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Nazione Mapuche: “Lottiamo per riavere la nostra terra”

Parlando con noi, il portavoce del Coordinamento Arauco-Malleco ha abbordato i principali temi che impediscono la risoluzione di un conflitto che sembrerebbe non aver fine. La commissione che indaga sull’omicidio di Camilo Catrillanca, le responsabilità politiche dei governi di turno e i veri nemici della resistenza mapuche, sono alcuni dei temi che ha affrontato il leader della CAM. 

Dopo la morte del membro della comunità mapuche Camilo Catrillanca, l’acutizzazione del conflitto nell’Araucanía si è fatta evidente. In maniera disperata, il governo di Sebastián Piñera ha tentato di mettere uno stop alle azioni di resistenza e malcontento che si sono prodotte al sud del Bío-Bío, con misure che sembrerebbero essere contrapposte. Nel più fedele stile di Hollywood, sono sorte le figure dei ministri Alfredo Moreno e Andrés Chadwick interpretando i ruoli del poliziotto buono e del poliziotto cattivo.

Il primo, avvicinandosi alle comunità con un discorso pacificatore, tentando di trovare un’uscita pacifica attraverso il dialogo. Il secondo, invece insiste a dare maggiori facoltà -come leggi d’eccezione- agli uomini in divisa e alle istituzioni di Ordine e Sicurezza, le stesse che hanno dimostrato di essere incapaci di controllare il conflitto.

Parlando con Giornale e Radio Universidad de Chile, il portavoce del Coordinamento Arauco-Malleco (CAM), Héctor Llaitul, ha fatto un’analisi della situazione attuale della richiesta storica mapuche e ha allertato circa l’acutizzazione di un conflitto che somma sempre più attori.

La Commissione d’Inchiesta per il caso Catrillanca ha deciso di chiedere a Michelle Bachelet di spiegare le sue azioni nel 2015 e nel 2016, quando ha decretato il settore Pailahueque come zona di sicurezza. Tuttavia, l’evento si è verificato durante l’attuale governo di Sebastián Piñera.Credi che questo sia un tema che abbia a che vedere con il governo di turno?

Per noi sono tutti uguali. Questa è la diagnosi che facciamo. Sulla causa mapuche non vediamo la classe politica molto differenziata uno dall’altro, ma li vediamo come parte di questo Stato -di tipo coloniale e razzista-, che ha questo comportamento con il popolo-nazione mapuche. Per questo, noi siamo stati categorici e ben chiari nel senso di non fare molta differenza tra un governo e l’altro.

Li identifichiamo come parte di questa impalcatura di potere, questo sistema di dominazione che ci opprime anche in forma di occupazione e di pressione verso il wallmapu, e che ci limita tutti i nostri diritti fondamentali.

In questo senso, che diritti fondamentali sono quelli che lo Stato non ha potuto garantire al popolo-nazione mapuche?

Lo Stato è stato protagonista, per esempio, nella negazione al diritto al territorio e alla devoluzione delle terre. A questo si somma la negazione delle nostre libertà con una occupazione tale che noi mapuches non ci sentiamo liberi data la nostra condizione di comunità sottomesse. Pertanto, questo diritto alla libertà, dato dalla possibilità di lottare per l’autodeterminazione e l’autonomia, ci viene negato. Questo è chiaramente dimostrato dai governi di turno.

La Commissione d’Inchiesta che indagherà sulla morte del membro della comunità mapuche Camilo Catrillanca vede la partecipazione di parlamentari di tutti i settori. Vedi in questa istanza una opportunità per arrivare a una soluzione?

Crediamo che questa Commissione d’Inchiesta sia una farsa. Oltre ad essere una cortina di fumo per il momento, è una farsa assoluta, perché: che devono investigare? Visto che sono loro i responsabili di tutta la criminalizzazione, la militarizzazione, gli assassinii politici, il carcere, i montaggi, il modo in cui stanno abbordando la realtà con il nostro popolo-nazione mapuche come popolo originario, con il ripristino della dottrina della sicurezza nazionale in cui il nemico interno siamo noi. Ossia, è il mapuche che bisogna combattere.

Questa è la logica dell’attività politica odierna, della classe dirigente. E la classe dirigente è lì, esattamente a fare questo. Una farsa assoluta perché loro rappresentano il governare, loro rappresentano le autorità che a suo tempo sono state governo e i loro governi hanno assunto queste politiche.

Tra i membri di questa commissione ci sono anche la deputata di Renovación Nacional, Aracely Leuquén, e la deputata socialista, Emilia Nuyado. Ti pare che possano essere una buona rappresentanza del popolo mapuche?

Loro non rappresentano il popolo mapuche. Che sia chiaro. Loro rappresentano i loro partiti, hanno solo cognomi [mapuche]. Se rappresentassero il popolo-nazione mapuche, non sarebbero di partiti politici. E se lottassero per l’autonomia, farebbero parte del Movimento Mapuche Autonomista. Siamo altri quelli che lo stiamo rappresentando. Bisogna differenziare e chiarire le cose, nella politica si usano molto questi artifici per ingannare la gente.

Noi abbiamo la responsabilità politica di rappresentare il nostro popolo nella lotta per l’autonomia e la restituzione territoriale. Se questa gente fosse qua, in questa lotta, non starebbe nel parlamento.

Si parla molto delle responsabilità nel governo, del ministro Chadwick, per esempio, o dello stesso presidente Piñera. Però, secondo te, quando ha iniziato ad acutizzarsi questo conflitto?

Quando si è iniziato a rivendicare questa necessità per il popolo-nazione mapuche, comincia immediatamente -come risposta da parte dello Stato- una politica di ‘porte in faccia’ a queste rivendicazioni. Lì comincia la strategia che hanno assunto tutti i governi. Le politiche del ‘bastone e della carota’. Perciò, che oggi abbiamo via libera per il para-militarismo dei latifondisti e gli agricoltori, insieme a queste forze di occupazione come il Comando Jungla, il GOPE [n.d.t.: corpo speciale dei Carabineros impiegato principalmente contro le comunità Mapuche in Araucania] e le Forze Speciali, è il risultato di questa politica del ‘bastone’, che è quella che più è stata sviluppata da parte dei governi.

Ci sono stati governi migliori o peggiori?

Oggi siamo in un governo in cui si è evidenziato più chiaramente tutto quello che è stata la criminalizzazione, soprattutto, con il caso del vigliacco assassinio di Camilo Catrillanca. Però ci era chiaro che questo era qualcosa che stava per accadere. Cioè, la politica di militarizzazione viene dal governo precedente. La signora Bachelet quando era ministra della Difesa, già aveva questa logica di affrontare i conflitti sociali con quest’ottica, quella di affrontare come un nemico interno il popolo-nazione mapuche.

Nell’Operazione Huracán [Uragano], per esempio, la signora Bachelet ha mantenuto un silenzio assoluto e così pure i personaggi di allora. Non c’è nessuno che si sia preso questa responsabilità.

Il governo di Sebastián Piñera ha avuto due figure che hanno comandato lo sviluppo del conflitto. Da un lato, il ministro Andrés Chadwick appare come il principale responsabile della tensione attuale esistente, e dall’altro, il ministro Alfredo Moreno è uscito con una proposta di dialogo interculturale. Vedi qualche differenza tra i due ministri nella loro visione dell’origine del conflitto e di una possibile soluzione allo stesso?

Entrambi sono le due facce di una stessa medaglia. C’è una politica che è concatenata a entrambi. Non è che loro stiano andando per cammini distinti. Esattamente al contrario. Questa è una strategia congiunta. La strategia di coinvolgere il mondo mapuche –in ginocchio di fronte alle politiche estrattiviste-, ha a che fare anche con il fatto che noi che non ci sottomettiamo ai dettami e alle regole del mercato dobbiamo essere repressi con la forza del bastone -che è la politica rappresentata dal signor Chadwick- e il Comando Jungla, Forze Speciali e Gope. Perciò, per noi non c’è molta differenza. Sono le due espressioni concrete di quello che sempre si è sviluppato sul tema mapuche.

Il ministro Moreno ha manifestato di essere contro l’applicazione della Legge di Sicurezza Interna dello Stato, per esempio, è questo gli ha comportato di essere dichiarato ‘persona non grata’ dalle corporazioni degli agricoltori della zona, che lo chiamano “pro-mapuche” Questo configura un qualche tipo di segnale per voi? Esistono ministri “pro-mapuche”?

E’ il gioco del poliziotto buono e il poliziotto cattivo, però in fondo cercano lo stesso obiettivo. Disarticolare le espressioni di lotta, particolarmente di quelli che siamo molto impegnati nella restituzione territoriale e la devoluzione delle terre usurpate, e con questa possibilità concreta di uscire dall’oppressione che ci impone lo Stato, attraverso la libera determinazione o la conquista dell’autonomia per il popolo-nazione mapuche.

Non esistono ministri pro-mapuche. È l’incapacità e il razzismo quello che acceca le corporazioni, che pensano ci sia un’uscita su questo piano. È una visione errata, perché il ministro Moreno in nessun caso è ‘pro-mapuche’. Al contrario. Quello che lui vuole è, attraverso un avvicinamento a certi settori mapuche –e non necessariamente del movimento mapuche in lotta-, pacificare e calmare le acque per ottenere che le politiche estrattiviste degli imprenditori, coinvolti in zona di conflitto, possano svilupparsi in forma più tranquilla e in uno scenario più favorevole.

Però che il signor Moreno venga a dire che ha fatto progressi sostanziosi, ci pare insolito. La verità è che non ha fatto alcun progresso in materia sociale e politica.

Questa è una situazione che si vive dai tempi della colonia nel territorio del wallmapu. Però, oggi il conflitto non è lo stesso di prima. Qual’è lo sfondo attuale della lotta mapuche?

Lo sfondo è che c’è un processo di militarizzazione, c’è un processo di forte criminalizzazione e di violenza contro le comunità mobilitate, contro la gente mapuche. In questo senso, c’è una risposta del nostro popolo che noi definiamo come autodifesa e resistenza. Noi ci facciamo carico di questo piano. Se noi siamo oppressi e violentati, abbiamo il legittimo diritto di ribellarci a questa realtà. Questo è consacrato persino nella dichiarazione universale dei diritti umani. Anche le encicliche lo definiscono come un diritto fondamentale.

Se noi analizziamo questo sfondo del conflitto del popolo-nazione mapuche, lì c’è il punto d’inflessione per capire la realtà e lo scenario che oggi si vive, che è di scontro e praticamente di guerra.

La CAM, per definizione, è un’organizzazione di resistenza in una zona di conflitto nella quale vivono civili e militari? Contro chi lotta il popolo-nazione mapuche? Chi è il nemico?

Il movimento mapuche non sta lottando contro la società cilena né contro il cileno comune che ha interessi qui. Questo è assolutamente falso. Lo scontro diretto è con l’imprenditoria coinvolta in zona di conflitto, e il principale imprenditore lì è l’industria forestale. Vale a dire che i gruppi economici con cui noi oggi ci stiamo scontrando sono le imprese forestali.

Lì c’è un conflitto concreto e reale, che deve essere assunto dalla classe politica e da tutti gli attori politici. Il movimento mapuche l’ha reso manifesto, ma sembra che si voglia girare la testa da un’altra parte e non si considera con lungimiranza il luogo in cui il conflitto si è intensificato.

Il motivo per cui si è sviluppata tutta questa politica di militarizzazione ha a che vedere con la salvaguardia delle proprietà forestali. Stiamo parlando di accampamenti che sono posizionati in proprietà all’interno delle imprese forestali, messe sotto protezione, come da una guardia pretoriana, da parte delle Forze Speciali dei Carabineros, a protezione degli interessi imprenditoriali in zona di conflitto con cui le comunità si scontrano.

Questa settimana ha circolato sui social un video in cui gli agricoltori distruggevano a fucilate una bandiera mapuche. Con la comparsa di questi nuovi attori, si è acutizzato il conflitto?

Si sta acutizzando sempre più. Noi ormai stiamo ricevendo minacce dal para-militarismo latifondista e loro si pavoneggiano sui social sparando ai nostri simboli. Noi abbiamo già raccontato molte volte della distruzione dei nostri centri cerimoniali e altri simboli da parte di questi settori. Non abbiamo voluto scontrarci perché non sono il nemico diretto, almeno per la CAM. Il nostro nemico diretto sono le imprese forestali e gli imprenditori interessati in zona di conflitto.

Però noi, a volte, sentiamo questi gruppi come una minaccia, dovremo scontrarci con loro. Dovremo scontrarci sul terreno con queste espressioni violente, in difesa della nostra gente, delle nostre risorse e delle nostre comunità.

Considerando le politiche che si vengono sviluppando nella zona e questa acutizzazione di cui parli. Vedi qualche via d’uscita a questa situazione?

Lo Stato e il governo hanno una mancanza di controllo totale in questo momento. Perché sono molto soggiogati dagli interessi del grande capitale e sanno che il problema passa per una disputa territoriale in concreto. Se si deve trovare una soluzione oggi, questa ha a che fare con l’accondiscendere alle richieste del Movimiento Mapuche Autonomista, soprattutto rispetto alla richiesta di tipo territoriale. Cioè, noi siamo disponibili a parlare e persino a trattare, sulla base della restituzione delle terre per il popolo-nazione mapuche.

Stiamo parlando di una possibilità di riconfigurare una mappa territoriale per il popolo-nazione mapuche. Sono la società cilena, i media e altri attori politici, quelli che devono valutare questa situazione: o le terre continuano a stare in mano alla proprietà usurpatrice – depredatrice e capitalista -, o sono restituite al popolo-nazione mapuche per ricostruire un tipo di società del popolo originario. Questa è oggi la lotta mapuche.

Da Resumen Latinoamericano  10 agosto, 2020

Fonte: radioUchile

https://www.resumenlatinoamericano.org/2020/08/10/nacion-mapuche-hector-llaitul-no-luchamos-contra-la-sociedad-chilena-ni-contra-el-chileno-comun-2/

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