Anche se è stata venduta come una grande vittoria, la risoluzione approvata dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) mercoledì 8, con la quale non si riconosce il risultato delle elezioni parlamentari del Venezuela, in realtà è espressione della profonda crisi che attraversa l’istituzione. Che la risoluzione sia stata presentata da Stati Uniti, Brasile e Colombia trasforma il documento in una medaglia d’onore per la nazione bolivariana.
Composta da 33 paesi, dopo il formale ritiro del Venezuela nel 2019 e l’espulsione di Cuba nel 1962, più di un terzo dei suoi membri non hanno appoggiato la risoluzione, e questo mostra un’organizzazione divisa e carente di leadership che in realtà nella sua pratica esecutiva si mostra come un’alleanza di governi di destra diretti dagli Stati Uniti con il fine di mantenere e implementare il loro dominio sulla regione.
Persino la sua tradizionale caratteristica di essere il ministero delle colonie degli Stati Uniti è stata ridotta quasi esclusivamente all’organizzazione di frodi elettorali e colpi di Stato. In questo senso, è riuscita ad imporre Juan Orlando Hernández in Honduras nel 2017 e Jeanine Añez in Bolivia nel 2019, però ha fallito strepitosamente in Nicaragua (2018) quando ha sollevato l’insurrezione golpista contro il governo del comandante Daniel Ortega, a San Vicente e Granadinas, e pure in Guyana durante questo 2020 dove infruttuosamente ha tentato di “sporcare” le elezioni affinché fosse dichiarata la frode per poter imporre i suoi candidati.
Non parliamo poi del Venezuela, dove fin dalla sua elezione a segretario generale, Luis Almagro, in maniera continuativa ha tentato di abbattere il governo del presidente Maduro utilizzando a questo scopo ogni tipo di sotterfugi, velati e scoperti, nonché i vari strumenti che Washington ha messo a sua disposizione a tal fine. Nella ricerca di questo obiettivo assomiglia al Cartello di Lima, suo figlio putativo, partorito contro natura, anche lui fallito.
Se ci atteniamo al disprezzo manifestato dal presidente Donald Trump verso il multilateralismo e le sue istituzioni, al punto che non ha neanche voluto “sporcarsi la reputazione” formando parte del Cartello di Lima, dovremmo concludere che Almagro ha attuato per iniziativa propria nel suo interesse personale di servire gli Stati Uniti come maniera di prolungare il suo soggiorno nella segreteria generale, arrivando al paradosso quando, nel settembre del 2018, annunciò che non si poteva scartare un intervento armato contro il Venezuela, persino passando sopra la Carta dell’ONU.
Però, sembrerebbe che il colpo di Stato contro Evo Morales nel 2019, di cui Almagro ha rivendicato la paternità in un recente libro pubblicato lo scorso novembre con il titolo “Luis Almagro non chiede perdono”, ha superato ogni tolleranza, inclusa quella di coloro che l’hanno promosso e sostenuto.
Naturalmente, tutto succede quando Trump è in uscita. Negli ultimi 4 anni, certe forze e personaggi hanno mantenuto un silenzio complice davanti agli eccessi ed oltraggi dell’ex ministro delle relazioni estere del governo di José Mujica. Uno di questi è l’ex presidente colombiano Juan Manuel Santos che recentemente ha affermato che:”L’OEA non sta funzionando”. Secondo il periodico di Bogotà “El Espectador”, Santos ha fatto quest’affermazione lo scorso giovedì 10 dicembre durante un forum virtuale organizzato dal think tank Dialogo Interamericano con sede a Washington, al quale hanno partecipato anche l’ex governante del Cile Ricardo Lagos, Ernesto Zedillo del Messico e Laura Chinchilla del Costa Rica.
Approfondendo la questione, Santos ha affermato che i paesi della regione sono stati incapaci di concordare una visione di base o un obiettivo per l’istituzione nel mondo attuale e ha concluso confermando che non credeva che ci fosse alcuna leadership all’interno dell’OEA. L’ex presidente colombiano si è lamentato della situazione dell’organizzazione panamericana costruita sotto l’ala di Washington certificando che: “E’molto triste dirlo, però è la realtà, anche adesso l’OEA non sta affrontando i problemi che dovrebbe affrontare”.
Santos crede che sia necessario creare un nuovo tipo di leadership per “rivitalizzare” queste organizzazioni affinché possano raggiungere i loro obiettivi di base. Ha concluso il suo intervento dicendo che: “Se non lo facciamo, queste organizzazioni continueranno ad essere una cosa priva di rilievo”, perché “le istituzioni internazionali sono quello che i paesi membri vogliono che siano”.
Dal canto suo, Ricardo Lagos, che è stato il primo governante nel mondo a manifestare il suo appoggio al colpo di Stato contro il presidente Hugo Chávez nel 2002, ha fatto appello a “ripensare” il sistema. Lagos ha sostenuto che gli sembrava fosse arrivato il momento di una “revisione” del sistema interamericano, poiché la sua “architettura è un poco antiquata”.
In una proposta tipica di Lagos, e degli ultimi presidenti cileni che “tirano il sasso e nascondono la mano”, l’ex presidente, che ha protetto Pinochet durante il suo arresto a Londra, ha proposto un sistema che sia come l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), “però senza carattere militare”, una cosa difficile da intendere e ancor più da mettere in pratica, che però potrebbe essere intesa come la fusione dell’OEA con il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR). Secondo Lagos: “…questo sarebbe molto più importante invece di avere un sistema interamericano estremamente antiquato”.
Per l’ex presidente cileno è arrivato il momento di “ripensare” che tipo di istituzione è necessaria per avere un’intesa tra i paesi dell’America Latina, Caraibi e Stati Uniti, e ha precisato che in questo, il ruolo del Canada è “estremamente importante”.
Nel caso di Santos, è chiaro che ambisce a entrare nel mirino di Biden nel caso che questi, qualora volesse veramente praticare la sua dottrina multilateralista di aggressioni e interventi coordinati, cominci a pensare alla sostituzione di Almagro, che è sempre più impresentabile e contrario alla necessità di stabilità che gli Stati Uniti -vero elettore e mentore dell’OEA- necessitano per mantenere il loro “cortile di casa”. Bisogna ricordare che il governo di Obama, nel quale Biden è stato vice presidente, ha avuto un eccellente rapporto con Santos quando questi era la massima autorità politica del suo paese. Obama ha anche appoggiato in ogni momento Santos durante i negoziati di pace con la guerriglia delle FARC che si sono conclusi a L’Avana nel 2016 ed è stato elemento fondamentale per il Premio Nobel che hanno comprato a Oslo.
Una eventuale destituzione di Almagro servirebbe pure, in qualche modo, ad equilibrare le istituzioni regionali dopo la nomina, da parte di Trump, di Mauricio Claver-Carone come presidente della Banca interamericana di Sviluppo (BID). Questo americano di origine cubana, è stato “impiantato” da Trump in quella responsabilità facendosi beffe della tradizione che riservava questo posto a un latinoamericano
Con tale designazione Trump ha onorato il suo impegno con il repubblicano Marco Rubio e gli esiliati di Miami. Florida e Miami hanno votato per Trump e forse Biden vuole pareggiare i conti togliendo dai giochi Almagro che è diventato un elemento solido del terrorismo cubano e venezuelano stabilitisi nel sud della Florida. E così Biden tenterà anche di mettere nell’OEA un servo più “digeribile”, nell’intento di costruire la “diplomazia coercitiva” che ha propugnato il futuro segretario di Stato, Anthony Blinken.
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