Mentre il malessere sociale trova primi e spesso ambigui sbocchi, qui in Italia ma anche in altri paesi, a livello globale gli “analisti” del mercato cominciano a scommettere sulla data in cui la “bolla” finanziaria potrebbe esplodere.
Il perché è semplice, dal punto di vista degli “operatori di mercato”. Sono due anni che Wall Street – la borsa statunitense – cresce a ritmo sostenuto anche in presena di una situazione per nulla entusiasmante dell’economia reale.Lo stesso fanno altre borse mondiali, in Asia come in Europa. Tutto bene?
Chiunque studi l’andamento dei mercati sa che niente è per sempre. Quindi anche questo prolungato “rally” delle borse dovrà avere una fine. “Correzione”, viene chiamata in gergo, se l’inversione di tendenza avviene in modo ordinato, progressivo, moderato, dando il tempo agli investitori di “diversificare”. “Crollo”, invece, se il processo di disinvestimento dagli asset finanziari – azionari o obbligazionari, privati o pubblici o fittizi (“derivati”, ecc) – prende un andamento da si salvi chi può.
Tanto più se il “rally” non è motivato dal trionfante galoppare dell’economia “reale” (produzione servizi, consumi, ecc), ma “pompato” dalle iniziezioni di liquidità delle banche centrali (Federal Reserve statunitense in testa). In pratica, quello che accade da due anni è questo:
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– le banche centrali erogano alle banche private prestiti a tasso zero o quasi
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– questo denaro non arriva all’economia reale sotto forma di prestiti, se non in piccolissime quantità, perché le attività relative vengono giudicate – causa la recessione (o stagnazione duratura) “troppo rischiose”
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– per cavare comunque un profitto da questo “eccesso di dinaro” in cassa, le banche finiscono per investire in titoli azionari o obbligazioni (Titoli stato o societari, ecc)
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– le borse crescono, ovvero si alzano le quotazioni dei titoli
Un andamento così innaturale – da punto di vista capitalistico, addirittura – non può durare a lungo, ma finché dura tutti o quasi ci guadagnano. Il problema (per un investitore di professione) è di capire un attimo prima quando avverrà la “correzione”, in modo da vendere i propri titoli al massimo del prezzo, evitando di doverlo fare più tardi; magari quando il prezzo è calato così tanto da essere inferiore a quello pagato per l’acquisto.
Gli statistici amano giocare con i grafici e hanno visto che la curva del 1929 si sovrappone quasi perfettamente a quella attuale; e qualcuno azzarda persino la data dell’”inversione di tendenza”: 14 gennaio. Giochi da prendere ovviamente come pure esercitazioni, ma qualcuno può anche prenderle sul serio e decidere quel giorno (o poco prima o poco dopo) di aver visto salire abbastanza il prezzo dei propri asset, dando il via alle vendite. Se chi lo fa è una potenza finanziaria, con molta roba da vendere, il gioco diventa reale e rischiosissimo.
Si potrebbe pensare: e a noi, che non abbiamo asset finanziari, che ce ne frega?
Beh, lo scoppio della “bolla del ’29” – come ogni bolla finanziaria – ebbe effetti alquanto “reali”. Blocco totale del credito (come s’è visto per qualche settimana nel 2008, dopo il fallimento della quarta banca d’affari del pineta, Lehmann Brothers), quindi paralisi della liquidità monetaria, fallimenti a catena per industrie, banche, servizi, trasporti; milioni o decine di milioni di disoccupati nelle strade (del mondo, mica solo qui da noi o in Grecia). A quel punto il caos sociale e politico di Torino (in altre città i “forconi” si sono manifestati con vesti sociali e politiche meno numerose e più “semplici”) diventerebbe generale.
Una crisi sistemica è fatta di queste cose. Allacciamo le cinture, si tratta di correre…
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