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La Ue mette sotto inchiesta i Cds

Si tratta di contratti di assicurazione dal rischio fallimento in seguito a prestiti. Vengono “accesi” un po’ su tutto, sul debito privato come su quello pubblico dei vari stati. Sembrano un’istituzione utile, e vengono usati come indicatore attendibile del “rischio” incorporato da certi titoli. Il costo dell’apertura un Cds dipende infatti dal grado di incertezza sulla solvibilità di un determinato debitore. La Grecia, per dirne una, paga un Cds altissimo; la Germania, molto meno.

Ma quanto sono rischiosi a loro volta i Cds? E quanto sono attendibili, se per caso il “cliente” da assicurare fallisce?

Beh, alla seconda domanda si può rispondere subito: per nulla. Se dovesse fallire, mettiamo, lo Stato italiano, non sarà certo una società finanziaria qualsiasi a poter coprire le perdite degli investitori.

La risposta alla prima, invece, è molto più complicata. I Cds vengono contratti e scambiati a loro volta come fossero dei titoli qualsiasi, il loro prezzo può variare, ma non c’è alcun mercato regolamentato su cui tutto ciò avviene. Over the counter, si dice. Mercati paralleli, tra operatori solo teoricamente sconosciuti.

E qui si è infilata la lente indagatrice della Ue. Il commissario Ue per la concorrenza, Joaquin Almunia, ha annunciato oggi di aver aperto, nel quadro dell’attività antitrust svolta dai suoi servizi, due distinte inchieste. Si vuole verificare l’esistenza o meno di comportamenti, collusioni e accordi che, violando le norme sulla concorrenza, possono aver portato all’abuso di posizioni dominanti, alla distorsione delle condizioni di mercato e alla costituzione di monopoli.

I presunti colpevoli sono per un verso le 16 grandi banche d’investimento internazionali più attive in questo mercato (a cominciare da JP Morgan, l’istituto che inventò i Cds) e dall’altro due società leader nel settore Cds: la Markit, fornitrice di informazioni su prezzi e volumi delle transazioni, e la clearing house Ice. Le altre banche finite nel mirino dell’antitrust Ue sono: Bank of America Merrill Lynch, Barclays, BNP Paribas, Citigroup, Commerzbank, Credit Suisse First Boston, Deutsche Bank, Goldman Sachs, HSBC, Morgan Stanley, Royal Bank of Scotland, UBS, Wells Fargo Bank/Wachovia, Credit Agricole and Societè Generale.

I Cds, ha sottolineato Almunia, «svolgono un ruolo utile. Ma recenti sviluppi hanno indicato che gli scambi di questi titoli soffrono di numerose inefficienze che non possono essere eliminate solo attraverso interventi normativi». «La mancanza di trasparenza nei mercati può portare a comportamenti scorretti e agevolare violazioni delle regole della concorrenza. Per questo la Commissione ha il dovere di intervenire e spero che la nostre indagini possano contribuire a un migliore funzionamento dei mercato, ma anche a rendere più solida la ripresa economica».

L’altra inchiesta «complementare» è quella avviata sul fronte normativo per il varo di nuove regole su prodotti finanziari derivati particolarmente rischiosi, come appunto i Cds e le vendite allo scoperto. Ma la proposta della Commissione di limitare le transazioni sui Cds nel caso di grave instabilità finanziaria o seria minaccia per i titoli pubblici dei Paesi Ue si è per ora arenata. Quasi tutte quelle banche sono anglosassoni (statunitensi o inglesi), solo quattro sono francesi o tedesche. Chiarissimo, dunque, chi si muova per far da “tappo” ad ogni sforzo di regolamentazione

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