E’ interessante assistere a quella che sembra un mobilitazione dei media e del mondo del calcio sul gesto dei calciatori turchi, che hanno salutato il proprio Stato e chi lo dirige con saluto militare al pareggio del 15 ottobre nella partita di qualificazione di qualificazione per Euro 2020 con la Francia, come quattro giorni prima dopo la vittoria contro l’Albania, in piena sintonia con l’aggressione alla Siria ed alle forze curde che vi hanno combattuto nel Nord Est passata per atto di “difesa”.
E’ interessante assistere allo smascheramento che gli stessi media fanno delle motivazioni dell’aggressione bellica che quel saluto richiama e dell’uso politico del calcio. Radio 1 ricorda “la lezione che dava Infantino” al calcio italiano, prima di rendersi conto del dilagare del razzismo di tifosi in molti paesi.
Procediamo un punto alla volta, gli elementi sono vari: la guerra, l’aggressione, il regime, il razzismo, il simbolo, la libertà politica dei calciatori, in/ammissibilità del rapporto politica e sport.
Gli antropologi da tempo studiano il ruolo del simbolo, questo nella nostra società mediatizzata, appare sempre più determinante e mobilitante. E lo scandalo sembra suscitato proprio dal gesto simbolico di omaggio verso l’attacco turco alla Siria.
Tuttavia, già Linkiesta notava che probabilmente quel saluto era piuttosto obbligato: rilevava che la squadra è proprietà del Ministero turco della Gioventù e dello Sport e che il fenomeno del saluto è più esteso nello sport turco. Avvisava, inoltre, che se si chiede ad uno sportivo di dissociarsi da Erdogan, bisogna poi che non lo si lasci solo, come invece è accaduto a più d’uno di loro.
C’è differenza sostanziale nell’obbligare a un gesto o nel vietarne uno? Sono più liberi di esprimersi politicamente i calciatori di squadre di proprietari privati e la cui immagine, magari, da questi sia stata venduta a sponsor pubblicitari?
C’è differenza sostanziale nello sport come strumento di propaganda evidenziata da un gesto odioso (per gli antimilitaristi) come il saluto militare in una situazione di guerra e quella ribadita da più dichiarazioni pubbliche ma senza l’evidenza di un gesto simbolico benché in situazione di guerra? Come le decisioni d’Israele nel promuovere i propri campi di calcio e se stesso tramite la UEFA under 21 nel 2013 o il Giro d’Italia nel 2018 per sancire l’illegale annessione di Gerusalemme Est o in generale attraverso la propria partecipazione ad eventi sportivi.
Il punto è il regime di Erdogan? Lo si scopre ora? E’ un regime che fa parte della NATO ed a cui l’UE ha assegnato finanziamenti cospicui affinché “accogliesse” migranti, inclusi i Siriani in fuga dai suoi bombardamenti . Anche i diversi sportivi turchi che hanno manifestato pensiero politico autonomo o dissidente sono poi stati costretti alla fuga dalle reazioni del regime. Dov’erano l’UE e le organizzazioni sportive mondiali?
Il problema il rapporto tra sport e politica? Questo settembre, “la partita di calcio tra il Khadamat Rafah (Striscia di Gaza) e il Nablus Balata (Cisgiordania) non si giocherà a causa delle restrizioni di viaggio imposte da Tel Aviv ai giocatori della compagine gazawi” È solo l’ultimo di una lunghissima serie di episodi d’intervento politico israeliano ad impedire un’attività sportiva palestinese. E pure, né l’UEFA (in cui l’IFA divenne membro permanente nel 1994, a corollario e promessa degli Accordi di Oslo) né la FIFA hanno mai preso posizione netta verso l’occupante israeliano che impedisce la normale vita sportiva dei Palestinesi.
Il problema è il razzismo rappresentato dall’aggressione turca ai curdi?
Il problema è la guerra, l’aver salutato una guerra? Questo è un fatto forse nuovo. Ma anche in questo caso, il punto è costituito dall’aver fatto un gesto che simbolicamente la richiamava?
Né l’aggressione bellica né l’oppressione sistematica né il razzismo violento sono riusciti a suscitare nei vertici mondiali dello sport alcuna critica e tanto meno sanzione verso Israele. E pure questi elementi ci sono stati e sono presenti tutti.
Infantino dava lezioni di antirazzismo, ma non certo a Israele a cui assegnò l’UEFA under 21 l’anno successivo all’aggressione militare a Gaza “Colonna di nuvole” del novembre 2012 (170 morti e 1222 feriti) né si fece remore ad affidare il campionato d’Europa all’Ucraina (tutt’altro che modello di democrazia). E così finge o ignora davvero, nonostante le risposte chiare ed autorevoli ottenute dalla fonte più propria e legittima e legale, l’ONU, dal suo predecessore che i territori in cui sono state create sei squadre israeliane sono territori palestinesi occupati da Israele.
Quindi l’IFA si sta macchiando di complicità in un crimine internazionale quale l’occupazione militare con sostituzione di popolazione e di un crimine contro i diritti umani come l’apartheid. La sua FIFA, infatti, non solo non ha ascoltato le richieste palestinesi, ma ha addirittura tolto la parola al rappresentante palestinese al Congresso FIFA del maggio 2017.
“Sempre Rajoub era stato l’artefice di una proposta di sanzioni ai danni della Federazione israeliana con richiesta di revoca dello status professionistico ai club che giocano nei Territori. Iniziativa contro cui il presidente della Fifa in persona, Gianni Infantino, si è speso perché fosse tolta dall’ordine del giorno di un Congresso in svolgimento nel Bahrein nel 2017“ Questo Infantino dà lezioni di antirazzismo.
Lo sa anche l’ultimo insegnante in formazione che l’esempio vale molto di più delle chiacchiere! Che la fonte di un insegnamento dev’essere la prima ad averlo già applicato in modo costante, altrimenti non è credibile ed anziché le sue vuote parole saranno imitate le sue pesanti azioni.
E’ dunque il gesto simbolico, il punto?
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