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Colombia. Ucciso un altro ex combattente delle Farc. Gli accordi di pace non reggono

Le autorità della Colombia hanno confermato l’omicidio dell’ex combattente delle ex Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc), Dago Hernán Galíndez Chicangana, nel comune di El Patía, nel dipartimento di Cauca.
Galíndez Chicangana aveva 36 anni, originario del comune di Icononzo, situato nel dipartimento di Tolima, ed era in teoria sotto la protezione prevista dagli Accordi di Pace firmati nel 2016 tra lo Stato e le Farc.
Accanto all’ex combattente, c’era Eduar Andrey Baos Imbachí, 30 anni, originario di Sucre, anche lui ucciso con quattro colpi di proiettile.
Secondo i testimoni, un gruppo armato illegale ha impedito alla comunità di aiutare le vittime che erano ancora in vita.
Secondo il recente rapporto dell’Istituto per lo Sviluppo e la Pace (Indepaz), dopo la firma dell’accordo di pace nel 2015, sono stati uccisi 777 leader sociali e 137 ex combattenti delle Farc.

Ad agosto di quest’anno Iván Márquez, ex comandante e numero due delle Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia (Farc), ha annunciato di aver ripreso le armi e di esser pronto a ridare vita alla più potente organizzazione guerrigliera del paese. “È iniziata la seconda Marquetalia (dal nome della zona rurale in cui vennero fondate le Farc), per il diritto di tutti i popoli del mondo a sollevarsi in armi contro l’oppressione,” aveva dichiarato Márquez in un video postato su youtube in cui appare vestito in mimetica, con una pistola nella cintura e circondato da una ventina di uomini, alcuni dei quali armati. “La continuazione della lotta guerrigliera arriva come risposta al tradimento da parte dello stato degli accordi di pace siglati a La Habana.” Il leader delle Farc ha accusato esplicitamente il governo di Iván Duque di non tenere fede agli impegni previsti dall’accordo di pace siglato all’Avana nel 2016.

 

 

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1 Commento


  • Gianni Sartori

    GRAN BELLA COSA GLI ACCORDI DI PACE, MA TALVOLTA NASCONDONO QUALCHE FREGATURA.

    (COME STANNO IMPARANDO – A LORO SPESE – L’ELN E FORSE ANCHE LE FARC…)

    (Gianni Sartori)

    Anche se la sigla è la medesima (ELN) la formazione guerrigliera del Che Guevara (Ejército de Liberación Nacional de Bolivia) non va confusa con l’omonima colombiana. Sorta ancora nel 1964, quest’ultima si alimentava – oltre che del marxismo – delle tesi della Teologia della liberazione.
    Tuttavia esiste qualche affinità. Del resto nel suo Mensaje a los pueblos del mundo a través de la Tricontinental (“Creare due, tre… molti Vietnam”) Ernesto Guevara ricordava il prete guerrigliero Camilo Torres, caduto in Colombia combattendo nei ranghi dell’Ejercito de Liberacion Nacional nel 1966 (un anno prima che al CHE toccasse lo stesso destino in Bolivia).

    Se pur vagamente, già allora sapevo di Camilo Torres avendo letto l’opuscolo distribuito – ancora nel 1967 – da un’organizzazione m-l (marxisti-leninisti) al modico prezzo di 50 (cinquanta) lire. Ma la sua immagine la vidi per la prima volta l’anno dopo, nel 1968. In un luogo forse inaspettato, la comunità dell’Isolotto di Firenze dove capitai in autostop dopo un infruttuoso tentativo in quel di Barbiana. Lì ero giunto troppo tardi: don Milani era morto qualche mese prima. In seguito, pur seguendo le vicende latino-americane (dai golpe fascisti e filostatunitensi alle varie guerriglie) non ricordo di aver sentito parlare più di tanto dell’ELN della Colombia. Altre formazioni occupavano la scena o – se vogliamo – lo “spettacolo”: tupamaros in Uruguay, ERP (Ejército Revolucionario del Pueblo) in Argentina, MRTA (Movimiento Revolucionario Tupac Amaru) e Sendero luminoso in Perù, EGP (Ejército Guerrillero de los Pobres) in Guatemala, FARC-EP (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia – Ejército del Pueblo) in Colombia, Sandinisti in Nicaragua, FMLN (Frente Farabundo Marti para la Liberacion Nacional) in El Salvador…

    Lo ritrovai sulla mia strada soltanto nel 1998. L’anno prima avevo, se pur indegnamente, svolto la funzione di osservatore internazionale al processo di Madrid contro l’organizzazione indipendentista basca Herri Batasuna su incarico della Lega internazionale per i diritti e la liberazione dei popoli (fondata da Lelio Basso, con Pérez Esquivel presidente negli ultimi anni). Luciano Ardesi e Verena Graf (all’epoca dirigenti della LIDLIP) mi proposero di prendere parte (sempre come osservatore e sempre per la LIDLIP) agli incontri per una “soluzione politica del conflitto” tra governo colombiano e appunto l’ELN.

    Difficoltà e inconvenienti successivi mi costrinsero a rinunciare e – se non ricordo male – venni sostituito da Giulio Girardi. Persona sicuramente molto più indicata, sia per la sua storia politica che per il ruolo già svolto con il Tribunale Russel.
    Alla fine quei negoziati tra il governo colombiano e l’ELN (così come quelli dell’anno successivo con le FARC, nonostante gli accordi in 47 punti del 6 maggio 1999) risultarono inconcludenti, sia per la reciproca diffidenza, sia per l’ingombrante interferenza statunitense. Tanto che nel 2000 si arriverà al devastante Plan Colombia con cui gli USA finanziarono direttamente le operazioni militari contro la guerriglia (bombardamenti sistematici, a tappeto, in aree dove abitavano almeno una cinquantina di etnie indigene) spacciandole per lotta al narcotraffico. Anche allora alcuni governi si erano offerti di fare da mediatori, ma come mi spiegò in un’intervista il gesuita padre Giraldo (negli anni novanta vicepresidente della LIDLIP) sarebbe stato più opportuno che tali governi “prendessero coscienza delle vere cause che avevano determinato il conflitto”. La comunità internazionale avrebbe dovuto “sedersi al tavolo dei negoziati non come mediatrice ma come agente che ha contribuito al conflitto”. I veri problemi, oltre al narcotraffico (spesso gestito direttamente dalle milizie parastatali di destra) rimanevano quelli della disumana repressione (ancora le milizie, responsabili insieme all’esercito e alla polizia – secondo padre Giraldo – di oltre il 90% delle violazioni dei diritti umani in Colombia), delle multinazionali che sfruttavano– e sfruttano – le risorse naturali del Paese. Per non parlare dell’assistenza e addestramento forniti dagli USA all’esercito colombiano (consiglieri militari, finanziamenti per l’acquisto di elicotteri antiguerriglia…). Da padre Giraldo venne anche un’importante precisazione. In genere la stampa internazionale descriveva il conflitto colombiano come “tripartito” (ossia tra governo nazionale, guerriglia di sinistra e milizie paramilitari di destra). In realtà “i paramilitari non erano un terzo attore ma, su esplicita indicazione della CIA, lo strumento della strategia governativa”. Per fare qualche esempio, come i mercenari del GAL sul libro paga di Madrid contro gli indipendentisti baschi o come le milizie lealiste – UVF, UFF – al servizio di Londra contro i repubblicani in Irlanda del Nord.
    Era della stessa opinione Armando Valbuena, esponente dell’Organizacion Nacional Indigena de Colombia. “I gruppi paramilitari di destra – spiegava – sono notoriamente appoggiati dal governo. In genere evitano di scontrarsi apertamente con i guerriglieri e preferiscono piombare sui villaggi lasciando sul terreno decine di cadaveri di contadini. Con lo scopo di terrorizzare gli altri e costringerli ad andarsene”. Su quelle terre poi, notoriamente, coltivavano – o facevano coltivare – la coca. Da segnalare che questi criminali hanno ampiamente usufruito dei recenti accordi di pace tra FARC e governo, garantendosi l’impunità per i reati commessi (come era avvenuto in passato per le milizie dei vigilantes, le squadre della morte, in Sudafrica) e riciclandosi per altre attività criminose.

    Sempre per quanto riguarda le FARC, il 29 agosto di quest’anno – dopo essere scomparso dalla scena pubblica per oltre un anno – Ivan Marquez (ex negoziatore all’epoca dei colloqui per un accordo di pace tra FARC e governo colombiano) è riapparso in un video.
    Insieme ad altri due comandanti, Seuxis Paucia Hernandez (conosciuto come Jesus Santrich) e Hernan Dario Velazquez (El Paisa) ha annunciato la ripresa della lotta armata.
    Tale decisione sarebbe una conseguenza del “tradimento dell’accordo di pace dell’Avana da parte dello Stato colombiano”.
    Senza ovviamente sottovalutare l’impatto provocato dalle numerose uccisioni extragiudiziali sia di ex guerriglieri che di militanti sociali.
    Solo dall’inizio del 2019 sono almeno 22 (ma presumibilmente la cifra è per difetto) gli ex guerriglieri – da tempo smobilitati – assassinati in Colombia. L’ultima vittima, per ora, è Juan Vicente Carvajal (“Misael”) in passato comandante del decimo fronte delle FARC e uscito dalla prigione nel 2016 al momento degli accordi.
    Già tra la firma dell’accordo di pace (24 novembre 2016) e la prima metà del 2018 erano oltre una quarantina gli ex esponenti delle FARC assassinati. A cui bisognava aggiungere almeno una decina di portavoce delle comunità legati alle organizzazioni di sinistra.
    E altrettanti sono stati assassinati da allora a oggi.
    Marquez ha anche dichiarato che avrebbero cercato di stringere accordi con l’altra formazione guerrigliera l’ELN (Esercito di liberazione nazionale).

    Diversamente dalla FARC, in questi anni l’ELN non aveva mai sospeso in maniera definitiva la lotta armata. Anche in agosto aveva attaccato due volte l’esercito colombiano.
    La prima azione (il 13 agosto) nella regione di Catatumbo vicino alla frontiera con il Venezuela, ha causato tre feriti tra i soldati. L’altra (il 18 agosto) nel sud del dipartimento di Bolivar (Arenal) ha provocato la morte di un soldato e il ferimento di altri due.
    Sembra invece sia imputabile ai dissidenti delle FARC l’uccisione di un graduato dell’esercito avvenuta il 14 agosto a Bellavista (dipartimento del Cauca).
    A tale proposito, i comandanti che intendono riprendere le armi non escludono di collaborare con i gruppi dissidenti delle FARC che già in precenza, al momento degli accordi del 2016 con il governo, non avevano aderito. Tale gruppi dissidenti (pur mancando di una catena di comando unitaria) sarebbero presenti in almeno 85 municipalità, organizzati in 23 strutture e disporrebbero di oltre duemila combattenti (tra vecchi guerriglieri e nuove reclute).

    Sperando di non avervi tediato con questa lunga introduzione, torniamo alle ultime vicende riguardanti l’ELN.
    Mentre appunto gli accordi tra governo e FARC cominciavano a mostrare il loro lato oscuro con l’aumento esponenziale degli omicidi di sindacalisti, attivisti sociali, militanti indigeni, ex guerriglieri…(più o meno quello che era già accaduto negli anni novanta del secolo scorso dopo gli accordi tra governo e Movimiento 19 de April) e mentre le foreste in cui prima era insediata la guerriglia vengono invase, saccheggiate e incendiate, a Cuba si interrompevano le trattative tra rappresentanti del governo colombiano e dell’ELN. Non solo. Tradendo un precedente protocollo di accordo, ai rappresentanti della guerriglia veniva negato il salvacondotto governativo (previsto in caso di fallimento delle trattative) per rientrare in Colombia. E infine ne veniva chiesta addirittura l’estradizione.

    Ma andiamo con ordine. Martedì 1 ottobre il procuratore generale di Colombia ha ordinato l’arresto di tre dirigenti dell’ELN. Si tratta dei comandanti Nicolas Rodriguez Bautista (Gabino, comandante in capo dell’ELN), Israel Ramirez Pineda (Pablo Beltran), Eliécer Herlinton Chamorro Acosta (Antonio Garcia). Al momento impossibilitati a muoversi dall’Avana a causa del fallimento delle trattative per accordi di pace. Nei loro confronti, l’accusa di aver ordinato l’uccisione di due giornalisti scambiati per agenti dei servizi, a Segovia nel 1991.
    Da parte sua l’ELN ha sempre negato la responsabilità del duplice omicidio, ritenendolo opera di forze parastatali.
    Per ora il governo cubano ha negato l’estradizione.
    Ancora in gennaio, la delegazione dell’ELN aveva dovuto annunciare l’impossibilità di rientrare in Colombia per colpa del governo colombiano che non intendeva rispettare i patti (gli accordi in tal senso risalivano al 2016 e garantivano 15 giorni di tempo per il rientro).
    Da parte sua il governo offriva grosse ricompense per chi avesse contribuito alla cattura dei dirigenti della guerriglia presenti a Cuba. In sostanza, una taglia.

    In una intervista del 21 gennaio Pablo Beltran, preso atto del fallimento delle trattative, forniva anche la sua interpretazione dell’attentato, opera dell’ELN, contro una scuola di polizia che aveva causato la morte di venti agenti. Così spiegava: “Abbiamo atteso sei mesi. Abbiamo liberato soldati e poliziotti e alla fine del 2018 abbiamo osservato un cessate-il-fuoco unilaterale (dal 23 dicembre 2018 al 3 gennaio 2019 ndr). Durante questa tregua abbiamo subito attacchi, bombardamenti e alla fine della tregua ci sono stati altri attacchi e combattimenti”.
    Comunque l’ELN si diceva ancora disponibile a negoziare un accordo di pace, ma a condizione che le trattative si svolgessero in un contesto di cessate-il-fuoco bilaterale.
    Al momento, mentre il Cile e il Consiglio di sicurezza dell’ONU sembrano volersi adeguare alle richieste del presidente colombiano Ivan Duque (arresto ed estradizione dei tre comandanti guerriglieri), la Norvegia e Cuba intendono comunque rispettare gli impegni e garantire il protocollo di intesa. O almeno così hanno dichiarato.
    Gianni Sartori

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