Funziona così: gli Usa hanno come maggiore alleato in Medio Oriente, dopo Israele, l’Arabia Saudita, un Paese impresentabile, una monarchia assoluta che esprime una versione così retrograda dell’Islam, il wahabismo, che non è accettata dalla gran parte dei Paesi musulmani. Non solo: il wahabismo è una dottrina che ispira salafiti e jihadisti.
Ma l’ordine da Washington è chiaro: salvate il soldato Saud (che non riesce neppure a vincere la guerra in Yemen). I Saud sono clienti degli americani: da decenni comprano i loro i buoni del Tesoro, le armi americane e siedono negli stessi board di banche e multinazionali. E ogni tanto danno una mancia anche a noi europei.
Così si trova il principe azzurro, Mohammed bin Salman, figlio del Re, e si cominciano le riforme: la patente alle donne, le partite di calcio con le signore in tribuna. L’obiettivo è far sembrare l’Arabia Saudita migliore o perlomeno non peggiore dell’Iran, il rivale sciita dirimpettaio del Golfo.
E così Israele, che non avrebbe niente da spartire con i Saud, strizza l’occhio a Riad. Fanno persino credere, insieme, di avere un piano di pace per i palestinesi e Trump dichiara Gerusalemme capitale dello stato ebraico. Certo Mohammed è giovane, impulsivo: mette agli arresti qualche cugino miliardario e sequestra il premier libanese Hariri, poi lo libera tenendo come ostaggio i figli. Ma sono usanze locali. Funziona così, da qualche decennio: dal 1945 quando Roosevelt fece un accordo con il sovrano Ibn Saud. In fondo sono tutti bravi ragazzi e Trump, anche se dovesse andarsene, ha fatto il suo. Anche lui è un bravo ragazzo.
*Post Facebook del 12 gennaio 2018. Pubblicato su gentile concessione dell’Autore a L’Antidiplomatico
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