Gianluca Nigro è un attivista impegnato in un progetto di ricerca e intervento sul bracciantato nelle campagne del Sud con la rete R@P e Finis Terrae. Lo abbiamo intervistato dopo aver visto un video di denuncia di Danilo Lupo che accusa il Comune di Nardò di aver utilizzato i caporali come mediatori culturali. Gianluca Nigro ha gestito il campo organizzato da Finis Terrae e dalle Brigate della Solidarietà Attiva dal quale è partito lo sciopero, campo che è stato chiuso dopo quell’esperienza. In poche parole sembra che le istituzioni abbiano più lavorato per chiudere quell’esperienza e ritornare alle vecchie logiche di prima che per renderla un modello esportabile, Controlacrisi.org lo ha intervistato.
Nei giorni scorsi una televisione locale leccese, Telerama, ha mandato in onda un servizio nel quale si ipotizza una collusione fra politica e mondo delle aziende e dei caporali nella zona di Nardò, dove circa un anno fa è stata condotta la prima operazione che ha portato agli arresti di caporali ed imprenditori per i reati di caporalato e riduzione in schiavitù. Secondo te dopo lo sciopero di Nardò cosa è cambiato?
A mio avviso è cambiato solo l’impatto mediatico su questi temi. Di fatto, anche l’operazione SABR nasce dentro un quadro di indagini che precede di almeno due anni lo sciopero di Nardò. Quello dello sciopero,infatti, è stato l’unico evento di rilievo politico sulla questione dello sfruttamento dei braccianti migranti in agricoltura. Noi non siamo in grado di dire se le questioni poste nel servizio di Telerama siano vere. Possiamo senza dubbio dire, come abbiamo fatto mentre eravamo a Boncuri e anche dopo gli arresti dell’operazione Sabr che il clima non era leggero e che vi è ancora in corso un tentativo maldestro di riscrivere la storia della vicenda di Boncuri e quella dello sciopero. Già nel 2012 avevamo dichiarato che gli arresti avevano determinato da un lato una impasse politica, poi incracrenitasi più di recente, e dall’altro una mancata rottura del sistema. Infatti le persone coinvolte nel processo, in particolare i caporali, continuavano e continuano ancora oggi a frequentare senza pudore e senza sdegno da parte della comunità le campagne neretine. Ognuno tragga le proprie conclusioni. E’ evidente che c’è stato un tentativo di far saltare l’esperienza Boncuri e di ignorare le organizzazioni che a quell’esperienza hanno dato vita. Troppo imbarazzante per gli equilibri locali sostenere chi con la campagna “Ingaggiami contro il lavoro nero” aveva promosso una conoscenza dei diritti di cittadinanza e del lavoro ad un corpo di lavoratori che si vuole mantenere in stato di inferiorizzazione. Anche il sistema mediatico non si è sottratto a questo ostracismo.
Quindi, tu sostieni, che la politica abbia prodotto poco, prima e dopo quell’evento?
Assolutamente si. Io penso che mai come in questa fase si avverta l’assenza della politica su questo terreno, sia sul livello istituzionale sia sul livello di interesse generale e di discussione su questi temi. E’ del tutto evidente che la frattura politica avvenuta in seno al consiglio comunale e alla giunta di Nardò abbia un legame stretto con la vicenda dei migranti. E’ sintomatico, infatti, che sia stato proprio il partito del Presidente Vendola a subire l’effetto maggiore delle contraddizioni di un non governo del fenomeno. Ma non c’è solo Nardò.
La Regione Puglia, però, si è costituita parte civile nel processo contro i caporali?
Certamente si. Questo è apprezzabile, ma il nodo vero di tutta la vicenda sta nella volontà da parte delle istituzioni, Regione compresa, di non voler oltrepassare il confine del simbolico. Tutto ciò che attiene al livello materiale ed operativo per rompere un fenomeno che pone questioni di sistema, viene di fatto messo da parte. Ci sono tante evidenze in giro per l’Italia ed anche in Puglia, dove la situazione sulle questioni dello sfruttamento dei lavoratori migranti e fra le peggiori d’Europa. La Puglia ha imparato a giocare col sistema mediatico, ma non riesce a superare le evidenze che ormai sono davvero troppe. Naturalmente non c’è solo il livello regionale.
Le evidenze di cui parli quali sono?
Beh intanto c’è da dire che la Regione Puglia ha prodotto nel primo mandato la legge contro il lavoro nero, di fatto inapplicata in tutte le sue parti. Poi ha anche emanato una legge regionale sull’immigrazione, anch’essa avanzata, che introduce, unico caso in Italia, l’accesso al medico di famiglia per i migranti irregolari. E’ sufficiente accompagnare un migrante ad uno sportello sanitario per capire la differenza concreta fra quanto prevede la legge e quanto, di fatto, sia inapplicata. E’ a mio avviso insopportabile che le persone sparse nelle campagne pugliesi non abbiano la possibilità reale, nonostante sia previsto da leggi nazionali e regionali, di accedere al SSN. In provincia di Foggia ad esempio ci sono gli ambulatori dedicati, ma tranne quello di Foggia città gli altri non funzionano.
La realtà foggiana però è difficile per la dimensione che il fenomeno assume.
Non c’è dubbio, ma quel fenomeno esiste in quella dimensione dai primi anni novanta e nulla, dico nulla, di veramente concreto è stato fatto per rompere il sistema. Vendola è stato eletto nel 2005 e tranne la distribuzione dell’acqua, solo in alcune zone, non è stato fatto altro. Vi sono decine di luoghi in quella provincia che sono delle vere e proprie bidonville dove vivono, nel complesso, circa 20.000 persone. Di recente è diventato famoso il “ghetto” di Rignano Garganico, ma vi sono tanti altri posti simili che sono zone franche, quasi dei microcosmi di mondi paralleli. Il punto vero è che tutto ciò serve a riprodurre un modello d’impresa che la politica non vuole smantellare. Non c’è solo l’elemento della presenza di interessi legati alle organizzazioni criminale. Questo è il modello standard di lavoro e di mercato del lavoro in quel comparto. Del resto, come abbiamo potuto verificare in giro per la Puglia e anche altrove questo fenomeno parla, anche se in forme meno agressive, al bracciantato italiano. Abbiamo incontrato anche forme di sfruttamento del lavoro minorile molto pesante.
Secondo te come mai non si vuole porre rimedio definitivo a questo fenomeno?
Io credo che lo sfruttamento in queste proporzioni sia diretta conseguenza, insieme ad altri elementi,
del metodo della concertazione. C’è troppa poca differenza di interessi fra le parti istituzionalmente riconosciute. I lavoratori migranti, oggi, non sono rappresentati. Ci sono piccole e sporadiche iniziative su questo terreno, ma nel complesso le iniziative messe in campo sono inadeguate.
Sperare in una soluzione che sia lontana dal conflitto è una pia illusione. Questo lo sanno anche gli addetti ai lavori ma si guardano bene dall’incentivare un profilo di questo tipo. Del resto lo sciopero di Nardò ha dimostrato quello che sostengo. Tutto quello che è venuto dopo è stato un tentativo di riassorbire, seppur fatto talvolta con spirito positivo, la carica emancipativa prodotta da quello sciopero. Le dichiarazioni dei soggetti pubblici di Nardò se assemblate compongono, più che una analisi, una sceneggiatura da film dell’orrore. Questo significherà qualcosa!
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