Un modo di governare così richiederebbe trattati sulla paraculaggine umana, oppure soltanto qualche schiaffo sulle guance giuste. Ma dato bene, mi raccomando…
La faccia di teflon di Enrico Letta – più capace di lasciarsi scivolare ogni cosa addosso senza muovere un muscolo c’era solo quella dello zio Gianni – ci ripete ogni volta che “abbiamo abbassato le tasse”. Non si capisce mai a chi sia capitata questa fortuna. Di certo non ai titolari di redditi medio-bassi, alle prese anche in queste ore col tormentato iter del pagamaneto di tares, nini-Imu, Tasi, canone Rai, e cento altre gabelle nascoste che appaiono magicamente – spesso – soltanto in busta paga.
Non potendo fare un trattato, ci limitiamo al caso del “taglio del cuneo fiscale”, ovvero di quella parte di contributi pensionistici, previdenziali e di altra natura che rappresenta il divario tra “costo del lavoro” pagato dalle aziende (nonché dai lavoratori stessi) e salario netto in busta paga. Il governo l’ha promesso come misura in grado di aumentare di qualche frazione la “competitività” delle aziende, ed anche questo l’hanno presentato come un “fatto” che avrebbe portato nelle tasche dei lavoratori dipendenti circa 190 euro… l’anno! Meno di un caffé al giorno, ma comunque un !”segno” di attenzione (pur in assenza di cifre destinate alle imprese).
Da dove hanno pensato di prendere i soldi per finanziare le entrate in diminuzione? Se si tagli il “cuneo”, infatti, lo Stato incassa meno; ma per le regole di bilancio fissate dalla Troika ogni riduzione delle entrate deve essere accompagnata da tagli alla spesa oppure da entrate equivalenti. Insomma, da altre tasse.
E dove è andato a cercarle, il governo, queste risorse supplementari? Ma dai redditi più bassi, che diamine! Mica speravate che togliesse qualcosa ai più ricchi…
E quindi ecco arrivare il calo delle “detrazioni Irpef”, ovvero dell’entità del “recupero Irpef” – di solito nella busta paga di luglio – dovuto al calcolo delle “spese detraibili” e certificate: interessi pagati sui mutui, spese mediche e veterinarie, per l’istruzione o lo sport dei figli, l’affitto degli studenti fuorisede, ecc. Un 19% di “rientro” – fino alla soglia dell’Irpef annuale versata, comunque – che in certi casi permette al lavoratore di “rifiatare” all’inizio dell’estate.
Bene. Nella “legge di stabilità” questa detrazioe viene diminuita dell’1% a partire da quest’anno e di una percentuale analoga il prossimo. Addirittura quella di quest’anno è “retroattiva”, in quanto calcolata sui redditi del 2013; violando insomma un principio giuridico elementare e costituzionale.
Come in tutte le tasse “lineari” questa riduzione va a pesare di più in chi ha già poco, al pari dell’inflazione o dell’aumento dell’Iva, e rischia perciò di finire “sotto la soglia” della vivibilità quotidiana. Lo stesso 1% (2 dal prossimo anno), infatti, non viene quasi avvertito da chi – poniamo – ha un reddito annuale sopra i 200.000 euro.
Il governo Letta ha dunque agito esattamente come quello Berlusconi-Tremonti: con i “tagli lineari”. Alla spesa pubblica, ancora una volta, e alle “detrazioni”.
Ma quanti sono gli interessati? Circa 19 milioni di “contribuenti” (categoria quantomai interclassista, certo; ma dobbiamo ricordare che i lavoratori dipendenti, stabili o precari che siano, non hanno modo di “compensare” con altri trucchi contabili quanto dichiarato nel “730”), che scaricano ogni anno una media di 1.490 euro (mutui e spese sanitarie fanno ovviamente la parte del leone). Esentati dalla sforbiciata soltanto «i soggetti invalidi, disabili o autosufficienti».
Sempre stando alla media, dunque, ci rimetteranno circa 15 euro da quest’anno e 30 dal prossimo. Poi, come si sa, una volta “stabilito il principio” che i soldi si possono predere anche da questa voce, il “quanto” può essere rimodulata a piacere, anno dopo anno, governo dopo governo, fino alla cancellazione completa. Non è un’illazione nostra. Il governo aveva già “colpito” le detrazioni Irpef a fine agosto, dimezzando il tetto per le polizze vita (da 1.291 euro a 630 euro, soltanto 230 l’anno prossimo). Si tratta di una delle “colonne”, nel panorama delle detrazioni fiscali, che da sola nel 2012 valeva 3,6 miliardi. A conferma ulteriore, sembra che la strombazzatissima “detrazione per i libri” – fino a 2.000 euro di spesa – sia defunta prima ancora di essere messa al voto.
E dire che da più parti – persino da qualche partito “centrale” in questo governo – si chiedeva qualcosa di diametralmente opposto: allargare “il carrello” delle spese suscettibili di “detrazione” in modo da favorire l’emersione di una serie di attività economiche che evadono il fisco. Come si fa, per esempio, in Francia, dove nell’equivaente del “730” si possono detrare percentuali sulle spese per l’idraulico, il meccanico, ecc.
Qualcuno suggerisce di differenziare il taglio in base al reddito, aumentandolo per chi dichiara molto e lasciando il 19% per chi ha un reddito basso. Ma qui entra in gioco la solita divearicazione: se siprende soltanto a chi dichiara tanto, si ricava – dal punto di vista delle entrate statali – molto poco. Il 60% dei contribuenti che usufruisce delle detrazioni dichiara infatti meno di 29 mila euro l’anno. Di fatto, il fisco incasserebbe la metà di quanto preventivato..
Rettifichiamo, in conclusione: un modo di governare così merita soltanto schiaffi ben assestati. Decidete voi quanti…
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