Non con le modalità dei “forconi” e con numeri molto più consistenti. Ma la base sociale è quella: la piccola imprenditoria di ogni settore, schiacciata da una crisi che loro avvertono soprattutto dal lato dei consumi (il nerbo centrale sono non a caso i commercianti), oppure dalla perdita di preferenza nelle filiere produttive collegate alle imprese tedesche.
“Siamo qui per dire basta, per urlare la nostra rabbia”. In piazza artigiani e commercianti: è la prima volta insieme delle associazioni che aderiscono a Rete Imprese Italia. Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Casartigiani, Cna. Ovvero “bianchi” e “rossi”, organizzazioni un tempo facenti capo alla Dc o al Pci. Ora uniti nella piazza, con davanti un governo con le stesse caratteristiche “politiche”, ma ormai teleguidato da Bruxelles, non più dagli interessi sociali organizzati nei “corpi intermedi”.
I cinque leader parlano ad una piazza gremita e si riempiono gli occhi. “Siamo tanti, tantissimi, rappresentiamo la stragrande maggioranza delle imprese italiane”, dice il presidente di Confesercenti, Marco Venturi, il primo sul palco come portavoce di turno di Rete Imprese. “Siamo 60mila”, viene annunciato.
Il messaggio che lancia la piazza è al prossimo governo. Matteo Renzi viene citato più volte. Il prossimo premier “ci deve convocare”, chiede Venturi: “Non molleremo. Saremo propositivi ma incalzanti, dialoganti ma pronti a tornare in tutte le piazze italiane se non avremo risposte rapide e concrete”.
Artigiani e commercianti alzano scope tricolori “per spazzar via” una politica che ha deluso, chi non ha mai dato risposte. “Siamo stanchi, chiediamo rispetto”, incalza il numero uno di Confcommercio, Carlo Sangalli. “Siamo tanti”, e se non avremo risposte torneremo “sempre più numerosi e più determinati”. Le aziende che chiudono (“372mila nel 2013, una enormità”), il dramma occupazione (“masse di senzalavoro”): i cinque leader scandiscono l’elenco di “cicatrici profonde e ferite aperte sulla pelle delle imprese”. Problemi e ricette sono quelli “ripetuti da troppo tempo”, ricorda amaramente Sangalli: “Lavoro, consumi, credito, legalità, semplificazione, fisco”; “Troppe, troppe tasse”. Ed ora – dicono – “non c’è più tempo”: “Come dobbiamo spiegare che è a rischio la pace sociale, che è pericoloso lasciare famiglie e imprese sull’orlo della disperazione?”.
Su questo punto c’è però un problema molto serio, “strutturale”, diremmo; o “di classe”. Il lamento sull’eccessiva tassazione è giustificato, certamente; ma sorprende che nulla venga mai detto contro gli aumenti vertiginosi degli affitti per gli esercizi commerciali o i capannoni industriali. Una tendenza che si bloccata, a stento, solo nell’ultimo anno, a causa del crollo della domanda.
Cosa vogliamo dire? Dal punto di vista dell’”impresa”, per quanto piccola, tasse e fitti sono da conteggiare entrambe come “uscite”. Ma qui sembra scattare una levetta tutta ideologica nei cervelli dei nostri piccoli imprenditori: gli affitti sono visti – probabilmente – come “un meccanismo di mercato” (utilizzato da “privati” come loro), mentre le tasse identificano “uno Stato spendaccione”. Così che sembra più facile ottenere, “per via politica” (con manifestazioni come quella di ieri) una riduzione delle tasse che non una compressione degli affitti. Naturalmente, ci sono poi gli intrecci spurii – o i “conflitti di interesse” – tra persone-imprenditori che sono al tempo stesso “tartassati” dal fisco ma “rentier” come proprietari. Cortocircuiti tipici, nei cervelli della piccola borghisia di tutti i tempi e di tutti i paesi, che possono generare mostri o degenerare – come si dice di questi tempi – in “populismo”.
I toni infatti si scaldano, riferiscono i cronisti. “Abbiamo perso la pazienza: siamo incazzati, la politica ci ha deluso”, dice dal palco il leader della Cna, Daniele Vaccarino: “E’ un evento storico, la politica deve tenerne conto”. “Basta, basta, basta”, scandisce Giacomo Basso, di Casartigiani. “Fate sentire il vostro urlo – sollecita – vale più un urlo della piazza che cento discorsi”. E’ diretto Giorgio Merletti, Confartigianato: “Non ne possiamo più, ci hanno rotto i c…”; Gli scappa anche qualche ‘vaffa…’. E al futuro premier dice: “Matteo stai preoccupato. Abbassa le tasse o ti faremo nero”. Appunto: l’unica voce contraibile sembra questa, il resto sarebbe “oggettivo”.
Come quelli che “sentono suonare le campane, ma non sanno da dove”, questi “piccoli non più belli” sono incazzati neri e parecchio strabici. Un pezzo complicato nel puzzle della composizione di classe del “malessere sociale”. Ma da analizzare e tenere nel giusto conto, pena sorprese – come in passato – dolorose.
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