Dopo le elezioni amministrative in Turchia dello scorso 31 marzo, non sono mancati episodi che hanno confermato la tensione nel Paese tra turchi e curdi.
La situazione più critica si è registrata nella città di Van, nella parte orientale della Turchia, dove il sindaco eletto, Abdullah Zeydan, appartenente al Partito della Democrazia e dell’Uguaglianza del Popolo (DEM), è stato destituito per volontà del Ministero della Giustizia, avanzando ipotesi di ineleggibilità.
Il grido dei curdi però si è fatto sentire, forte e chiaro, e la prepotenza e violenza politica del “padrone” del Paese, Erdogan, si è spezzata di fronte alla rivolta popolare che c’è stata di fronte all’ennesima usurpazione, già avvenuta nelle elezioni amministrative del 2014 e poi del 2019, quando il governo di Ankara aveva mostrato il suo volto feroce nelle municipalità dove il partito dei curdi aveva vinto.
Questa volta la storia è andata diversamente ma la battaglia non è finita, sarebbe illusione pura pensarlo, perché quando il potere viene sconfitto si dimena per riappropriarsi delle posizioni perse.
Con l’associazione Verso il Kurdistan, da più di vent’anni attiva con progetti di solidarietà nei confronti delle popolazioni curde di Turchia e Iraq, abbiamo visitato il DEM e siamo stati ricevuti dal cinquantaduenne neo-eletto sindaco Zeydan.
La sua storia è fatta di un mandato parlamentare interrotto dalla sua incarcerazione con l’accusa di essere vicino al PKK, partito dei lavoratori del Kurdistan, messo fuorilegge perché considerato terrorista, e da diversi scioperi della fame mentre scontava la pena, uno dei quali a sostegno di Abdullah Ocalan, leader del PKK. Il neo-eletto sindaco, messo in prigione nel 2016, è uscito nel 2022.
In considerazione dei giorni tragici del 2 e 3 aprile scorso, quando le manifestazioni di piazza hanno visto la polizia turca prendere e imprigionare più di duecentottanta persone, come lo stesso Zeydan ha dichiarato, che insieme a migliaia di altre hanno posto resistenza al tentativo di cancellare l’esito delle urne, la domanda scontata da rivolgere al sindaco è stata quanto sentisse solida l’affermazione elettorale, rimarcata dalla forza di piazza che ha difeso il risultato.
Zeydan, prima di rispondere, ha precisato che la sua carica al vertice della città è condivisa con la co-sindaca Neslihan Şedal, carica inesistente per la legge turca ma scelta politica perseguita dal partito DEM.
In questo modo il DEM decide di dar voce e seguito al paradigma del confederalismo democratico di Abdullah Ocalan che nella condivisione tra uomo e donna di tutti gli incarichi istituzionali fa un perno di una nuova politica inclusiva e innovatrice.
Zeydan ha poi manifestato fiducia nella possibilità di concludere il mandato, ma ha sottolineato che sarà fattibile “solo a patto che ci sia il sostegno degli altri partiti politici democratici e delle organizzazioni che rappresentano le forze democratiche. Se ci sarà l’unità di queste forze e il fronte sarà compatto, Erdogan e la sua politica potranno essere battute e la Turchia potrà finalmente diventare un Paese democratico”.
Membri del partito e gli stessi co-sindaci hanno poi espresso un forte disappunto verso la politica dell’Unione Europea, considerata doppiogiochista, perché sventola da una parte la bandiera dei diritti umani e della loro difesa, invocando la necessità di liberare le prigioniere e i prigionieri politici, di garantire giusti processi e trattamenti dignitosi nelle carceri e dall’altra tesse relazioni con il “Sultano” nel sottobosco della politica degli interessi più meschini, che nulla hanno a che vedere con il rispetto dei diritti umani.
L’accusa, dichiarata con nettezza e chiarezza, è di tradire un popolo, quello curdo, che lotta per la propria esistenza, considerato strumentalmente dal governo turco un manipolo di terroristi da far marcire nelle patrie galere.
Nell’epoca del pensiero unico, dove le oligarchie governano indisturbate anche nel Vecchio Continente, la battaglia del neo-eletto sindaco di Van e del popolo curdo per la realizzazione del confederalismo democratico, frutto dell’analisi politica, economica e sociale del leader Apo (Abdullah Ocalan), rinchiuso dal 1999 nella prigione dell’isola di Imrali e di cui da più di due anni non si sa nulla, difficilmente troverà l’abbraccio dell’Europa che con ogni probabilità non si prenderà a cuore la sua sorte e nei fatti si disinteresserà del suo impegno coraggioso, che sfida la brutalità di un governo oppressore per costruire la democrazia, quella stessa che a noi ogni giorno di più sfugge di mano.
Con questa Europa non c’è spazio per i popoli ma solo per i quaquaraquà che la governano.
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marco
non lo so… non che abbia simpatia per erdogan, ma in un contesto geopolitico globale qualche preoccupazione me lo desta questo exploit dei curdi. Empiricamente, troppe volte si è vista la sacrosanta causa curda, strumentalizzata e usata come testa di ponte per gli interessi americani in quell’area. Erdogan è sicuramente un parafascista con pulsioni teocratiche e un’impostazione ultrliberista e non ci si deve minimamente concedere il lusso di accordargli credito o fiducia per qualsiasi ragione. Ma è anche un cane pazzo all’interno della NATO che purtuttavia deve tollerarlo nonostante gli innumerevoli problemi che questi gli causa in tutto il settore. Dai rapporti con la Russia a quelli con israele. Indubbiamente una sua uscita di scena repentina farebbe tirare un sospiro di sollievo sia a washinghton che a bruxelles. Occorre essere lucidi e calmi nell’analizzare la questione turca
Francesco
Rispondiamo a questo commento per indicare una volta per tutte quale logica politica crediamo vada seguita di fronte agli eventi internazionali.
a) tutto ciò che avviene e indebolisce l’imperialismo (vedi Lenin) all’interno del quale ci troviamo (quello per brevità “occidentale” è potenzialmente positivo; esempio: se Erdogan o altri “dirazzano” rispetto alla Nato, va bene. In questo senso lottica “geopolitica” può fornire qualche aiuto;
b) quello che avviene all’interno di ogni paese è da analizzare con l’ottica della LOTTA DI CLASSE, quindi sul piano dei valori e degli obiettivi sociali di ogni conflitto; e quindi Erdogan resta un criminale e chi lotta per l’AUTODETERMINAZIONE DI UN POPOLO sotto il suo dominio, ha ragione a prescindere dalle alleanze temporanee o “tattiche” che (purtroppo) è costretto a compiere e che spesso paga, dopo, a caro prezzo. (da qui il detto curdo “per amiche, solo le montagne”)