I padroni sentono l’odeore del sangue e provano ad affondare i denti. Confortati dal perdurare della crisi, dall’aumento abnorme della disoccupazione, “sentono” che il lavoratore è sempre più debole. Grazie anche alle politiche dell’Unione Europea, alla complicità dei sindacati “storici”, all’ininfluenza dell’opposizione sociale e politica (frammentata, localistica, di corto respiro e breve visione).
E quindi partono a testa bassa per stabilire la nuova “linea contrattuale”: o vi fate abbassare del 20% i salri oppure ce ne andiamo via, a produrre dove il costo del lavoro è ancora più basso.
L’articolo de IlSole24Ore che qui vi proponiamo ha l’invidiabile dono della “sincerità”. In fondo è pur sempre l’organo di Confindustria…
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Tagli al costo del lavoro e flessibilità: così Pordenone prova a convincere Electrolux a restare
dal nostro inviato Luca Orlando
Moderazione salariale e flessibilità in cambio della garanzia dei posti di lavoro. Pordenone traccia la rotta italiana alla flexsecurity, con l’Unione degli industriali che propone ai sindacati un patto territoriale per scongiurare la desertificazione produttiva.
Un rischio concreto, alla luce dell’annunciata “investigazione” di Electrolux sulla competitività dei siti italiani, analisi che potrebbe portare alla chiusura dell’impianto locale, 1200 addetti diretti e altri duemila nell’indotto.
Per evitare lo stop produttivo gli industriali, grazie al lavoro di un team che comprende tra gli altri l’ex ministro del Lavoro Tiziano Treu, l’ex governatore regionale Riccardo Illy e il presidente del fondo italiano di investimento Innocenzo Cipolletta, hanno messo a punto una proposta da sottoporre ai sindacati che prevede, in cambio della garanzia occupazionale, l’abbattimento del costo del lavoro aumentando allo stesso tempo la flessibilità produttiva. Patto “accelerato” dalle vicende Electrolux e da altre crisi rilevanti come quella di Ideal Standard, ma che troverebbe applicazione all’intero territotrio, seppure con diverse intensità di applicazione a seconda dello stato di salute delle singole imprese.
Il contenuto della proposta, messa nero su bianco in un documento di 20 pagine, è dirompente sotto diversi aspetti: anzitutto perché si evita di battere cassa attendendo passivamente l’azione del Governo; in secondo luogo perché articola in modo concreto i passi da compiere, senza ambiguità.
Moderazione salariale significa dunque nel caso di una grande azienda metalmeccanica (leggi Electrolux) un taglio del 20% del costo del lavoro, (del 10% per le Pmi) effettuato rinunciando a premi di risultato, scatti automatici e altre indennità fisse negoziate in passato.
«Un mondo che non c’è più – ricorda il presidente degli industriali di Pordenone Michelangelo Agrusti –, perché questa una volta era la Manchester d’Italia mentre ora è da 15 anni che non si vede un nuovo grande investimento: occorre agire subito, con azioni efficaci qui e oggi».
Certo, l’azione nazionale sulla riduzione del cuneo fiscale resta per gli imprenditori fondamentale e irrinunciabile, ma qui a Pordenone i tempi stringono e occorre gettare subito sul tavolo della trattativa con Electrolux un’offerta appetibile, quantificata ora in una riduzione del costo orario del lavoro da 24 a 19 euro.
La proposta, che punta a fare di Pordenone un laboratorio per la nuova competitività industriale, prevede di assorbire nei futuri aumenti nazionali i superminimi (ad eccezione di quelli per merito) e le indennità fisse ante-1993, eliminando per i neo-assunti gli importi previsti dalla contrattazione territoriale o aziendale.
Per le aziende in crisi che si impegnano a mantenere l’occupazione, o per quelle in crescita con programmi di incremento occupazionale o stabilizzazione dei lavoratori a termine, si ipotizza anche la sospensione dei premi di risultato e delle altre maggiorazioni aziendali.
All’impresa il lavoro costerà meno ma sarà anche più flessibile, perché l’ipotesi è limitare le pause a quelle previste dal contratto nazionale, prevedere recuperi più “lunghi” (entro 60 giorni) per le prestazioni eccedenti le 40 ore settimanali, spostare alla domenica le festività del santo patrono locale e del 2 giugno, monetizzare le ferie eccedenti le quattro settimane, consentire assunzioni “acausali” a tempo determinato fino a 24 mesi. Flessibilità maggiore anche nell’inquadramento, con la possibilità per l’impresa di utilizzare il lavoratore fino al 30% del monte ore per mansioni di livello inferiore o superiore, senza che questo provochi cause per demansionamento o diritti al passaggio al livello più alto. Per le aziende in crisi, inoltre, potrà essere sospesa l’intera applicazione della contrattazione di secondo livello territoriale o aziendale ante-1993.
A parziale compensazione dei minori importi in busta paga la proposta prevede integrazioni aziendali sul fronte del welfare con aiuti per sanità integrativa, buoni scuola, buoni spesa, ticket restaurant, trasporto, asili nido e assistenza agli anziani. Ambiti in cui si sollecitano interventi della Regione e convenzioni con banche e sistema sanitario.
A regolare il meccanismo, decidendo in quali imprese adottare l’accordo, provvederà un organo bilaterale composto da sindacati e imprenditori. Collaborazione che potrà compiere un salto di qualità anche all’interno dell’impresa, perché l’altro punto di rottura rispetto al modello attuale è la proposta di far partecipare direttamente i lavoratori al rischio aziendale attraverso aumenti di capitale o bond convertibili. La proposta in campo è chiara: sacrifici in cambio di posti di lavoro e coinvolgimento.
“Pantalone”, Regione o Stato che sia, resta sullo sfondo, utile ma non determinante: la partita è tra imprese e sindacati, primo round giovedì. «Se qualcuno ha proposte migliori noi ascolteremo – aggiunge Agrusti – ma è chiaro che il saldo, cioè il risultato finale, deve essere invariato. Per chiudere l’intesa abbiamo al massimo due mesi, qui il tempo ormai è finito. Ottimista sul risultato? Io ci conto, credo che l’accordo si farà, anche con la Cgil».
18 gennaio 2014
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