Il debito pubblico continua a crescere. Ma i soldi che finiscono alle banche crescono anche quando il debito diminuisce. Come mai? E’ ormai dal 1992 che ci martellano con leggi finanziarie d’urto tese a tagliare la spesa sociale, i salari, i servizi pubblici con l’obiettivo di ridurre il debito pubblico e quindi gli interessi che ogni anno vanno pagati ai proprietari di titoli del debito italiano. E’ opportuno ricordare che l’84% di questi “proprietari” sono banche e fondi di investimento sia italiani che stranieri.
Il risultato di queste misure “lacrime e sangue” ci dice che non stanno funzionando. Prendiamo ad esempio gli anni precedenti ossia da quando dentro la crisi globale è esplosa anche la crisi del debito pubblico italiano.
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Anno
Debito pubblico (in mld)
2009
1769
2010
1851
2011
1907
2012
1988
(dati del Ministero Economia e Finanze)
E’ evidente come nonostante i tagli alla sanità e alla scuola, il blocco dei salari e delle assunzioni nel pubblico impiego, la drastica riduzione dei finanziamenti statali alle amministrazioni locali, il debito pubblico è continuato ad aumentare e con esso gli interessi annuali da pagare a banche e fondi di investimento che hanno in mano i titoli di stato italiani.
Ma spulciando i documenti del Ministero dell’Economia e Finanza, viene fuori che non solo si prevede che il debito pubblico aumenterà ancora – nonostante le misure di austerità che hanno portato in recessione – ma che le spese per gli interessi aumentano anche quando il debito pubblico diminuisce. In pratica le banche e i fondi di investimento guadagneranno di più anche quando il debito diminuisce. Importante. I furbi replicheranno subito che dipende dallo spread, i dati del Mef invece fanno previsioni sulla base di una andamento costante e addirittura di uno spread in diminuzione. La tabella qui sotto, su dati Mef, lo conferma:
Anno |
2013 |
2014 |
2015 |
2016 |
2017 |
Debito pubblico (mld) |
2015 |
2067 |
2087 |
2086 |
2075 |
Interessi da pagare sul debito (mld) |
84 |
86 |
88,8 |
91,8 |
92 |
(dati del MEF nella “Nota Metodologica sui criteri di formulazione delle previsioni tendenziali”)
Una ottima ragione, dunque, sia per rovesciare il tavolo contro le misure di austerità, sia per riaffermare che il debito pubblico – e soprattutto gli interessi – non possono e non debbono essere pagati. Neanche ammazzando il paese. E’ tempo che le banche e il capitale finanziario se ne facciano una ragione e che sindacati e movimenti sociali impugnino il ripudio del debito non solo come opzione politica ma anche come prospettiva di sopravvivenza del paese. Ma una decisione razionale come questa non può prescindere da una volontà e scelta politica: quella di rompere con l’Unione Europea e i vincoli imposti dai suoi trattati.
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