Giuseppe Uva è la terza faccia, da sinistra, di queste che vedete sorrette da sorelle, combattenti. Può essere che non l’abbiate mai sentito nominare. D’altronde questo è un paese in cui, quando la responsabilità di abusi e morti ricade sulle istituzioni di polizia, si insabbia la verità e la si depista continuamente.
Peppe era un operaio 43enne ed ebbe la sfortuna, una sera di 10 anni fa, di essere fermato dai carabinieri. Era giugno 2008.
Venne trattenuto, portato in caserma senza alcun motivo plausibile. Morì nel giro di una notte, dopo essere stato sottoposto a tso (trattamento sanitario obbligatorio), all’ospedale di Varese.
Il primo grado della sentenza è stato confermato oggi: tutti assolti i carabinieri e gli ufficiali coinvolti, perchè “il fatto non sussiste”.
Non sussistevano le urla di Giuseppe in caserma e riportate dal testimone Biggiogero, fermato insieme a lui.
Non sussistevano le testimonianze della guardia giurata e della dottoressa in pronto soccorso, a cui Giuseppe aveva detto di essere stato picchiato e dolorante per quello.
Non sussistevano i traumi sulla testa riscontrati sul cadavere di Peppe dai medici legali.
Non sussistevano le macchie di sangue trovategli sul cavallo del jeans a scendere.
Quanto pesa la vita di un operaio, forse ubriaco, per le istituzioni di questo paese? Se uno entra in una caserma con le sue gambe e ne esce in una bara, possibile che non sia mai responsabilità di nessuno?
Alla sorella di Pino, che da 10 anni battaglia perchè chiarezza e verità vengano fatte su quella notte, il nostro sostegno più vivo. Forza Lucia Uva,
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