Il procuratore reggente di Varese, Felice Isnardi, ha rimosso i pm Abate e Arduini dell’indagine sulla morte di Giuseppe Uva e si è assegnato il fascicolo. Sarà dunque lui a sostenere le accuse che il gip ha dettato con la sua ordinanza nei confronti degli uomini in divisa: omicidio preterintenzionale, violenza privata, arresto illegale e abbandono di incapace.
Si tratta di una svolta consistente dopo sei anni di depistaggi, rinvii, ritardi, testimoni mai ascoltati e una serie di atti di intimidazione contro i parenti e gli amici della vittima 43enne morta nell’ospedale di Varese la notte del 14 giugno del 2008 dopo che era stato fermato, insieme all’amico Biggiogero, nel centro della città lombarda.
Il procuratore Isnardi, inviato dalla procura generale di Milano dopo il trasferimento di Maurizio Grigo a Campobasso, ha giudicato “illogica e immotivata” la richiesta di rinvio a giudizio dei sei poliziotti e dei due carabinieri formulata dai due pm che, secondo lui, avrebbero scritto le imputazioni in maniera tale da rendere difficile sostenere l’accusa in giudizio. Del resto, i due hanno più volte espresso la propria contrarietà ad indagare gli uomini delle forze dell’ordine in servizio la notte della morte di Giuseppe Uva cercando prima di deviare l’attenzione verso medici e infermieri e poi di far archiviare il caso. E’ stato solo grazie alla decisione di pochi giorni fa del gip Giuseppe Battarino che è stata respinta la seconda richiesta di archiviazione presentata in pochi mesi e i sei poliziotti e i due carabinieri indagati sono stati rinviati a giudizio e se tutto va bene verranno processati.
L’avvocato della famiglia Uva e di tante altre vittime di ‘malapolizia’, Fabio Anselmo, non può che esprimere soddisfazione per la decisione del procuratore capo di Varese. Ma, aggiunge, “si tratta di un atto che avrebbe dovuto essere compiuto molto tempo. La mia non è una critica all’attuale procuratore ma a chi lo ha preceduto”. Poi specifica: “La posizione dei pm Abate e Arduini era imbarazzante e si è fatto torto all’immagine della giustizia e alla dignità della magistratura”.
«Sono un po’ felice e un po’ amareggiata, un po’ di tutto. E’ una buona notizia – dichiara a Crimeblog Lucia Uva – si potrebbe anche dire una vittoria, però è anche una sconfitta: in questi sei anni questo pm mi ha proprio torturata, come ha torturato Giuseppe; è stata una battaglia lottata. Ci aspettiamo che adesso parta il vero processo perché Giuseppe è come se lo avessero ucciso ieri ed oggi si cominciano le ricerche sul perché sia morto. Questa è la verità. Noi chiediamo che venga fatta luce e i reati che resteranno in piedi vengano pagati tutti per intero».
Ora però c’è un problema di tempi, perché a giugno tutti i reati ipotizzati nei confronti degli otto tra militari e poliziotti, tranne quello di omicidio colposo, saranno archiviati d’ufficio per scadenza dei termini.
Intanto ad anni di distanza e proprio in queste ore è spuntata una preziosa testimonianza su quanto avvenne quella notte dopo il fermo per ubriachezza molesta di Giuseppe Uva. Una donna infatti ha raccontato ai redattori del programma “Chi l’ha visto?” di Rai 3 – la puntata andrà in onda stasera – di esser stata presente quando l’uomo venne portato in ospedale, sottoposto ad un Trattamento Sanitario Obbligatorio, dopo il fermo nella caserma dei carabinieri di Varese. Erano le cinque di mattina, ha raccontato la testimone: “C’erano guardie e carabinieri. Sono rimasti in quattro-cinque o sei. E lui, Giuseppe Uva, continuava ancora a urlare: bastardi! Allora uno di quelli, carabiniere o poliziotto questo non so, ha detto: Basta adesso, finiamola! Poi si è rivolto a dei colleghi così: portiamolo di là e gli facciamo una menata di botte”. “Loro hanno aperto una porta e poi hanno chiuso”. “All’uscita – afferma ancora la donna – ho notato che lo sorreggevano bene. Io in quel momento ho guardato lui e al naso aveva questa escoriazione. Ho sentito dire: prendete la barella, che lo mettiamo sulla barella. Difatti l’hanno messo sulla barella e poi hanno chiamato il dottore, che gli ha messo la flebo”.
La famiglia, in particolare la sorella Lucia, ha sempre sostenuto che il corpo della vittima fosse piena di ferite ed ecchimosi giustificabili solo come conseguenza di un pestaggio, ed anche l’amico Biggiogero raccontò inutilmente per anni di aver sentito urla e rumori inequivocabili provenire dalla stanza della caserma dove Uva era sottoposto a un ‘interrogatorio’, così inequivocabili che lo convinsero a chiamare un’ambulanza che però uno dei dirigenti della caserma di via Saffi rimandò indietro. Perché poliziotti e carabinieri si accanirono in quel modo, prima in caserma e poi addirittura in ospedale, contro l’inerme vittima? In molti hanno raccontato degli screzi personali esistenti da tempo tra Uva e un carabiniere in servizio in città prima che quel banale arresto degenerasse.
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