La “guerra delle valute” è stata sempre un’arma statunitense, visto che sono l’unico paese al mondo che può “stampare” moneta senza subire conseguenze inflazionistiche interne di dimensioni devstanti. Perché il dollaro è anche moneta di scambio e moneta di riserva internazionale. La sua solidità fonda comunque su un arsenale bellico tale da essere “convincente” per chiunque, giustamente diffidente, è costretto a prendersi dollari di carta in cambio di merci reali.
Qualcosa di simile, ma su scala minore, ha cominciato a fare il Giappone. Che non ha un esercito “dispiegabile” nel mondo né un arsenale nucleare, ma che ha cominciato a stampare yen per acquistare euro in modo da facilitare le proprie esportazioni a scapito delle merci europee.
Ma la guerra è iniziata anche all’interno dell’Unione europea, e persino all’interno della zona euro. Ma come? Non abbiamo forse tutti la stessa moneta? Come si fa a fare una “svalutazione competitiva” (sinonimo o effetto della “guerra delle valute”) se non si può agire sulla moneta?
L’articolo tratto da IlSole24Ore lo spiega benissimo, prendendo in esame la politica francese sotto Hollande. Visto che non si possono dare – per i vincoli europei – “aiuti di stato” alle imprese, l’aggiramento delle regole avviene con altri mezzi: aumento dell’Iva (che pesa anche sulle importazioni, funzionando così come una sorta di “dazio protettivo”) e sgravi fiscali alle imprese.
L’effetto è lo stesso degli “aiuti”, ma senza incorrere nelle sanzioni della Ue.
A questo punto è facile prevedere che tutti gli altri paesi dell’eurozona reagiranno seguendo la stessa strada o in altre scavate tra le “norme” ferree fissate dalla Commissione.
Una “guerra” commerciale in un mercato unico… Un’altra conseguenza paradossale del modo – idiota, ideologico e infame – in cui è stata costruita una comunità economica priva di un collante diverso – e ben più solido – del solo interesse delle imprese e della finanza speculativa.
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La svalutazione competitiva? La Francia la sta già facendo. Ispirandosi a un’economista indiana di Harvard
di Riccardo Sorrentino
La svalutazione competitiva? La sta facendo la Francia, tutta da sola, e in modo da colpire soprattutto i partner di Eurolandia. Naturalmente Parigi non tocca la leva del cambio, perché non può farlo, ma ha trovato il modo di simulare con la politica fiscale gli effetti di un deprezzamento dell’euro, e lo ha usato con spregiudicatezza. I risultati potrebbero vedersi presto.
L’idea è semplice. Cosa fa una svalutazione? Rende più costose le importazioni e più competitive, nel prezzo, le esportazioni. Si possono ottenere gli stessi risultati con strumenti fiscali (e si parla, quindi, di svalutazione fiscale). Si aumenta l’Iva, dunque: questo non tocca i beni esportati, ai quali non si applica, ma pesa (anche) sui prodotti importati. Nello stesso tempo si danno crediti fiscali alle aziende, o in alternativa si riducono le tasse sul lavoro, il cuneo fiscale, o semplicemente si tagliano le tasse sulle aziende le quali, conservando i margini, possono abbassare i prezzi delle esportazioni.
L’economista indiana che ha rivisitato Keynes
Parigi sta facendo esattamente questo: su ispirazione di Philippe Aghion, uno degli studiosi più attenti al tema della crescita economica (strutturale) e consulente del presidente François Hollande, ha adottato l’anno scorso questa politica: più Iva – l’anno prossimo aumenterà l’aliquota più alta e ne sarà introdotta una nuova – e crediti fiscali per 20 miliardi.
Aghion si è ispirato al lavoro di Gita Gopinath, 41 anni, economista indiana dell’Università di Harvard che a sua volta, in un lavoro con Emmanuel Farhi e Oleg Itskhok, ha reso attuali alcune proposte avanzate da John Maynard Keynes nel 1931, – prima della Teoria Generale. L’economista di Cambridge invitava però a usare i dazi, che colpiscono direttamente le importazioni, invece delle imposte sui consumi (che sono molto regressive, nel senso che pesano soprattutto sui meno ricchi).
Per i risultati occorrerà aspettare che la politica vada a regime. Una simulazione svolta sulla Spagna da José Boscá, Rafael Doménech,e Javier Ferri per la Bbva, mostra che la svalutazione fiscale ha davvero effetti su esportazioni e importazioni, ma di gran lunga inferiori rispetto alla svalutazione monetaria. L’effetto complessivo sulla crescita è anche qualitativamente diverso: un deprezzamento del cambio porta a un aumento del Pil nel primo anno, ma l’effetto si riduce fortemente nel secondo; la svalutazione fiscale, al contrario, ha effetti relativamente limitati il primo anno, più robusti nel secondo, con un risultato medio leggermente migliore. Una “vecchia” analisi della Banca di Francia, precedente la crisi, ha trovato che un taglio di 1,5 punti percentuali nei contributi finanziato da un aumento dell’Iva genererebbe in teoria 30mila posti di lavoro, che salgono a 300mila se le misure puntassero soprattutto ai salari più bassi.
Un danno per i partner
Il problema è che questa politica potrà danneggiare soprattutto i partner di Eurolandia, verso i quali la “svalutazione fiscale” si dirige. «Emerge un problema di coordinamento internazionale», hanno spiegato Michael Keen e Ruud de Mooij del Fondo monetario Internazionale sul sito Vox.eu. La mossa della Francia «può apparire come una forma di competizione fiscale che alla fine danneggia tutti i paesi», e soprattutto quelli che avrebbero più bisogno di seguire questo tipo di politiche. Vengono in mente la Grecia e il Portogallo, per i quali la svalutazione competitiva è stata proposta, in passato, ma mai applicata. Se tutti i Paesi di Eurolandia adottassero le stesse misure, spiega poi uno studio più rigoroso dei due economisti, l’effetto per ciascuno risulterebbe decisamente ridotto, e quello sulle esportazioni – ma non necessariamente sulla crescita, “sostenuta” dal taglio delle importazioni – forse addirittura azzerato.
Pioggia di critiche
Non si può dimenticare inoltre che il rialzo dell’Iva e i tagli alle imposte sulle imprese necessari per ottenere risultati sono notevoli, anche se più da un punto di vista della “digeribilità” politica – non a caso Hollande ha attenutato gli aumenti previsti dal predecessore Nicolas Sarkozy – che da quello puramente quantitativo. Come pure il fatto – sottolineato dall’Fmi – che in molti Paesi di Eurolandia, a causa dell’attuale struttura delle imposte, la svalutazione fiscale potrebbe favorire i beni e i servizi non-tradable, quelli che non possono essere fisicamente esportati, vanificando tutti gli sforzi.
Non sorprende allora che le critiche siano a volte molto radicali.
«È sostanzialmente – spiega Lars Christensen della Den Danske Bank nel suo blog marketmonetarist.com – un’idea tipica dello stile protezionista degli anni 30: tasse sulle importazioni e sussidi alle esportazioni. Tutti coloro che hanno studiato economia dovrebbero sapere che il protezionismo è estremamente negativo per tutti e che queste idee ridurranno il benessere sia del paese che le introduce sia quello degli altri Paesi. Solo gli stupidi sostengono il protezionismo». Un esempio negativo è per esempio quello dell’India: dal ’47 in poi e per 40-50 anni, spiega Christensen, New Delhi ha adottato queste politiche con risultati molto deludenti. È invece possibile trovare, aggiunge, Paesi che hanno tentato la strada della svalutazione monetaria – attraverso i cambi – e hanno ottenuto risultati anche importanti. Senza necessariamente danneggiare i partner.
da IlSole24Ore
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