La pubblicazione dei verbali delle riunioni della Federal Reserve nel 2006 diventa fonte di imbarazzo notevole perché testimoniano meglio di un’analisi economica l’ignoranza completa di questi “super-esperti” davanti al montare dei segnali della pù grande crsi della storia umana.
La colpa? Sul piano teorico la fede religiosa nelle capacità del capitalismo di autoregolarsi, per cui a loro non restava che “lasciar fare”, monitorando da lontano.
Sul piano pratico, più probabilmente, viste le loro relazioni con il sistema finanziario, gli interessi comuni: io ti lascio in pace, tu mi assumerai quando cambio mestiere o ci scambiamo i posti (passare da Goldman Sachs al governo o alla presidenza di altre banche o a organi di “controllo” dell’attività bancaria, come sappiamo è estremamente facile: basta guardare le carriere di Mario Draghi o Mario Monti).
Leggiamo, dunque, quei verbali.
«È improbabile che assisteremo a un deragliamento della crescita a causa del mercato immobiliare». Era il 2006, durante la sua prima riunione alla guida della Fed, quando Ben Bernanke pronunciava queste parole. I prezzi delle case erano già in calo, ma nessuno all’interno della banca centrale americana sembrava preoccuparsene molto. E nessuno intravedeva la possibilità che il rallentamento dell’immobiliare fosse in grado di far scivolare gli Stati Uniti in quella che è poi stata chiamata la Grande Recessione.
Anzi durante quella stessa riunione, del 26-27 marzo 2006, Timothy Geithner, l’allora presidente della Fed di New York, diceva: «I prezzi delle azioni e gli spread suggeriscono che c’è fiducia nelle prospettive di crescita. Le condizioni del sistema finanziario sembrano sostenere l’espansione».
Le trascrizioni delle riunioni del 2006 non sembrano lasciare adito a dubbi: la Fed non aveva saputo leggere i pericoli che i mutui subprime creavano per il sistema della finanza. I governatori hanno scherzato sulle denunce dei costruttori e su loro sforzi di far apparire occupate le case vuote. Solo un anno dopo, quando l’economia ha iniziato a contrarsi, la Fed si è resa conto della gravità della situazione e ha usato tutti gli strumenti a sua disposizione per sostenere l’economia.
I documenti, resi pubblici come di consuetudine dopo cinque anni, mostrano come le personalità più eminenti della politica monetaria non siano state in grado di capire i meccanismi dell’economia che erano tenuti a supervedere. «Il problema non è stato una mancanza di informazione, ma una mancanza di comprensione» afferma il New York Times.
«È imbarazzante per la Fed» evidenzia Justin Wolfers, professore dell’Università della Pennsylvania. Le trascrizioni mostrano come la Fed fosse a conoscenza del fatto che il mercato immobiliare avesse raggiunto il picco all’inizio del 2006. Ben Bernanke ha assunto le redini della Fed nel febbraio 2006, sostituendo Alan Greenspan, considerato da molti il responsabile della crisi.
«Ritengo che in futuro penseremo meglio di te di quanto già non lo facciamo ora» aveva detto il lecchino Geithner nel gennaio 2006, durante l’ultima riunione di Greenspan come presidente. Bernanke dalle trascrizioni appare come la voce più insistente nell’evidenziare che i problemi del mercato immobiliare avrebbero potuto avere un ampio impatto. Ma allo stesso tempo, nella sua prima riunione aveva precisato: «È improbabile che deraglierà la crescita». I problemi dell’immobiliare, per Geithner, avevano «poche ramificazioni. Non vediamo segni di danni collaterali» aveva sottolineato l’allora presidente della Fed nel settembre 2006.
Alcuni membri della Fed avevano addirittura valutato che il rallentamento dell’immobiliare avrebbe avuto un impatto positivo per l’economia. La Fed «non aveva capito – evidenzia il New York Times – lo stretto legame fra il settore immobiliare e i mercati finanziari» che, a suo avviso, erano solidi.
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