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Donbass: sette anni delle Repubbliche popolari

DNR e LNR

In occasione del 7° anniversario della proclamazione delle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk (il referendum sulla dichiarazione di indipendenza da Kiev si svolse l’11 maggio 2014, anche se ora le celebrazioni per la ricorrenza si tengono l’11 nella DNR e il 12 nella LNR) dal Donbass arriva un breve sunto della situazione e, soprattutto, un ricordo delle vittime civili dell’aggressione ucraina.

Il 7 aprile 2014, allorché l’allora facente funzioni di Presidente ucraino, il golpista Aleksandr Turčinov, annunciava l’adozione di “misure antiterrorismo nell’Ucraina orientale”, a Donetsk si proclamava la sovranità della Repubblica popolare (DNR) e si indiceva per l’11 maggio un referendum sullo status della regione. Il 27 aprile veniva proclamata la Repubblica popolare di Lugansk e anche qui si decideva di indire un referendum per l’autodeterminazione.

Il referendum si teneva l’11 maggio e il raccoglieva il 89,7% nella DNR e il 96,2% nella LNR; il 12 maggio veniva proclamata la sovranità di DNR e LNR. Il 14 maggio era adottata la Costituzione della DNR e il 18 maggio della LNR.

Nella nota curata dalle Repubbliche popolari, si ricordano in particolare le piccole vittime causate dai bombardamenti ucraini nel solo mese di gennaio 2015, il “gennaio di sangue”, oltre al piccolo Vladislav, ucciso poco più di un mese fa in un villaggio alla periferia di Enakievo, rasa al suolo nel 1943 (si chiamava Oržonikidze) dalle truppe d’occupazione, anche italiane.

Purtroppo, i bambini di DNR e LNR morti sotto i colpi ucraini sono molti di più di quelli del tragico gennaio 2015: sono oltre cento, colpiti nei pressi delle proprie abitazioni, o in casa, o addirittura nelle aree aperte degli edifici scolastici, a testimonianza del carattere terroristico e disumano dell’aggressione condotta dal governo golpista di Kiev.

Già sei anni fa, l’ONU parlava di oltre seimila morti in Donbass, tra militari e civili, dal 15 aprile 2014 (la data in cui Turčinov aveva annunciato l’avvio della “fase militare” delle “operazioni antiterroristiche a est”) al 27 marzo 2015. Oggi, nei resoconti ufficiali, il numero è più che raddoppiato.

Insieme al tragico elenco delle vittime, la nota richiama alle proprie responsabilità in particolare la Missione OSCE, ben lontana dal garantire quel controllo “obiettivo e imparziale” che dovrebbe essere tra le sue priorità.

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La guerra in Donbass va avanti già da sette anni. Nonostante la firma degli accordi di pace e le ripetute proclamazioni di cessate il fuoco, le persone qui continuano a morire.

Secondo i dati del OSCE, dal 14 aprile 2014 al 15 settembre 2020, sono morti in Donbass non meno di 3.376 civili. E si parla esclusivamente di vittime confermate dalla Commissione speciale di monitoraggio del OSCE, rilevate in seguito a incontri con parenti delle vittime, o con personale medico.

I dati sui morti e sul numero dei bombardamenti vengono inseriti nei rapporti stilati pressoché quotidianamente, tranne la domenica e i giorni festivi. Rappresentano un testo arido, con un insieme di cifre e fatti, e dovrebbero rispecchiare l’informazione corrente sugli eventi che si verificano in LNR e DNR e nel territorio adiacente.

Per i profani, è abbastanza difficile raccapezzarsi su quei dati. Ma, per gli abitanti del Donbass, quelli non sono solo dati statistici. Si tratta di vittime innocenti.

La missione speciale di monitoraggio del OSCE in Ucraina ha iniziato i propri lavori il 21 marzo 2014. Dalla stessa denominazione della missione, è evidente come le sue funzioni siano quelle di controllo della situazione nella zona delle operazioni militari. E tale controllo deve essere necessariamente obiettivo e imparziale. Un ulteriore compito, non meno importante, è quello di uno stimolo multilaterale al dialogo tra le parti in conflitto.

Nel rapporto tematico del OSCE sulle vittime tra la popolazione civile nel periodo tra il gennaio 2017 e il settembre 2020, sono presenti alcuni grafici che evidenziano il rapporto tra il numero delle vittime nei diversi settori, compresi quelli controllati dal governo ucraino. Le statistiche mostrano che i morti e i feriti nei territori delle Repubbliche popolari sono di alcune volte superiori. La Speciale missione di monitoraggio del OSCE evidenzia il fatto dei continui martellamenti operati dall’esercito ucraino sulle posizioni di LNR e DNR. Ma, tale monitoraggio non implica alcuna conseguenza; questo, nonostante una delle linee di lavoro della Missione debba consistere nella risoluzione del conflitto armato: ma questa, in sette anni, non è mai avvenuta.

Tutti i crimini contro il popolo delle Repubbliche popolari sono raccolti nel “Libro bianco della Novorossija: vittime del terrore ucraino in Donbass: 2014 – inizio 2015”. Tale raccolta testimonia e dimostra le azioni delittuose del governo ucraino. Il volume fornisce anche una valutazione giuridica dei crimini accertati e delle uccisioni di massa; è completo di testimonianze fotografiche e di descrizioni dei luoghi in cui le tragedie hanno avuto luogo.

Nel solo mese di gennaio del 2015, la guerra si è portata via la vita di 11 piccoli abitanti del Donbass:

1- DNR – città di Šakhtërsk: in seguito a tiri di artiglierie, Vanja Voronov ha perso il braccio destro e tutte e due le gambe. Suo padre e il fratello minore sono morti sul posto;

2- DNR – città di Makeevka: la scolara Oksana Vojnarovskaja ha riportato numerose ferite da schegge. Suo padre è morto per schegge alla nuca;

3- LNR – città di Krjakova: in seguito ai colpi portati da sistemi reattivi, sono morte sul posto figlia, mamma e nonna;

4- DNR – città di Donetsk, rione Kirovskij: Artëm Bobrišev, di cinque anni, è morto in seguito ai tiri delle artiglierie; suo fratello maggiore ha riportato seri traumi, mentre la mamma ha perso la gamba destra;

5- DNR – città di Uglegorsk: Roman Misečko e Georgij Komarovskij erano in casa quando è iniziato il bombardamento. Un colpo è caduto direttamente sulla casa. Entrambi sono morti per i traumi mortali riportati;

6- DNR – città di Debal’tsevo: Artëm Lytkin è morto insieme a suo padre, come risultato dello scoppio di un ordigno dopo un massiccio bombardamento di artiglieria;

7- LNR – città di Stakhanov: Arina Gusak (5 anni) e la sua mamma, Natal’ja Evgen’evna Gusak, sono morte mentre si recavano all’asilo “Solnyško”, bersagliato delle forze ucraine con razzi “Uragan”;

8- DNR – città di Donetsk, rione Petrovskij: Saša Smirnov, 3 anni. Era in casa durante un bombardamento d’artiglieria. Un proiettile è caduto sulla casa, che è crollata. È morto insieme al babbo sotto le rovine della casa;

9- DNR – città di Debal’tsevo: Danila Makaev (nato nel 1998) è morto durante un bombardamento d’artiglieria;

10- DNR – città di Gorlovka: Vika Kukharčuk è morta insieme alla mamma sotto un bombardamento;

11- DNR – città di Uglegorsk: Dmitrij Poljak, otto anni. Morto per un proiettile caduto sulla casa.

A chi servono queste vittime? Perché le persone muoiono? Gli abitanti del Donbass auspicano sinceramente che non si ripeta mai più un tale “gennaio di sangue”.

Tuttavia, proprio un mese fa, il 2 aprile 2021, le forze ucraine hanno lanciato una mina da un drone, sul quartiere civile del villaggio di Aleksandrovskoe (DNR). Come risultato, un bambino di cinque anni è morto per le numerose ferite da schegge. La Speciale missione di monitoraggio del OSCE si è recata sul luogo della morte soltanto il 7 aprile, cioè cinque giorni dopo la tragedia…

I fatti rimangono tali: in sette anni la situazione non è mutata in modo radicale. DNR e LNR subiscono regolarmente i bombardamenti, gli accordi di Minsk vengono ignorati, mentre l’Ucraina non vuole condurre un dialogo di pace e blocca ogni iniziativa da parte delle Repubbliche.

Numerosi esperti e analisti ritengono che la Missione di monitoraggio del OSCE potrebbe farsi garante dell’adempimento degli accordi di Minsk per la regolazione del conflitto.

Ora, a presiedere l’Organizzazione, è la Svezia, col suo Ministro degli esteri Ann Linde, che ha rilevato come la soluzione del conflitto in Donbass costituisca una priorità per l’OSCE.

Da parte nostra, non lo confermiamo, né lo neghiamo. Solo il tempo potrà dimostrarlo. L’importante è che questo non avvenga a prezzo di vite umane.

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