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Draghi e Merkel ci portano alla rovina

I tedeschi hanno una fortuna: quella di possedere “spirito teorico”. Lo diceva Marx, accettando l’idea di Hegel. Può significare un vantaggio o una condanna, a seconda dell’uso che si fa di questa dote “culturale” che sembra – sembra soltanto, a meno di non esser lombrosiani – quasi innata.

Diciamola così: Wolfgang Munchau, ex direttore dell’edizione tedesca del Financial Times e fondatore del think tank Eurointelligence – all’interno dell’intervista concessa oggi a Repubblica mostra il lato “benedetto” di quello spirito, mentre la Merkel (e tutti gli economistI inquadrati dietro Bundesbank) ha interiorizzato la condanna.

Spiegamoci meglio. Nell’intervista Munchau distrugge in poche battute, con sorpresa del suo intervistatore scalfariano, due miti dell’Unione Europea e una strategia economico-finanziaria in auge da venti anni.

Merkel e Draghi “hanno fatto errori gravissimi: la situazione attuale è più frutto di questi errori che della bolla finanziaria che arrivò dagli Usa”. Ma tutti i singoli errori dipendono – per l’appunto – da una incomprensione “culturale”, da una visione teorica completamente sbagliata. Draghi, per esempio, “Non sembra capire che è il modello macroeconomico stesso su cui si basa non funziona e a non tenere in appropriato conto le aspettative, che sono un importante veicolo di infalzione”.

Accusare un banchiere centrale di essersi affidato a un modello teorico fasullo non è cosa di poco conto; anche se – certo, e in qualche misura lo stesso Munchau – in molti potrebbero giustificare l’attendismo di Draghi nel mettere concretamente in atto il “quantitative easing” sempre promesso con la resistenze di Bundesbank e quindi anche della cancelliera.

Quest’ultimo aggregato, il più potente a livello delle istituzioni dell’Unione Europea, è invece inchiodato “al modello della scuola neoclassica, si preoccupano solo dell’offerta; fanno sì che in casa loro, dai conti pubblici all’organizzazione del lavoro, tutto sia in ordine, e poi il mercato farà tutto il resto”.

.Un modello che poteva sembrare ottimo per un paese industriale che correva da solo, votato alla produzione per l’esportazione anziché per lo sviluppo del mercato interno (ci avrebbe pensato per l’appunto “il mercato”, premiando chi competeva meglio). Ma che funziona affatto “in una comunità di 18 paesi, le cui peculiarità vanno considerate. Nasce da qui l’ostinazione verso l’austerity e anche quel vero e proprio ricatto da cui è nato il Fiscal Compact, concepito in cambio degli ‘aiuti’  alla periferia”.

Una teoria sbagliata, che non tiene conto delle smentite ricevute dalla realtà, e spinge compulsivamente verso quella autentica “coazione a ripetere” che il segno certo di una crisi intellettuale mortale. E, più concretamente, di un modello economico-produttivo talmente potente da considerarsi irriformabile. E’ il lato triste – e suicida – dello “spirito teorico” svincolato dalle trasformazioni della realtà.

Il buon Munchau – che non è neppure un “keynesiano”, ma semplicemente un buon “economista empirico”, ovvero uno secondo cui nella gestione dell’economia vanno fatte le cose di volta in volta necessarie, senza tabù – esemplifica al meglio cosa significa Fiscal Compact per il sistema italiano: “Mi chiedo come un economista del calibro di Mario Monti abbia potuto firmare un trattato che, se applicato alla lettera, portera’ l’Italia al fallimento: ridurre al 60% il debito in vent’anni significa andare incontro a una recessione che sottrarrebbe il 30-40% del Pil nello stesso periodo. Un disastro, e la fine dell’euro”.

Sistemato anche il terzo “mito” dell’austerità timbrata Unione Europea (Mario Monti), non ci resta che la conclusione. Scontata. Non ci sarà nessuna “altra Europa” senza passare per la rottura dell’attuale, quella chiamata Unione Europea.

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