SHIRAZ-TEHERAN – “Non farmi innamorare di quel volto, non lasciate che l’ubriaco abbracci il venditore di vino, Sufi, sai il ritmo di questo cammino. Gli amanti e gli ubriachi non sono disonesti”. Per riavvicinare la trasgressione bisogna scendere fino a Shiraz. Se non profondo sud, certamente circondata da un calore non solo climatico ma dalla gioia di vivere che da secoli, secondo gli antropologi, caratterizza questa terra e la sua gente, non a caso culla di Hafez. E’ lui l’autore dei versi citati e venerati, il poeta dei poeti persiani, incastonato nella grande storia come e più di Ciro o Dario, immortale come mai lo è stato nessuno Shah e probabilmente non lo sarà lo stesso Khomeini. Un vate del XIV secolo, cantore mistico e carnale dell’amore, compagno tuttora veneratissimo di tanti iraniani, che possono recitare il Corano e i suoi versi col medesimo trasporto.
La tomba di Hazef, nel magnifico parco di Musalla inghirlandato di rose, i cui profumi si mescolano ai fiori d’arancio irrigati come in ogni paradisiaco giardino persiano da canaletti d’acqua, ha un via vai perenne e gioioso. Vi giungono da ogni dove comitive e scolaresche. Lo visitano coppie d’innamorati e famiglie mature con prole adulta. Tutti sfiorano la tomba d’alabastro del vate, lo omaggiano leggendone strofe su libretti o direttamente su una stele marmorea posta accanto al tempietto sopraelevato. Festa, sorrisi, desideri si mescolano sui volti, anche quelli delle non poche ragazze in chador che s’uniscono alle cosiddette mal velate, fiere e compiaciute quest’ultime di hijad coloratissimi e quasi sbarazzini. E’ il clima leggiadro già incontrato in un pezzo di Teheran, quando si sale verso Tajrish, zona nord della capitale, che può essere paragonata all’Apadana della mitica Persepoli.
E’ lì, fra Shemiran e dintorni, che alloggia il ceto medio e alto di una metropoli, comunque, in evoluzione con mega edifici a decine di piani che prendono il posto dei palazzi malandati che hanno sessanta o più anni, ogni tanto afflitti da crolli. L’orizzonte è anche costellato da scheletri di costruzioni rimaste tuttora incompiute per i citati problemi di transazione bancaria, una zavorra tuttora pesante per le ditte che con l’Occidente hanno ripreso collaborazioni e joint-venture. Un’ampia area è di fatto zona residenziale abitata da manager, imprenditori medi e piccoli, che si barcameno fra un mercato privato e quello comunque controllato dallo Stato tramite bonyad e fondazioni. L’immagine mercantile e commerciale da modello occidentale pone il Centro Commerciale Arg, come nuova frontiera frequentata, ma forse non adorata da una clientela giovanile e anziana, la stessa che s’inoltra nel tradizionale bazar presente sul lato opposto della grande piazza.
Immagini, più che simulacri del commercio, i due mondi convivono, alla stregua di chi li frequenta, seppure nel sovrastante complesso Sadabad, residenza estiva dell’ultimo Shah Pahlavi, incastonato nello spettacolare parco sottostante la catena montuosa che a settentrione cinge Teheran, e nel frequentatissimo santuario Imamzadeh Saleh, lo spirito dei visitatori viaggia su terreni distinti. Non che l’iraniano medio non possa visitare e stupirsi dei sontuosi arredi (oggi adibiti a esposizione museale per lo stupore dei turisti) di cui il sanguinario e megalomane Reza si circondava, ma l’approccio a quello sfarzo potrà risultare storicamente e politicamente sdegnoso oppure nostalgico.
Fra taluni iraniani di mezza età e anche più maturi, magari per semplice retaggio familiare o per saturazione verso il potere clericale, un certo rimpianto persiste. E si mescola al desiderio di laicità, non necessariamente esibita attraverso il lusso che, anche fra costoro, non tanti possono permettersi o desiderano mostrare. Però il distinguo, la diversità dall’osservanza o dall’obbedienza, che nelle donne si riflette con l’abbigliamento, e nelle più giovani con un approccio quasi modaiolo di gestualità ed esteriorità, nel genere maschile si maschera maggiormente.
Invece s’esprime ribelle nel dialogo con interlocutori casuali quali siamo, che non mostrano tratti somatici iraniani. Si può intuire ciò che è già noto riguardo alla” trasgressione” delle feste private dove, in pace con Allah, si canta e si balla. Dove si può si beve alcol, come sfogo alla proibizione. Ma al di là di tendenze conosciute che si ripetono, è la dimensione politica che attualmente sembra mancare agli iraniani sognatori d’un altro Iran, che per tanti non significa un ritorno al passato, bensì aperture verso un altro futuro.
Ce lo conferma Mahmaoud, agente d’impresa che vive parecchi mesi dell’anno più in Cina che nel suo Paese. “Quel che ci condiziona è il velayat-e faqih – sostiene – non solo nei costumi, ma negli spazi lavorativi, perché implica legami aziendali con un’economia condizionata dal potere clericale, che è anche finanziario”. Mohamoud anche stavolta non sa se voterà, teme i conservatori però non si fida di Rohani, troppo compromesso col sistema e rinunciatario per definizione. “Non sarà lui a portare aria nuova” dice. E chi potrà essere? Fa spallucce. Due giovani uomini scesi dai bus che sfrecciano rapidi lungo le grandi vie di scorrimento, ci parlano volentieri.
Quando accenniamo all’efficienza dei mezzi pubblici, a cominciare dalle linee metropolitane, nuove e ben tenute, sorridono compiaciuti, pur restando increduli che una capitale come Roma possa risultare scadente e abbandonata quanto a servizi. Sono due ingegneri, uno edile, l’altro informatico che alle 19 rientrano in casa dopo una giornata di lavoro. Entrambi offriranno il voto al presidente uscente, come avevano fatto quattro anni addietro. Il primo in maniera fiduciosa: per lui la bontà del programma di Rohani è aver raggiunto l’accordo sul nucleare che ha riaperto relazioni economiche e diplomatiche. “Il Paese ha bisogno di molti investimenti – afferma – ci sono quelli cinesi, ma non bastano, l’Europa deve tornare, spero con intenzioni collaborative. I nostri padri hanno conosciuto il volto nero di certe potenze occidentali!”.
Il collega, egualmente cordiale ed estremamente gentile, è meno speranzoso del ruolo di Rohani, alla fine lo voterà anche lui, convinto che l’astensione non aiuti il Paese e neppure se stesso. Certo, fra i riferimenti al passato e il non detto s’intuisce che per lui Mousavi era altra cosa. Discorrendo con quest’ultimo percorriamo la strada che lo separa dall’appuntamento con la moglie, sempre nell’area di Tajrish, vicino alla moschea. Nel cortile, sovrastato da uno schermo luminoso dove scorrono immagini della Guida Suprema, altre tombe di martiri. Relativamente recenti, sono gli scienziati e i ricercatori impegnati nel programma nucleare che, anni addietro a più riprese, il Mossad ha assassinato con attentati mirati. Li hanno riuniti qui. E c’è un moto perenne di uomini, donne, bambini che li visitano, si fermano, pregano, toccano quei marmi neri, onorandoli. Un pellegrinaggio mesto rispetto a quello del mausoleo di Hafez, ma non meno sentito. Mentre tutt’intorno la gente s’incontra, s’unisce, discorre. Fra dieci giorni si vota.
– fine –
La prima puntata si può leggere qui: https://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/05/07/presidenziali-iraniane-la-forza-della-conservazione-091598.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
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