Se qualcuno vuol capire perché il capitalismo italiano sia ridotto ai minimi termini deve per forza di cose guardare alla politica delle “grandi opere infrastrutturali”. E’ diventato questo, infatti, il business preferito delle grandi imprese (sempre meno) presenti sul territorio nazionale. Soldi sicuri, anzi garanzia di poter far levitare i costi e i profitti potendo contare su una classe politico-amministrativa corrotta da un cinquantennio almeno; nessun rischio; nessuna innovazione tecnologica rilevante (zero ricerca, zero sviluppo, zero spese societarie); ampio spazio per i compromessi tra economia “legale” e illegale; zero impatto sull’occupazione (la maggior parte del lavoro spetta alle “talpe” o agli autisti delle macchine di movimentazione dei detriti).
Questo comporta aumenti straordinari della spesa pubblica che vengono tranquillamente e “amichevolmente” decisi proprio mentre si tagliano welfare e servizi sociali (a partire dalla sanità e l’istruzione) ben oltre l’essenziale.
L’esempio del “terzo valico” – qui sottoposto al vaglio critico “tecnicamente” inossidabile di Marco Ponti, professore ordinario di Economia applicata al Politecnico di Milano – è illuminante tanto quanto quello della Torino-Lione. Opera inutile quanto quella, altrettanto costosa, solo meno contestata.
Da questa insistenza sulle “grandi opere” inutili si evince con facilità un vero e proprio modello economico. Demente. Che produce sottosviluppo, in quanto non possiede alcuna caratteristica positiva: non ha ricadute significative sul’economia nel suo complesso, non produce occupazione (quindi consumi), non promuove ricerca tecnologica, non induce “sinergie” con altri settori, non prevede “tempi di ammortamento” umanamente accettabili del capitale investito; distrugge territorio e risorse idriche; soprattutto, non prevede investimenti privati, ma soltanto pubblici. Ergo, aggrava la “malattia” che teoricamente si sta cercando di curare affamando la popolazione.
L’unico effetto “positivo” è per i profitti delle società costruttrici (sia legali che illegali, ripetiamo). E le mazzette da girare nelle tasche della classe dirigente. Una curiosità: i costi del “terzo valico” e della “Torino-Lione” sono praticamente pari ai “costi della politica”. Pensate che risparmio sarebbe eliminarli entrambi alla radice…
*****
Grandi opere al buio: i misteri del Terzo Valico
Si chiama “terzo valico” perché di linee ferroviarie ce ne sono già due, fortemente sottoutilizzate. Oltre a questa comunanza con la Torino-Lione, anch’esso affiancato da una linea sottoutilizzata, il progetto costa molto caro (circa 6 miliardi, rispetto agli 8,5 della To-Li). Questa linea servirà anche a rendere più veloci i treni passeggeri, non solo quelli merci, e il traffico passeggeri è certo più consistente che sulla linea Torino-Lione. Però la dovremo pagare interamente noi: è una tratta nazionale, quindi niente contributi da altri paesi né dalla Unione europea. Persino l’ingegner Mauro Moretti, amministratore delle Ferrovie dello Stato, l’aveva dichiarata un’opera inutile in un convegno, poi è stato sgridato sul Sole 24 Ore per questa libertà che si era preso in pubblico, dall’ex-ministro dei Trasporti Pietro Lunardi. L’appalto è stato assegnato molti anni fa senza gara al Cociv, gruppo pilotato dall’impresa Gavio. Ovviamente questo appalto è inossidabile, ci mancherebbe.
Ci si aspetterebbe che al pubblico, agli amministratori e politici locali e a quelli dello Stato centrale, siano state fornite analisi economiche e finanziarie che dimostrino che non solo l’opera serve molto in relazione al suo elevato costo, ma che sia prioritaria rispetto ad altre. Infatti quelle analisi lì servono proprio a quello, soprattutto in una situazione di soldi pubblici scarsi.
I numeri che non si trovano
Lo scrivente, con l’aiuto di un bravo laureando genovese, ha cercato questi documenti economici, ma stranamente non è stato trovato nulla di nulla. Ma è stato trovato un graziosissimo documento di istruzioni su come l’opera deve essere presentata al pubblico da parte dei promotori. Anche lì, nessun cenno a dati economici o finanziari, o anche solo a previsioni dettagliate di domanda futura. L’opera è utile “in se”, metafisicamente (beh, c’è un grande porto e una grande città, che altro serve sapere? Poi il vasto pubblico non capirebbe quelle analisi complicate…). Inoltre può essere molto dannoso fornire argomenti ai perfidi nemici del progresso, dell’occupazione , dell’ambiente, del Porto, ecc., insomma della Patria, che poi magari leggerebbero quei dati in modo malevolo, come è già successo più volte in casi simili.
Tuttavia negli ultimi anni qualcosa è filtrato, da varie fonti. Chi scrive fu consultato per caso da due giovani ingegneri che erano stati incaricati di fare una analisi costi-benefici dell’opera. Ingenuamente chiesero: “Ma lei, che è così pratico di queste analisi, non può mica consigliarci qualche modo per far venire positivi i risultati? Noi ci abbiamo provato, ma non ci si riesce proprio…”. Peccato che si trattò di una rapida conversazione, e niente di documentabile.
Più recentemente, emerse un’ipotesi di finanziare l’opera con un finto intervento di capitali privati (cioè in “project financing”, come si dice in termini tecnici). L’impresa destinata a gestire la linea, Ferrovie dello Stato appunto, avrebbe pagato ai costruttori un “canone di disponibilità” fisso, cioè non dipendente dal traffico (che magari poi era poco, chissà…). Il canone annuo sarebbe stato ovviamente tale da ripagare interamente l’opera. Fs è una impresa al 100 per cento pubblica, ma giuridicamente una società per azioni, come le Poste che intervengono “spontaneamente” per salvare Alitalia. Quindi formalmente si tratta di un privato.
Bene, sembra tuttavia che anche con questo “schema creativo” i numeri in gioco fossero così tragici (ricavi da traffico previsti meno di un decimo della rata annua che Fs avrebbe dovuto pagare), che non se ne fece nulla. Allora il ministero dello Sviluppo guidato da Corrado Passera (nella persona del suo viceministro Mario Ciaccia), prese una decisione eroica: basta perder tempo, non occorre nessuno schema finanziario (scartoffie!), pagherà il 100 per cento lo Stato, cioè noi.
Il Sole 24 Ore, nello stesso periodo, pubblicò un articolo di lodi a una proposta di sconti fiscali dedicati alle “Grandi Opere”, articolo che conteneva questa perentoria affermazione: “In questo modo si potranno anche realizzare opere molto costose e con poco traffico”. L’ironia, si sa, non è patrimonio di tutti.
Intanto i cantieri sono partiti, che è quello che davvero interessa a costruttori e politici. Non si sa se ci saranno i soldi per finire l’opera, cosa che vale per quasi tutte queste iniziative. Alcuni gruppi locali protestano per possibili danni ambientali. Ottima cosa, i costi per risarcirli generosamente, e con molta pubblicità, sono assolutamente irrilevanti rispetto al valore dell’appalto. E così alla fine tutti saranno contenti.
18 Dicembre 2013 da Il Fatto Quotidiano
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa