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Calano gli occupati, giovani senza lavoro al 39%

La raffica di dati sull’occupazione pubblicato oggi dall’Istat è assolutamente impressionante. Noi prendiamo in considerazione soltanto i dati relativi all’ultimo trimestre del 2012, èer non complicare troppo la lettura.

Nel quarto trimestre 2012 il numero degli occupati diminuisce di 148.000 unità rispetto a un anno prima. Attenzione! Non dovete pensare che allora i disoccupati siano cesciuti altrettanto, perché nel novero delle “forze in età da lavoro” – quelle che poi rientrano nelle statistiche sulla disoccupazione – cè oggi molta più gente di quanta non ce ne fosse un anno prima. In primo luogo perché ogni anno entra tra le forze potenziali di lavoro una nuova leva di ragazzi. Ma soprattutto perché “grazie” alla riforma Fornero delle pensioni, almeno due o tre scaglioni di età non sono più considerabili come anziani usciti dalla produzione, ma “forze in età da lavoro”. Questo numero dell’Istat, insomma, si riferisce soltanto a chi un lavoro nel 2012 ce l’ha avuto. E sono 148.000 meno che l’anno prima.

Il risultato sintetizza il confermato andamento negativo dell’occupazione maschile (-196.000 unità), a fronte del moderato incremento di quella femminile (+48.000 unità).

Ma prosegue anche il calo degli occupati più giovani e dei 35-49enni, mentre aumentano quelli con almeno 50 anni. La ragione, come spiegato spesso da alcuni imprenditori, è impressionante: per i lavori disponibili gli “anziani” hanno più esperienza, e quindi sono paradossalmente più “produttivi”. Questo significa che cìè poca richiesta di nuovi mestieri, per nuovi prodotti. Significa che è il sistema produttivo italiano a non sapersi innovare. La “questione generazionale” è creata dalle deficienze del sistema esistente, non da inesistenti “privilegi intoccabili”. Chiunque parli in questi termini, dunque, è un pericoloso truffatore che cerca di deviare il conflitto sociale – tra figure e classi – verso lo “scontro anagrafico-generazionale”. Come nella Russia di Eltsin-Putin e degli oligarchi.

Ma la riduzione dell’occupazione complessiva registra anche un’altra caratteristica: riduzione tendenziale dell’occupazione italiana (-246.000 unità) e crescita di quella straniera (98.000 unità). Ance qui è facile comprendere che dipende dalle tipologie di impiego dal lato dell’offerta: impieghi a bassa specializzazione, molto “fisici” e salario basso.

Ma nemmeno i migranti sono più tanto appetivili per le imprese “regolari” (quelle su cui si possono fare le statistiche). In confronto al quarto trimestre 2011, infatti, se il tasso di occupazione degli italiani segnala una riduzione di 0,3 punti percentuali, quello degli stranieri arriva addirittura a 0,9. Ogni quattro lavoratori in meno, uno è “indigeno”, tre sono stranieri.

La parte del leone nella riduzione dell’occupazione la fa l’industria. Qui si accentua la flessione avviatasi nel primo trimestre 2012, con un calo tendenziale del 2,5% (-117.000 unità), concentrato nelle imprese di media dimensione. Continua la riduzione degli occupati nelle costruzioni (-4,6%, pari a -81.000 unità). Mentre il terziario continua a mostrare una crescita dell’occupazione (+0,5%, pari a +76.000 unità), dovuta all’aumento delle posizioni lavorative sia dipendenti sia autonome.

Ma contrattualmente la situazione peggiora molto più di quanto non dicano i numeri. L’occupazione a tempo pieno continua a diminuire (-2,3%, pari a -441.000 unità), soprattutto tra i dipendenti a carattere permanente. Gli occupati a tempo parziale aumentano ancora in misura sostenuta (+7,9%, pari a 293.000 unità), ma si tratta nella quasi totalità dei casi di part-time involontario.

Si arresta persino la crescita dei dipendenti a termine, cui si accompagna la diminuzione dei collaboratori (-4,8%, pari a -20.000 unità rispetto a un anno prima).

Il numero dei disoccupati manifesta quindi un ulteriore forte aumento su base tendenziale (+23,0%, pari a 559.000 unità). L’incremento, diffuso su tutto il territorio nazionale, interessa entrambe le componenti di genere e in oltre la metà dei casi persone con almeno 35 anni. La crescita è dovuta in un caso su due a quanti hanno perso la precedente occupazione. Riassumendo: i lavoratori “maturi” e quelli “anziani” perdono il lavoro molto più di quelli “giovani” (under 35); ma non vengono sostituiti. E meno vale che sarebbero privilegiati…

Il tasso di disoccupazione trimestrale risulta quindi pari all’11,6%, in crescita di 2,0 punti percentuali rispetto a un anno prima; per gli uomini l’indicatore passa dall’8,7% del quarto trimestre 2011 all’attuale 10,7% e per le donne dal 10,8% al 12,8%.

Ma per i giovani (15-24 anni) il tasso di disoccupazione sale al 39,0% (6,4 punti percentuali in più nel raffronto tendenziale), con un picco del 56,1% per le giovani donne del Mezzogiorno.

Si riduce invece la popolazione inattiva (-3,2%, pari a -465.000 unità), ma per un motivo paradossale: la discesa di quanti non cercano e non sono disponibili a lavorare.

All’aumentata partecipazione delle donne e dei giovani si accompagna infine la riduzione degli inattivi tra 55 e 64 anni, “presumibilmente – segnala l’Istat – rimasti nell’occupazione a seguito dei maggiori vincoli introdotti per l’accesso alla pensione”.

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