8% al presidente, dati del Razumkov Center risalenti a fine marzo, peggiori addirittura di quelli degli ultimi tempi della coppia Mykola Azarov-Viktor Yanukovich, il premier e il presidente spodestati dalla spallata dei partiti di destra poco più di un anno fa.
L’unità della maggioranza di governo è da tempo a rischio e le divergenze tra i cinque partiti che la compongono sono emerse fin da principio, da quando all’inizio di dicembre 2014 è nato il governo Yatseniuk II, sulle orme del primo formato nella primavera di un anno fa appena dopo il golpe. I conflitti maggiori si sono avuti tra presidente e primo ministro, che nonostante l’unità di facciata, sono rappresentanti di diversi gruppi di potere in eterna e crescente concorrenza. E i problemi sono emersi dalle nomine sugli amministratori delle grandi aziende e nell’amministrazione ai rapporti con gli oligarchi, dalla gestione della crisi nel Donbass alle relazioni pericolose con i battaglioni punitivi formati da estremisti di destra sempre più pretenziosi e incontrollabili (quelli integrati nella Guardia Nazionale che 300 istruttori statunitensi stanno addestrando e armando da pochi giorni).
Blocco Poroshenko e Fronte Popolare avrebbero inoltre in realtà da soli la maggioranza alla Rada, ma al governo sono stati imbarcati sin dall’inizio il partito di Yulia Tymoshenko (Patria), quello dell’ex sindaco di Leopoli Andrei Sadovy (Auto aiuto) e quello del nazionalpopulista Oleg Lyashko. Le tre piccole formazioni hanno dimostrato insofferenza soprattutto nei confronti del primo ministro, finito nell’occhio del ciclone dopo le accuse di corruzione da parte dell’ex capo del servizio statale di ispezione finanziaria Nikolai Gordienko. Che siano vere o meno, le rivelazioni diffuse da Gordienko appena dopo la sua sostituzione nell’ambito della solita cruenta spartizione delle poltrone, hanno messo in forte imbarazzo l’intera compagine governativa. Poroshenko continua per il momento a dare fiducia a Yatseniuk, ma l’aria a Kiev si è fatta davvero pesante. Le minacce di uscita dal governo dei tre partiti minori fanno parte del gioco politico ma è chiaro che rimanere al timone con una maggioranza risicata sarebbe per presidente e primo ministro una storia di breve periodo, considerati i compiti da affrontare, dalla sfida economica a quella delle riforme costituzionali.
Ecco perché dietro le quinte si ragiona su possibili maggioranze e premier alternativi con nomi vecchi e nuovi. In pole position ci sono Yulia Tymoshenko, poi Volodymyr Groysman, fedelissimo di Poroshenko e attualmente vice primo ministro e anche Natalia Yaresko, ora alle Finanze (statunitense di origini ucraine).
Per l’analista Vadim Karasiov in realtà il nome di chi prenderà il timone del governo è relativamente importante, rispetto a come saranno i nuovi equilibri di fondo. Quello che è certo è che le carte di Yatseniuk sono ormai al ribasso, dopo aver perso anche in apparenza il supporto diretto dell’oligarca Igor Kolomoiksy, costretto alle dimissioni da governatore della regione di Dnirpopetrovsk proprio da Poroshenko. Secondo gli analisti Yatseniuk avrebbe ormai perso anche l’appoggio esterno degli Stati Uniti, che ora punterebbero su Poroshenko per mantenere la stabilità del Paese, costretti a riconoscere implicitamente il ruolo dell’Unione Europea nell’area.
Resta da vedere dunque come e quando arriveranno i primi avvicendamenti ufficiali che non ci saranno prima delle tradizionali festività di maggio, con l’anniversario del 70 anniversario della vittoria sovietica sul nazismo che nonostante gli screzi con la Russia verrà festeggiato a Kiev in pompa magna anche se il regime ucraino ha equiparato comunismo e nazismo e celebrerà la tradizionale festività in chiave ultranazionalista.
Intanto una lieve boccata d’ossigeno – che in realtà stringe ulteriormente il cappio del debito attorno ai disillusi ucraini – lo ha dato in queste ore l’Unione Europea che ha stanziato 250 milioni di euro in prestiti a favore di Kiev, portando così a 1,6 miliardi di euro la cifra per sostenere un’economia al collasso per la guerra contro i ribelli del Donbass. Naturalmente l’Ue pretende da Kiev, in cambio del sostegno finanziario, un programma di ‘riforme’ che ricalca quelle imposte in questi anni ai paesi sottoposti in Europa al commissariamento da parte della Troika: privatizzazioni, tagli del settore pubblico, diminuzione dei sussidi, aumento dell’età pensionabile e licenziamenti nella pubblica amministrazione, aumento delle tariffe energetiche ecc.
Intanto l’altro ieri un soldato ucraino è stato ucciso e un altro ferito sulla linea del fronte nel corso dei combattimenti tra le milizie popolari del Donbass e l’esercito, che continuano in forma ridotta nonostante il cessate il fuoco teoricamente in vigore. Si tratta della prima vittima registrata tra le forze ucraine dal 15 aprile scorso,  quando l’esercito rese nota l’uccisione di un altro militare. 

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