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Cancellare il debito con una valanga di carta

Si scrive che la Grecia starebbe “disperatamente” cercando alleati disposti a sostenere la sua richiesta di ristrutturazione del debito pubblico. Poi, sugli stessi giornali, ma solo connettendo tra loro notizie tenute separate – volontariamente o per incapacità giornalistica? – si scopre che fuori la porta del governo Tsipras si stanno accalcando Usa, Russia e Cina. Non proprio nanerottoli, diciamo così…

Obama ha detto la sua sulla necessità di “smetterla di spremere paesi in recessione”. Tutti hanno capito che era una randellata alla Merkel, alla Germania, all'”austerità” che avvantaggia solo il creditore e ammazza il debitore.

La Russia ha visto aprirsi lo spazio per rompere l’accerchiamento euro-atlantico, incassando intanto un “niet” ellenico alla richiesta di nuove sanzioni Ue contro Mosca e offrendo a sua volta “aiuti finanziari” (rifiutati, per ora; ma la semplice offerta ha già un effetto indiretto sui rapporti interni alla Ue).

La Cina ha visto confermare – unica eccezione nel più generale blocco delle privatizzazioni volute dalla Troika – le proprie aspirazioni nella gestione del porto del Pireo. Per altre forme di collaborazione c’è ovviamente grande spazio, ma i cinesi sanno aspettare.

Già così, dunque, la Grecia non è affatto sola. Il tour europeo di Tsipras e Varoufakis – oggi a Roma per colloqui con Padoan – sta seminando promesse, proposte e inevitabili riflessioni sullo spazio che i dirompenti greci possono avere sulla struttura dei trattati economici che regolano l’Unione Europea. E che stanno strangolando anche Italia e Francia. oltre che, in misura diversa, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro, Irlanda.

Dopo l’incontro di ieri tra Varoufakis e il suo omologo alle finanze britanniche, George Osborne, quest’ultimo ha lanciato l’allarme: la difformità di vedute sul debito greco fra Unione europea e il governo Tsipras rappresenta «il maggior rischio per l’economia globale». Che si saranno mai detti?

Lo ha spiegato il più importante biker del mondo, Yanis Varoufakis, con un’intervista al Financial Times. Il piano greco per risolvere il problema del debito si concretizza in un doppio swap. Uno swap è uno scambio. Atene proporrà dunque di “sostituire” i titoli di stato ellenici nelle mani dei paesi europei con nuovi bond da emettere appositamente.

La differenza è però nella tipologia. Quelli attualmente nelle casse dei paesi europei sono indicizzati in maniera anche molto diversa tra loro (tasso fisso più o meno alto, scadenze brevi e lunghe, rapportati all’inflazione o altre variabili); quelli da emettere sarebbero invece indicizzati al “tasso di crescita del Pil greco”. Se Atene cresce, ci saranno soldi per pagare gli interessi (non ancora il capitale, ossia il debito vero e proprio); altrimenti niente di niente. Il vantaggio per la Grecia è evidente: se ci lasciate fare una politica economica espansiva, vedrete qualche spicciolo, se ci vorrete strangolare ancora, niente. A chi non è cretino è chiaro anche il vantaggio (relativo) per l’Unione Europea: Atene non crolla, non viene messa fuori dal sistema della moneta unica e quindi non accende involontariamente la miccia per l’esplosione della “costruzione” continentale. Chiaro anche chi ci dovrà certamente rimettere qualcosa: la Germania, che non potrebbe in questo caso più ricattare nessuno.

La parte di debito greco nei confronti della Bce verrebbe invece – ha aggiunto – ripagato con uno swap fatto di nuovi titoli di stato “perenni”. Senza scadenza per la restituzione, insomma. Un modo di dire alla Bce “vedetevela voi, da qui non arriverà un soldo; ma tanto siete voi a stamparli, no?”

L’idea di Varoufakis & co. sembra una misura di “finanza creativa” come tante altre, solo rovesciata totalmente di segno. Invece di restare obbligati a uno scambio ineguale – tra carta (credito) e patrimonio reale (imprese privatizzate, beni pubblici svenduti, denaro restituito) – la Grecia punta a uno scambio di carta con carta.

L’argomentazione a suo favore è eccellente: gli “aiuti” fin qui concessi ad Atene non sono mai rimasti nemmeno per un istante in territorio ellenico. Sono stati una partita di giro per salvare le banche europee – in primo luogo tedesche – che avevano concesso crediti enormi. Quindi la Troika “prestava” ad Atene il denaro da passare immediatamente alle banche continentali, lasciando alla Grecia il compito di pagare poi il conto, più salato di prima. Come qualche operatore finanziario serio ha osservato, “il debitore ha sempre l’obbligo di restituire i prestiti, ma anche i prestatori avrebbero l’obbligo di valutare bene quanto e a chi stanno prestando”. Se sbagliano la valutazione, è ovvio che ci devono poi rimettere; è “il rischio di impresa”, bellezza! Al contrario, la Troika si è preoccupata di salvaguardare le banche svuotando le casse greche per due generazioni.

Persino un banchiere di fama internazionale come Matthieu Pigasse, amministratore delegato di Lazard, non vede problemi rilevanti nel cancellare buona parte deld ebito greco: «Il 75% dei circa 320 miliardi di debito greco  è nelle mani dei creditori pubblici. C’è tutta una gamma di strumenti su cui lavorare, dall’allungamento delle scadenze di rimborso alla riduzione dei tassi d’interesse, fino appunto a una soluzione più radicale, con un importante haircut. Penso che se si abbandonasse il 50% di questa quota di debito, pari a 100 miliardi, si darebbe ad Atene la possibilità di ritrovare un ratio di debito sul Pil accettabile, diciamo intorno al 100-120% rispetto all’attuale 170 per cento». In fondo «Si tratta di crediti già emessi e quindi già incorporati nei conti dei Paesi europei. Annullandone una parte ci sarebbe un impatto contabile, ma nessuna conseguenza dal punto di vista dei budget». Dov’è lo scandalo? Lo facciamo tutti i giorni “noi” delle banche…

L’idea di sommergere di carta chi ti ha sommerso di debito è quasi geniale, oltreché un tantinello beffarda. Chiaro che Berlino e Londra vedano come fumo negli occhi questa “soluzione”, anche perché potrebbe rapidamente essere imitata da altri paesi, facendo tornare in Germania e Gran Bretagna il cerino acceso con vicino il barile di polvere. Ma chiaro anche che di ricatti unilaterali, in questa nuova situazione creata dalla semplice presenza di un governo consapevole di non poter fare altro che opporsi alla Troika – fino a pretenderne lo scioglimento! – non se ne possono più fare.

Altrimenti la piccola Grecia – e tutti gli altri Piigs che dovessero venirsi a trovare nella stessa situazione – comincerebbero a guardarsi intorno alla ricerca di partner meno vampireschi. In un mondo multipolare, insomma, c’è sempre meno spazio per i diktat… E chi li rifuta diventa “contagioso”. In senso concretamente geopolitico, non solo virtualmente finanziario.

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