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Odessa: secondo anniversario della strage nazista

Non sono mancate le provocazioni di Pravyj Sektor, ieri a Odessa, contro gli attivisti, anche internazionali (oltre 150 rappresentanti di organizzazioni europee, statunitensi, canadesi e asiatiche avevano annunciato la presenza) e semplici cittadini radunati fuori del Campo Kulikov, per commemorare le vittime della strage alla Casa dei sindacati, il 2 maggio di due anni fa. L’area attorno alla Casa dei sindacati e al Campo Kulikov era stata chiusa con alcuni giorni di anticipo, sorvegliata dalla polizia. Una sorveglianza evidentemente lacunosa se, dalla mattina di ieri, si era addotta la ricerca di alcuni ordigni esplosivi per giustificare l’accerchiamento della zona con oltre 3.000 agenti di polizia e reparti speciali antiterrorismo “Alfa”, spalleggiati da centinaia di squadristi del battaglione neonazista “Azov”. Nessun ordigno è stato rinvenuto (tre bombe a mano sono state invece trovate in un sottopassaggio nelle vicinanze), ma il cordone di polizia non è stato tolto e le cinquemila persone presenti alla commemorazione hanno deposto mazzi di fiori ai piedi dei poliziotti, fuori del Campo Kulikov.

Nel corso della cerimonia, un anziano manifestante è morto, colpito da infarto. Testimoni affermano che i medici sono arrivati sul luogo diversi minuti dopo esser stati allertati, nonostante attorno al meeting fossero di servizio molte autoambulanze. Il ricordo è così andato a quanto raccontato da alcuni testimoni della tragedia del 2014, secondo i quali molti sanitari, quel giorno, si complimentavano reciprocamente per la sorte toccata alle centinaia di attivisti antimajdan, molti dei quali finirono bruciati vivi all’interno della Casa dei sindacati, dove avevano cercato rifugio dagli assalti degli squadristi di Pravyj Sektor e della cosiddetta “Autodifesa di Majdan” provenienti da Kiev, insieme a “tifosi” della squadra di calcio di Kharkov, che avevano sfilato in una marcia “per l’unità dell’Ucraina”. Al campo Kulikov, i “patrioti” cominciarono a distruggere i gazebo sotto cui gli attivisti di antimajdan raccoglievano firme per il referendum sulla federalizzazione dell’Ucraina e la concessione al russo dello status di lingua ufficiale; travolti dai neonazisti, cercarono rifugio all’interno della Casa dei sindacati, ma vi finirono bruciati vivi, o asfissiati dal fumo o morti lanciandosi dalle finestre e finiti a colpi di pistola al grido banderista “Gloria all’Ucraina”, sotto gli occhi della polizia.

Ieri, alcune fonti riprese dalla Tass, riferivano che il numero dei morti del 2 maggio 2014 potrebbe essere stato di oltre 115 e l’ex primo ministro ucraino pre-golpe, Nikolaj Azarov, ha scritto che potrebbe addirittura aver superato di dieci volte quello ufficiale sinora divulgato, di 48 persone morte, tra cui alcune donne e un bambino. Azarov cita lo storico odessino Aleksej Ivakin, che ha pubblicato i nomi di 397 morti: “Si capisce che il regime di Kiev faccia di tutto” scrive Azarov, “per nascondere la verità su questa tragedia. Ma non è assolutamente comprensibile, come mai USA, Germania, Francia, Gran Bretagna e altri paesi, che si definiscono civili e democratici, tacciano su questo delitto”.

Finora nessuno è stato arrestato per la strage, anche se accuse sono state mosse a qualche vertice della polizia di Odessa; al contrario, decine di attivisti antimajdan sono tuttora detenuti, altri sono agli arresti domiciliari, accusati di detenzione di armi. Sostanzialmente, i giudici hanno stabilito che nessuno avrebbe “intenzionalmente” appiccato il fuoco alla Casa dei sindacati: come se le molotov lanciate contro l’edificio, invece che benzina, contenessero davvero uno squisito cocktail e le fiamme siano da imputarsi (come è stato detto) al “forte vento” di quel giorno che le avrebbe spinte all’interno dell’edificio, dopo che gli antimajdanisti avevano essi stessi acceso un fuoco. A fine 2015, il Gruppo consultivo internazionale istituito dal Consiglio d’Europa ha stabilito che le indagini condotte dalle autorità ucraine non hanno raggiunto risultati sostanziali, a causa dei numerosi ostacoli frapposti a livello politico.
Spicca il silenzio da parte del Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon: il suo portavoce ha dichiarato di non aver nulla da aggiungere al pilatesco “dolore per le vittime degli scontri” espresso all’indomani del 2 maggio 2014.

Ieri intanto ai giornalisti è stato vietato di riprendere il meeting, così che le uniche immagini diffuse provengono dalle videocamere dei cellulari. Ad alcuni giornalisti e attivisti stranieri è stato persino vietato l’ingresso nel paese: è accaduto al giornalista tedesco Saadi Isakov, al polacco Tomash Matseychuk e ad altri corrispondenti stranieri, bloccati alla frontiera. Il primo si era segnalato per aver indicato, nei suoi servizi, l’attuale speaker della Rada Andrej Parubij tra i principali responsabili della macchinazione golpista che portò al massacro alla Casa dei sindacati. Molti dei presenti al meeting, ieri portavano in effetti cartelli con la fotografia di Andrej Parubij e la scritta “assassino”. All’epoca dei fatti egli era segretario del Consiglio nazionale di sicurezza, dopo aver ricoperto il ruolo di “Comandante di euromajdan” e capo della cosiddetta “Autodifesa di Majdan” e da più parti viene indicato come uno dei principali responsabili dei fatti del 2 maggio 2014. A Tomash Matseychuk è stato vietato l’ingresso in Ucraina per cinque anni, quale “minaccia alla sicurezza del paese”; Matseychuk ha dichiarato che la stessa sorte potrebbe toccare anche alle decine di giornalisti europei e statunitensi il cui arrivo è previsto in Ucraina per oggi e per i prossimi giorni.

Meeting a ricordo della strage di Odessa si sono svolti in moltissime città russe e del Donbass.

Mancano per ora commenti da parte dei vertici governativi, a parte il solito yankee-ex-georgiano governatore di Odessa Mikhail Saakašvili, che non ha perso l’occasione di attribuirsi il merito per “l’assenza di incidenti” di ieri, “nonostante i piani dei nostri nemici”: dopo il 25 aprile aveva dichiarato di esser stato incaricato dal presidente Porošenko di introdurre a Odessa un migliaio di uomini supplementari tra polizia e Guardia nazionale. Pare che siano stati più che sufficienti a consentire la provocazione tentata da Pravyj Sektor e ad arrestare l’unico manifestante che aveva risposto con qualche urlo alla provocazione.

Degno del personaggio invece il commento del (ci si scusi il termine) deputato del Partito Radicale Igor Mosijčuk, ex vice comandante del battaglione neonazista “Azov”, che ha auspicato l’istituzione di una “festa nazionale” per il 2 maggio. Due anni fa a Odessa” ha detto il nazista, gli ucraini “riportarono la prima vittoria nell’attuale guerra nazionale di liberazione. Non solo salvammo Odessa dall’aggressione del mondo russo, ma per la prima volta mostrammo i denti all’aggressore. Il trionfo ucraino a Odessa è diventato l’inizio della fine del mondo russo”. L’auspicio di un nazista può forse aiutare l’ex premier Azarov a comprendere “come mai i paesi che si definiscono civili e democratici, tacciano su questo delitto”.

Fabrizio Poggi

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