In attesa del secondo forum Russia-Africa che si terrà a San Pietroburgo a luglio, e dove si tireranno parecchie somme, si è concluso da tre giorni il terzo tour africano di Lavrov dopo quelli di quest’estate e di gennaio.
Rispetto ai suoi soliti standard ha girato poco visto che ha toccato solo tre paesi, Mali, Mauritania e Sudan, dopo una tappa iniziale in Iraq (nella foto l’arrivo in Mali accolto come una rockstar dal Ministro degli Esteri Abdoulaye Diop; il capo del governo, il colonnello Assimi Goïta, gli ha invece regalato un gigantesco spadone e lo ha insignito del titolo di commendatore dell’Ordine Nazionale del Mali).
Nonostante la durata più breve, comunque, è da questo giro che la Russia ha incassato di più in termini pratici e strategici. Il governo del Sudan si è detto infatti disposto a cedere alla Russia un settore di Porto Sudan per stabilirvi una base navale con una capacità di 300 soldati e 4 navi, anche a propulsione nucleare se necessario.
L’accordo era stato definito durante la presidenza di Omar Hasan Ahmad al-Bashir, estromesso però dal potere nel 2019 e sostituito da Abdalla Hamdok, a sua volta estromesso (e poi reintegrato, finché non si è dimesso il 2 gennaio del 2022) da Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, che al momento è il capo di stato del Sudan in quanto presidente del “Consiglio Sovrano di Transizione”.
Sotto la presidenza di Abdalla Hamdok, un economista di vaglia abbastanza vicino agli USA, le trattative per la concessione della base si erano decisamente arenate tanto che nel giugno 2021 il Capo di Stato Maggiore sudanese, tenente generale Mohamed Osman al-Hussein, aveva dichiarato che l’accordo andava “rivisto”.
Ora la situazione si è evidentemente sbloccata e si attende solo la ratifica del parlamento sudanese che pare abbastanza scontata, vista la capacità – diciamo… – di moral suasion che Burhan esercita sulla politica locale.
Con Porto Sudan, sostanzialmente, la Russia non ha più bisogno del Mediterraneo, anche se si tiene stretta le due basi in Siria, quella aerea di Khmeimim e soprattutto quella navale di Tartus.
La cartina che allego, nella quale compare anche Porto Sudan, chiarisce la portata delle tre missioni di Lavrov, che hanno confermato o istituito una serie di rapporti bilaterali tra la Russia e i governi locali.
Ovviamente questi rapporti non sono tutti dello stesso tipo, né tutti recenti: c’è l’Algeria, alleato storico nel Mediterraneo ed entusiasta acquirente di armamenti russi; l’Egitto, partner commerciale importantissimo che ha richiesto l’ingresso nei BRICS; la Libia, o meglio la metà di Libia che si appoggia a Russia e Turchia (ma lì la situazione è molto complessa); Mauritania, Mali, Repubblica Centrafricana, Burkina Faso in cui sono presenti reparti Wagner sia come addestratori delle FFAA locali che come personale militare, e che hanno soppiantato la Francia in questo ruolo; l’Etiopia, altro storico alleato insieme all’Eritrea; e le nuove “acquisizioni” di Lavrov, Sudan appunto, Ciad e Niger.
Se aggiungiamo gli alleati Siria e Iran e il benevolo governo yemenita, ci rendiamo conto che siamo davanti a una proiezione fortissima della Russia nel quadrante Africa-Medio Oriente a ulteriore compensazione dello sganciamento dall’Europa, che va ad aggiungersi al rapporto consolidato con Cina e India (anche qui con tutta una serie di distinguo, ma in sostanza si tratta di partenariati economici, se non anche politici, vantaggiosissimi).
Il tutto a tre giorni dall’inizio delle manovre navali congiunte che si terranno dal 17 al 27 febbraio nelle acque sudafricane delle baie di Durban e Richards, a cui parteciperanno le marine sudafricana, russa e cinese, dove la Russia esibirà la Admiral Gorškov, la prima fregata armata con missili ipersonici Tsirkon.
* da Facebook
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