Con il 70% dei voti, il giurista 61enne ha travolto al ballottaggio lo sfidante, il magnate Nabil Karoui. Il primo turno aveva visto il tracollo di tutti i candidati dei maggiori partiti che hanno guidato la transizione post-2011
Kais Saied è il nuovo presidente della Tunisia. Domenica sera migliaia di persone si sono radunate in Avenue Bourghiba nel centro della capitale per celebrare una vittoria decisamente fuori dagli schemi. Con oltre il 70% dei voti il giurista 61enne ha travolto al ballottaggio lo sfidante, il magnate Nabil Karoui, in un’elezione che ha avuto il tasso di affluenza più alto della storia tunisina. Tra i canti della piazza in festa risuonavano anche slogan per la liberazione della Palestina e contro il dittatore egiziano al-Sisi.
È stata una campagna elettorale anomala questa per le presidenziali tunisine, con un primo turno che ha visto il tracollo di tutti i candidati dei maggiori partiti che hanno guidato la transizione post-2011. Il voto secondo molti è stato un’espressione radicale del “degagisme” delle masse tunisine contro le élite politiche incapaci di dare risposte al malessere sociale, ma soprattutto di incarnare una prospettiva di cambiamento dopo anni di aspettative disattese (“Degage”, “vattene”, era stato il grido con cui la rivoluzione aveva cacciato Ben Ali).
Un voto anti-sistema, che si è manifestato anche nelle elezioni legislative della scorsa settimana, ridisegnando il panorama politico tunisino. Se gli islamisti di Ennahda hanno vinto la maggioranza relativa in parlamento, il loro consenso si è però fortemente ridimensionato, mentre i partiti laici e modernisti sono ridotti al lumicino (in parte rimpiazzati dal partito di Karoui, Qalb Tounes), e la sinistra risulta non pervenuta. Uno scenario estremamente frammentato in cui sarà difficile trovare le geometrie per fare una maggioranza di governo.
E così la sfida per il ballottaggio è toccata a due “outsider”. Il miliardario Nabil Karoui, arrivato secondo al primo turno, in realtà pur presentandosi come un volto nuovo non è estraneo alle élite economiche e politiche del paese, ma ha tentato con successo di prenderne le distanze e soprattutto di catturarne il bacino elettorale.
Da molti paragonato a un Berlusconi tunisino, arrestato per riciclaggio ed evasione pochi giorni prima dell’inizio campagna elettorale (arresto da lui denunciato come “politico”), è stato liberato appena in tempo per partecipare venerdì sera all’ultimo dibattito elettorale prima del ballottaggio. La sua campagna è stata sostenuta dal canale televisivo di sua proprietà Nessma TV e dal welfare diffuso della sua organizzazione caritatevole con cui si è insinuato tra gli strati di popolazione più poveri per un po’ di beneficenza a favore di telecamere. Decisamente liberista in economia, ha fatto della lotta alla povertà una sua bandiera.
Al polo opposto Kais Saied, lo schivo e austero costituzionalista che ha condotto una campagna elettorale lontana dai riflettori, rifuggendo le TV e la stampa, senza finanziamenti, senza manifesti e senza grandi comizi. Inizialmente sottovalutato, Saied ha voluto contare soltanto sulle piccole donazioni dei suoi sostenitori e sul team di giovani che si è organizzato per spingere la sua campagna, fatta soprattutto nei caffè e nelle strade.
Il costituzionalista, da molti considerato un ultra-conservatore per alcune sue posizioni su omosessualità, pena di morte, e uguaglianza di genere, nel suo discorso ha messo da parte le questioni identitarie e i dibattiti su laicità e religione, secondo lui imposti dall’esterno e funzionali soltanto a dividere la popolazione. Il fulcro della sua campagna è stato il suo progetto radicale di democrazia su base locale con cui vorrebbe scardinare il centralismo dello stato tunisino.
Saied, superando forse anche le sue stesse aspettative, è diventato interprete di quell’ansia di cambiamento protagonista della rivoluzione del 2011 ma poi frustrata negli anni successivi dagli attori politici al potere. Ne è una testimonianza la mappa geografica e sociale del consenso che lo ha consacrato presidente.
Secondo le prime analisi del voto diffuse dall’istituto di sondaggi Emrhod, Kais ha letteralmente sfondato (spesso con oltre il 90% delle preferenze) in aree marginalizzate come Médenine, Tataouine, Kébili, così come nel distretto industriale di Gabès, negli ultimi anni focolai di conflitto sociale. Ugualmente Saied ha travolto il suo avversario tra i giovani, raccogliendo il 90% dei voti degli elettori dal 18 e 25 anni e l’83% di quelli tra i 26 e i 44. Un terzo di quelli che hanno votato per lui domenica non aveva partecipato alle legislative di una settimana prima. Karoui non sfonda neppure tra le donne, mentre l’unica fascia di età tra cui raccoglie più del 50% dei voti è quella al di sopra dei 60 anni.
“Molti di quelli che hanno votato Saied e che erano in piazza ieri a festeggiare sono persone non affiliate o non rappresentate da nessuna fazione politica”, ci dice Emna Mornagui, militante eco-femminista tunisina attiva nei movimenti sociali del paese. “Karoui rappresenta tutti i mali del vecchio sistema. Ieri la gente ha detto no a tutto quel sistema”. E continua: “Saied ha sempre sostenuto le rivendicazioni dei movimenti di protesta delle province, contro la corruzione, per i martiri della rivoluzione. All’inizio lo consideravo una sorta di populista, ma ora ho capito che quello che dice è rivoluzionario. Kais Saied mette in discussione il funzionamento stesso della democrazia in Tunisia, e propone un modello alternativo”.
Non tutto l’impianto del suo progetto è convincente. Ad esempio mancano nei suoi programmi orientamenti chiari sulle questioni di genere (le donne sono state scarsamente rappresentate nella sua campagna), alle libertà civili, alle problematiche ambientali ed economiche, fa notare l’attivista. “La sua idea consiste nel sostenere che il popolo sa cosa vuole e che bisogna soltanto dotarlo degli strumenti per decidere. Ma senza un’idea di società molto dipenderà da chi orienterà il dibattito pubblico sui valori”, e quindi quello che il popolo vorrà realizzare con gli strumenti della democrazia.
Ad ogni modo, continua, “è una persona che posso combattere politicamente, perché rispetta lo stato di diritto, non è un dittatore”. Infine, l’attivista non nasconde una certa euforia per il risultato di ieri: “È la prima volta che le persone hanno realmente fiducia in qualcuno”.
Anche se Saied (definito sulla stampa europea e anche italiana “il candidato della destra” o “salafita”) raccoglie una buona parte del voto per Ennahda, ormai “la frattura ‘islamisti/modernisti’ non struttura più tanto il dibattito”, come ha scritto il giornalista Thierry Bressillon su OrientXXI parlando di una “distruzione creatrice del paesaggio politico tunisino” a proposito delle ultime tornate elettorali. E spiega: “lo spauracchio dell’islamismo non paga più”, con Ennahda ormai da molti considerata alla pari degli altri parte integrante del sistema di cui un tempo rappresentava la nemesi.
Chi volesse rintracciare le tradizionali categorie politiche e usarne le lenti per interpretare lo scenario politico tunisino oggi rischia di perdere di vista una parte importante della sostanza dei processi in atto.
Da Nena News
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