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Scuola Diaz, Italia condannata per la ‘macelleria messicana’

“Mi sdraio sul pavimento in legno e dopo qualche minuto dormo come un bambino, stanco della giornata. Alle 23.30 sento un baccano infernale provenire dalla porta che si sfonda dopo poco, vedo entrare panchine. Penso ai Black Block, ad un gruppo di fascisti. Era la nostra Polizia. Si è scatenato l’inferno mentre cantavano Faccetta Nera”.

Così Arnaldo Cestaro, che all’epoca dei fatti aveva già 62 anni ed era un pensionato militante, ha raccontato in passato la terribile esperienza della violenta irruzione delle forze dell’ordine nella scuola Diaz di Genova durante il G8 del 2001. Ed è in base al suo ricorso che nei giorni scorsi la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia per tortura.

I giudici della Corte europea hanno stabilito all’unanimità pochi giorni fa che l’Italia violò l’articolo 3 della Convenzione sui diritti dell’uomo, che vieta la tortura. L’Italia dovrà versare a Cestaro un risarcimento di 45mila euro.

Il bilancio del pestaggio da “macelleria messicana” operato dalle forze dell’ordine, come venne definito dal vicequestore Michelangelo Fournier, condannato in primo grado e poi prescritto, fu pesante: 82 attivisti feriti, 4 dei quali finiti in ospedale in prognosi riservata.

La notte del 21 luglio, dopo due giorni di proteste di centinaia di migliaia di manifestanti contro il g8 in corso in una Genova blindata e militarizzata, centinaia di poliziotti fecero irruzione con la forza nell’edificio scolastico dove era stato allestito il dormitorio del Genoa Social Forum e aggredirono gli attivisti e i giornalisti che trovarono al suo interno, la maggior parte dei quali stavano già dormendo. Durante il violentissimo blitz, furono fermati 93 manifestanti provenienti da varie città italiane e dall’estero. Tra gli attivisti arrestati, 63 furono trasferiti in ospedale e una ventina furono portati nella caserma della polizia di Bolzaneto, dove vennero sottoposti ad ulteriori violenze e torture. Ragazze denunciarono molestie sessuali e in molti raccontarono che i poliziotti cantavano inni fascisti.

Tra i feriti più gravi, il giornalista inglese Mark Covell, che finì in coma dopo essere stato assalito e picchiato dagli agenti. Per giustificare la mattanza, alcuni dei responsabili delle forze dell’ordine decisero di portare all’interno della scuola Diaz delle bottiglie molotov trovate in città durante gli scontri e degli attrezzi da lavoro recuperati in una cantiere vicino, per utilizzarli come prove della presenza di numerosi black block nell’edificio.

Un poliziotto, Massimo Nucera, affermò anche di essere stato aggredito con un coltello da uno degli ospiti della struttura, mostrando un taglio sul proprio giubbotto antiproiettile ma la sua versione si rivelò falsa e fu successivamente accusato di calunnia. Alla fine Nucera se l’è cavata con una piccola e insultante multa.

Complessivamente furono 125 i poliziotti finiti sotto accusa per il violento blitz. Il processo penale per i fatti della Diaz si è concluso con la sentenza della Cassazione che ha confermato in via definitiva le condanne per falso aggravato: 4 anni per Francesco Gratteri, capo del dipartimento centrale anticrimine della Polizia; 4 anni per Giovanni Luperi, vicedirettore Ucigos ai tempi del G8; 3 anni e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, attuale capo servizio centrale operativo. Condannato in via definitiva anche il capo della squadra mobile di Firenze Filippo Ferri a 3 anni e 8 mesi e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e convalidata in parte anche la condanna per Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto mobile di Roma. Condanne poco più che simboliche, mentre alcuni dei massimi responsabili di quelle violenze da parte degli uomini in divisa sono stati nel frattempo addirittura promossi ad incarichi di prestigio negli apparati statali e di sicurezza. 

 

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