Il generale Gilbert Diendéré, principale protagonista del tentativo di colpo di stato dello scorso 17 settembre in Burkina Faso e l’ex Ministro degli esteri Djibrill Bassolé – a capo del dicastero durante la presidenza di Blaise Compaoré, a sua volta autore del golpe che nel 1987 portò all’assassinio di Thomas Sankara e alla fine dell’esperimento socialista nel paese – sono stati arrestati ieri con 11 capi di imputazione.
L’accusa principale è quella di “attentato alla sicurezza dello stato”, ma la France Presse parla anche di “collusione con forze straniere per destabilizzare la sicurezza interna”, “omicidio”, “lesioni volontarie”, “distruzione intenzionale di proprietà”.
Diendéré, scriveva ieri Jeune Afrique, si era consegnato spontaneamente alla giustizia lo scorso 1 ottobre, dopo essersi rifugiato per alcuni giorni presso la nunziatura apostolica di Ouagadougou. Lo stesso aveva fatto un altro militare, il tenente colonnello Mamadou Bamba che, il 17 settembre, aveva letto in TV il comunicato dei golpisti. Le autorità avevano fermato anche il vice presidente del Movimento Tuareg di liberazione nazionale Azawad (MNLA), Mahamadou Maïga Djeri; interrogato per diverse ore perché sospettato di aver fornito supporto logistico per il colpo di stato, era stato poi rilasciato.
Da parte sua, Djibrill Bassolé, figura di spicco del regime di Compaoré, fermato fin dal 29 settembre, ha finora negato qualsiasi coinvolgimento nel colpo di stato.
Il Consiglio costituzionale aveva respinto, a inizio settembre, la sua candidatura alle elezioni presidenziali, inizialmente fissate per l’11 ottobre e poi rinviate (per ora) a novembre, in seguito al tentativo di golpe di Diandéré e del Reggimento di sicurezza presidenziale (RSP) da lui capeggiato. Tentativo che aveva tra gli obiettivi dichiarati anche quello di “garantire elezioni inclusive”, cioè che permettessero la candidatura anche di uomini legati a Compaoré. Tra questi, il più in vista era appunto Bassolé, escluso dalle liste sulla base di una legge elettorale approvata ad aprile, che definiva “non ammissibili” tutti coloro che a suo tempo avevano sostenuto il “cambiamento incostituzionale”, termine riferito al disegno di legge di revisione della Costituzione che avrebbe permesso a Blaise Compaoré di rimanere al potere e che invece portò alla sua cacciata a furor di popolo un anno fa.
Prima di Diendéré e Bassolé, lunedì erano stati interrogati Léonce Koné, secondo vice presidente del Congresso per la democrazia e il progresso (CDP – il partito di Compaoré) e di Hermann Yaméogo, presidente dell’Unione nazionale per la democrazia. Successivamente, con una cerimonia simbolica, era stato disarmato il Reggimento di sicurezza presidenziale (di fatto, già sciolto il 25 settembre), sancendo formalmente la fine del corpo pretoriano di Compaoré, responsabile del tentato putsch. Le centinaia di cittadini presenti avevano scandito slogan del tipo “Diendéré assassino”, “Diendéré alla Corte penale internazionale”. Il primo ministro Isaac Zida, arrestato dai golpisti e reintegrato nella carica a golpe rientrato, nel corso della cerimonia aveva dichiarato che “Dalla sua formazione, nel 1995, il RSP è sempre stato usato dal presidente Compaoré per frenare le aspirazioni legittime del popolo burkinabé a una reale vita democratica”, benché lui stesso ne fosse stato a capo per un certo periodo.
Segnale significativo del miglioramento della situazione, scriveva la scorsa settimana Jeune Afrique, il fatto che il presidente Michel Kafando, reintegrato nella carica il 23 settembre, si sia recato il 1 ottobre all’Assemblea generale dell’ONU, così che a Ouagadougou la situazione pare in via di stabilizzazione, dopo che negli scontri tra ribelli e manifestanti, scesi in piazza sin dalle prime notizie del tentato golpe, 11 persone erano rimaste uccise e oltre 270 ferite. Rimane tuttavia ancora in vigore il coprifuoco dalle 23 alle 5,30.
A questo punto non è perfettamente chiara la questione delle elezioni che, se non interverranno altre novità, dovrebbero tenersi il 22 novembre. Infatti, secondo il compromesso raggiunto nelle settimane scorse tra golpisti e governo di transizione (a fare da mediatore, per conto della Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale, era intervenuto il presidente senegalese Macky Sall) uno dei punti più controversi era costituito proprio dalle elezioni, cui potranno partecipare anche i candidati – inizialmente esclusi con la legge elettorale di aprile – legati all’ex presidente Compaoré. Ora, con l’arresto di Bassolé, rimane da capire se il CDP presenterà altre candidature o si asterrà dalla partecipazione. Degli altri punti del compromesso, sono stati attuati il ripristino dei poteri di transizione, a partire dalla presidenza di Michel Kafando e, soprattutto, è stata decisa la sorte del RSP: sciolto.
Qualche strascico continua invece ad accompagnare proprio il compromesso di per sé, frutto delle trattative del 18-20 settembre. Sin da subito, era stato definito “vergognoso” dal movimento Balai citoyen, che nell’ottobre 2014 aveva guidato la rivolta contro Compaoré; anche il presidente del Consiglio nazionale di transizione (il parlamento), Chérif Sy, lo ha qualificato come “indecente”, perché “incoraggia l’impunità” e addirittura il presidente Kafando se ne è nettamente smarcato, lamentando di non essere stato consultato in anticipo. Stando all’entourage di Macky Sall, questi, che non ha poi partecipato, il 23 settembre, alla cerimonia di reinsediamento di Kafando, il 18 settembre, appena giunto a Ouagadougou, aveva detto a Diendéré e agli uomini del RSP “non sono venuto per negoziare, sono venuto ad ascoltare, ma anche a dirvi che vi sbagliate”. La polemica si è sviluppata attorno ad alcuni punti, considerati salienti, del compromesso: in particolare, il reintegro dei candidati vicini a Compaoré nella competizione elettorale e l’amnistia per i golpisti.
Sia come sia, secondo Standard & Poor’s, avvezza alla maniera statunitense ad andare al sodo delle questioni, il tentato golpe del 17 settembre non sembra aver influito particolarmente sulle capacità del Burkina Faso di rimborsare il proprio debito. S&P, ricorda Jeune Afrique, mantiene quindi la valutazione “B-/B” dello scorso giugno, dopo che l’aveva ridotta a “B-” nel dicembre 2014, a causa delle tensioni politiche e delle manifestazioni di massa per la cacciata di Compaoré. Secondo S&P, l’economia burkinabé dovrà crescere del 4% quest’anno e del 6% nel 2016, con un deficit sul PIL rispettivamente del 2,5% e 4% e un indebitamento del 29,6% e 31,3%. Il rating potrebbe tuttavia venir abbassato, scrive S&P, “se la gestione del debito sarà compromessa da disordini legati alle elezioni”. Si comprende così un po’ meglio il lavoro di ricucitura tentato da Macky Sall per conto di quel Consiglio economico dell’Africa Occidentale (Cedeao) di cui diverse fonti africane scrivono che, il meglio che se ne possa dire, è che sia al servizio di UE, FMI, Banca Mondiale e monopoli francesi.
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