La ‘vendetta’ del “sultano” Erdogan dopo il fallito golpe del 15 luglio sta letteralmente cambiando il volto del paese e delle sue istituzioni; un’opera di vera e propria ingegneria sociale repressiva senza precedenti in una Turchia che pure da sempre è abituata a regimi autoritari, alla invadente tutela dell’esercito, alla discriminazione delle minoranze etnico-religiose e delle dissidenze culturali e politiche.
Finora secondo calcoli approssimativi – non è facile star dietro alla foga e all’ampiezza delle purghe messe in atto dal regime – sarebbero oltre 55 mila le persone finite sotto la scure del governo, alle quali occorre aggiungere le undicimila finite in manette o ai domiciliari.
“Abbiamo deciso l’instaurazione dello stato d’emergenza per tre mesi” ha annunciato il presidente turco per l’occasione tornato per la prima volta ad Ankara dopo i fatti di venerdì sera per partecipare alla riunione del Consiglio di sicurezza nazionale. “Altri nomi arriveranno nei prossimi giorni. Non abbiamo ancora finito” ha minacciato assicurando che comunque la Turchia “non si allontanerà mai dal sistema della democrazia parlamentare”. Ma se già prima dell’inizio del controgolpe la democrazia parlamentare turca era poco più che un simulacro, ora Erdogan mira direttamente a bypassare l’assemblea dove pure può contare sulla maggioranza assoluta e tramite lo stato d’emergenza avoca a sé e ai suoi uomini più fedeli il controllo totale dello Stato, l’opportunità di cancellare il diritto a manifestare e la libertà di movimento, la possibilità di introdurre la censura o il coprifuoco senza neanche la farsa del voto parlamentare come era avvenuto finora. Con lo Stato d’emergenza, previsto dall’articolo 120 della Costituzione, il Consiglio dei ministri, presieduto dal capo dello Stato, può “emettere decreti aventi forza di legge”, sottoposti lo stesso giorno all’approvazione del Parlamento.
E’ proprio oggi pomeriggio quel parlamento ammutolito e blindato ha approvato in tempi record la misura con 346 voti a favore – i deputati dell’Akp ma anche una parte dei nazionalisti di destra dell’Mhp – e 115 contrari, i repubblicani del Chp e le sinistre curde e turche dell’Hdp, entrambi schiacciati dalla repressione governativa e dalla mobilitazione intimidatoria dei sostenitori del regime. Ben 89 i parlamentari assenti.
“Questa è disonestà, ingratitudine, un golpe civile contro il Parlamento” ha denunciato il capogruppo dei nazionalisti laici Ozgur Ozel. Per il Partito Democratico dei Popoli, sui cui parlamentari pende già la possibilità di destituzione e arresto a causa di una legge varata ad hoc pochi mesi fa che permette l’annullamento dell’immunità in caso di indagini sui deputati, “il tentativo di golpe del 15 luglio si è trasformato in un’opportunità e uno strumento per liquidare chi contesta il governo e per limitare ulteriormente i diritti democratici e le libertà. La gente è stata costretta a scegliere tra un golpe e un regime. Respingiamo con forza entrambe le opzioni”.
Erdogan ha definito la misura “necessaria per sradicare rapidamente tutti gli elementi dell’organizzazione terroristica implicati nel tentativo di colpo di Stato”, ovvero i sostenitori del presunto mandante del golpe, l’imam Fethullah Gulen, attualmente in esilio negli Stati Uniti.
Erdogan ha poi fatto allusione alla complicità di stati stranieri del fallito golpe e si è rivolto con parole molto dure all’Unione Europea, che da giorni gli ricorda l’incompatibilità tra pena capitale e adesione. “Per 53 anni abbiamo bussato alla porte dell’Unione europea e ci hanno lasciato fuori, mentre altri entravano. Se il popolo decide per la pena di morte, e il Parlamento la vota, io la approverò” ha detto.
Erdogan continua a procedere come uno schiacciasassi, finché ha il vento in poppa e prima che le contraddizioni gli esplodano tra le gambe. Come una sempre più probabile crisi economica, con l’agenzia di rating SP Global Ratings che ha abbassato la valutazione della Turchia da BB+ a BB mentre il turismo continua a crollare e gli investitori stranieri a prendere il largo.
Il ‘sultano’ ha chiesto ai suoi sostenitori di rimanere mobilitati e di scendere di nuovo in strada, e ieri Piazza Taksim – che nel 2013 rappresentò per mesi l’epicentro di un enorme movimento di massa che contestava il carattere autoritario del regime, l’islamizzazione del paese, la speculazione, il sostegno ai jihadisti in Siria – è stata per l’ennesima volta occupata da una folla di islamisti ed ultranazionalisti. E da un palazzo pendeva un enorme striscione che recitava “Gulen sei un cane del diavolo e ti impiccheremo”.
Questo mentre l’aviazione turca tornava a colpire le postazioni del Pkk in Irak dopo alcuni giorni di stop, uccidendo alcune decine di guerriglieri curdi.
Dopo aver annunciato lo stato di emergenza per i prossimi 3 mesi – anche se il governo ‘spera’ di poterlo revocare se tutto va bene tra 45 giorni – il vicepremier e portavoce del governo di Ankara, Numan Kurtulmus ha informato che “la Turchia sospenderà la Convenzione europea sui diritti umani”, che peraltro il regime attuale e quelli precedenti non hanno mai rispettato. Ai paesi che hanno rimbrottato Ankara i membri del governo hanno risposto invitando – è il caso di Parigi – a farsi i fatti propri e che comunque una misura simile è stata adottata anche dal governo francese.
La notizia della sospensione della Convenzione europea sui diritti umani giunge contemporaneamente a quella dell’arresto presso l’aeroporto Ataturk di Istanbul di Orhan Kemal Cengiz, noto editorialista del quotidiano Ozgur Dusunce e avvocato per i diritti umani, e di sua moglie Sibel Hurtas, anche lei giornalista, poi rilasciata dopo qualche ora. Nei giorni scorsi, il nome di Cengiz era apparso in una presunta lista nera comprendente decine di giornalisti, diffusa da un account Twitter gestito da sostenitori di Erdogan.
Senza neanche bisogno dello stato d’emergenza il regime in sei giorni ha fatto destituire o sospendere dal loro incarico circa 55 mila tra militari, poliziotti, imam, funzionari di vari ministeri, magistrati, docenti universitari, insegnanti, dipendenti pubblici, fino ad arrivare al richiamo in patria degli accademici attualmente all’estero e alla sospensione del diritto di viaggiare per milioni di dipendenti pubblici. Le cifre del ‘repulisti’ sono impressionanti: tremila giudici rimossi, 20 mila dipendenti del Ministero dell’Istruzione sospesi, 21 insegnanti buttati fuori dalle scuole, centinaia di rettori e presidi di facoltà costretti a dimettersi. Uno di loro, il rettore della prestigiosa università Gazi di Ankara, Suleyman Buyukberber, è stato arrestato, ovviamente con l’accusa di appartenere alla ‘rete terroristica’ presieduta dall’imam/magnate Gulen. Stessa sorte per altri due giudici della Corte Costituzionale, dopo i due colleghi finiti in manette nei giorni scorsi. L’agenzia di stampa ufficiale Anadolu informa anche che il ministero dell’Istruzione ha avviato la chiusura di 626 istituzioni educative, quasi tutte private.
A proposito delle purghe nell’esercito, invece, 109 tra generali e ammiragli sono agli arresti in attesa di processo e 262 giudici e procuratori militari sono stati destituiti. Durante la giornata odierna quasi 400 tra soldati e ufficiali sono stati arrestati nella provincia di Sirnak, una di quelle dove da mesi l’esercito si scontra con la guerriglia curda, bombarda le città e ammazza centinaia di civili. Sempre oggi è stato arrestato il luogotenente Ali Saribey, accusato di aver fatto parte del commando di 25 soldati delle forze speciali che la notte del golpe ha cercato di catturare il presidente Erdogan con un blitz in un hotel di Marmaris, sulla costa egea.
E ieri il Consiglio nazionale di Sicurezza (Mkg), tra le altre misure, ha deciso anche la creazione di un tribunale speciale per i processi ai ribelli e di un carcere di massima sicurezza per la loro detenzione.
Marco Santopadre
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