Addio ufficiale all’Unione Europea coesa, omogenea, pacifica, in via di sviluppo per tutti. Addio all’idea, ovviamente, perché la realtà dimostra da anni – e ampiamente – l’opposto.
A Versailles è andato in scena il vertice europeo più strano degli ultimi anni. Non il solito – e relativamente solido – incontro a due franco-tedesco, l’asse che determina scelte e politiche da almeno un cinquantennio. Né un incontro dell’eurozona (18 paesi) e nemmeno della larghissima Unione Eurpea a 27, con i rompiscatole chiagne-e-fotti dell’Est. Ma un più prosaico meeting tra i quattro paesi più popolosi e produttivi: Germania, Francia, Italia e Spagna.
Base di discussione: l’Europa a due velocità, con maggiore integrazione e cessioni di sovranità all’interno di un nucleo centrale, e un cerchio più esterno di satelliti, che potranno andare anche a velocità diverse, nell’eterna attesa di raggiungere gli standard fissati per la serie A.
E’ una presa d’atto dell’impossibilità di viaggiare tutti insieme alla velocità di crociera resa indispensabile dall’aumentata competizione globale – la vittoria di Trump e la Brexit hanno devastato il quadro strategico durato un quarto di secolo, per non parlare della sequenza incredibile di follie commesse ai danni di alcuni paesi meriorientali e della Grecia– e soprattutto dell’impossibilità di approvare decisioni efficaci con il metodo paralizzante dell’”uno-vale-uno”.
Dunque i quattro paesi più importanti sono stati messi da Angela Merkel davanti al bivio decisivo: bisogna accelerare l’integrazione tra chi ci sta e può riuscirci, perché «se ci fermiamo tutto quello che abbiamo costruito potrebbe crollare».
Le celebrazioni per il sessantesimo dei Trattati di Roma – nella capitale, tra due settimane – saranno dunque l’occasione per avviare il “nuovo corso”. Come ha spiegato enfaticamente Francois Hollande, «Non vogliamo solo commemorare i Trattati di Roma, ma affermare insieme l’impegno per il futuro. Francia, Germania, Italia Spagna hanno la responsabilità di tracciare la strada; non per imporla agli altri ma per essere una forza al servizio dell’Europa che dà impulso agli altri».
Il problema più grande è che questo team “propulsivo” ha in comune soltanto l’alta quantità di popolazione, mentre sul piano economico e della coesione politica almeno due membri con grossi problemi (Spagna e Italia, considerando per il momento improbabile una vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali francesi). L’Italia, in particolare, stanti i parametri di Maastricht e l’ottusa insistenza di Bruxelles sul loro rispetto al millesimo, può aspirare a restare nel nucleo duro solo adottando politiche infernali di riduzione del debito pubblico e distruzione degli ultimi scampoli di welfare (a cominciare dalle pensioni e dalla sanità). Il che, però, renderebbe la gestione dl paese politicamente pià problematica di quanto non sia stata finora, considerando anche il livello infimo della “classe politica” nazionale.
Insomma, sarebbe stato più logico – sulla base della salute economico-politica – chiamare al vertice Olanda, Finlandia e Lussemburgo, invece che il due latinos barcollanti. Peccato che quei tre nanerottoli in buona salute non abbiano nulla da offrire sul piano strategico più importante.
C’è sempre un perché a lungo sottaciuto, sminuito, silenziato. La verità è però infine sfuggita, non a caso, dalla labbra di Hollande: «La Difesa è un argomento scientemente evitato dai Trattati di Roma. Oggi l’Europa può invece rilanciarsi con la Difesa, per garantirsi la sicurezza, essere attiva a livello globale, cercare le soluzioni ai conflitti che la minacciano. Questa deve essere, in coerenza con l’impegno Nato, la nostra priorità».
La competizione globale, sul piano economico, è solo un lato della crisi europea. Molto più importante – a quanto sembra – sta diventando la competizione militare. Che, come insegna il modello di sviluppo statunitense, può in qualche misura funzionare da motore dell’economia, sviluppando quel “complesso militare-industriale” che solo la Francia, tra i quattro big riuniti a Versailles, può al momento esibire in dimensioni e standard tecnologici accettabili.
La prima velocità europea, dunque, sarà in larga misura militare, E quando si mettono in comune gli eserciti, e i relativi centri di comando, non è che poi si possono battere i pugni sul tavolo per “margini di flessibilità supplementari” dal lato finanziario.
La nuova Unione Europea sarò insomma assai meno pacifica di quella “vecchia”, distruggendo così anche l’ultimo paravento retorico a sostegno dell’ideologia europeista.
Un buon motivo in più per manifestare sabato 25 marzo a Roma contro il vertice dell'Unione Europea delle banche, dei padroni… e delle guerre. Appuntamento alle 14.00 in Piazza della Repubblica per il corteo
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