Le condizioni socioeconomiche, che per tanti anni hanno attanagliato il popolo libanese, lo hanno spinto a ribellarsi alla tradizionale classe politica confessionale e settaria che governa in Libano a partire dalla sua indipendenza nel 1943.
Una classe dirigente che è stata imposta dalla Carta costituzionale del 1943 – voluta dalla Francia coloniale – alla cui base ci sono le varie confessioni religiose. Ciò ha portato al feudalesimo politico-confessionale che ha controllato le articolazioni dello Stato libanese, e quindi la vita e il futuro dei cittadini libanesi, senza riguardo per i reali rapporti tra le 18 confessioni in cui sono distribuiti.
Questo sistema politico-confessionale è stato utile solo alle classi più influenti all’interno delle comunità, e uno dei risultati più gravi è stato quello dell’obbedienza alla confessione e non al popolo e alla patria, cosa che ha favorito l’isolamento morale e psicologico tra una confessione e l’altra e l’insorgere di contraddizioni tra loro. Il sistema ha creato partiti e movimenti apparentemente moderni politicamente, ma in realtà schierati a difesa delle stesse confessioni religiose.
Cosi il Libano è diventato una preda spartita tra confessioni, secondo specifici equilibri, e, se questi equilibri scoppiano, con loro scoppiano diverse crisi, che hanno anche fornito l’opportunità per interventi regionali e internazionali esterni a chiunque voglia manomettere la sicurezza e la stabilità del Libano per i propri interessi. Pertanto, l’attuale sistema costituzionale libanese è un prodotto delle varie crisi, che hanno impedito la creazione di uno Stato di successo nel conseguire sicurezza, stabilità, sviluppo e benessere economico per tutto il popolo libanese.
Dopo settantasei anni dall’indipendenza del Libano, settantasei anni di feudalismo politico confessionale, il popolo libanese è stufo di questo sistema e non può più sopportarne le conseguenze negative: crisi economica, corruzione, povertà, instabilità, insicurezza, fattori che hanno portato all’attuale rivolta, che ha superato e attraversato le confessioni, e a dire no al feudalesimo politico-confessionale, perché il cittadino libanese appartiene al Libano indipendentemente dalla sua confessione o dalla sua fede.
“Oggi siamo di fronte a un’opposizione popolare di massa, che determina ciò che vuole ed è lontana da tutti gli allineamenti. L’oppresso ribelle vuole una cosa: vivere in uno Stato che lo rispetti e rispetti i suoi diritti fondamentali”, dichiara il segretario generale dell’Organizzazione Popolare Nasserita, Osama Sa’ad, deputato del parlamento libanese, e in una intervista alla Tv Al Mayadeen prosegue: “Il potere in tutte le sue forme, esecutivo e legislativo, e il Presidente della Repubblica, devono riconoscere i cambiamenti in atto, e prendere misure pratiche, in particolare per le nuove equazioni imposte dal popolo politicamente, perché è tempo che la nuova volontà popolare libanese sia riconosciuta”. Continua Sa’ad: “Non vogliamo un vuoto e ci preoccupiamo della sicurezza e della stabilità del Libano più che dell’autorità, soprattutto di fronte a questa meravigliosa mobilitazione del popolo di tutte le confessioni e di tutte le regioni unite sotto uno slogan: uno Stato moderno, uno Stato di giustizia sociale, che considera tutti i funzionari responsabili della situazione a cui ci hanno portato e responsabili per il denaro saccheggiato”.
La rivolta, o, come viene chiamata in Libano, la rivoluzione, ha riportato e rimesso le primavere arabe sul binario giusto: almeno speriamo che sia così! Lontane da ingerenze esterne, spinte da una volontà popolare che guarda al futuro, cioè a un paese senza confessione, un paese per i suoi cittadini. Dopo il buio della notte, torna il sole del giorno.
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