Tra le tante bufale con le quali sistematicamente il premier Renzi ci bombarda il cervello, quella relativa alla presunta soppressione di Equitalia è probabilmente la più clamorosa.
In palese caduta di consensi, in affanno rispetto al referendum "ammazza democrazia", il premier gioca la carta “soppressione Equitalia” per provare a carpire qualche consenso in vista dell'appuntamento del 4 dicembre.
E così: fuori "Equitalia s.p.a.", ormai troppo invisa ed impopolare agli occhi dell’opinione pubblica, e dentro “Agenzia delle Entrate Riscossione”, ente pubblico economico sotto la vigilanza del Mef, dalla denominazione più rassicurante.
Secondo un copione ormai consolidato, si cambia ingannevolmente il nome, si lascia intatta la sostanza, e si prova a prendere per i fondelli lavoratori e cittadini.
Come abbiamo sempre sostenuto, il vero problema è rappresentato dall'aver consegnato una attività come la riscossione delle imposte, che per definizione non potrebbe che essere pubblica, ad un soggetto privato che ha puntato sulla ricerca del profitto derivante dai diritti di riscossione.
Con il passaggio da Equitalia spa al nuovo, si fa per dire, ente pubblico economico "Agenzia delle Entrate Riscossione", quelle degenerazioni che hanno caratterizzato la pretesa impositiva della “vecchia” Equitalia ed insite nel perseguimento del profitto, verranno integralmente riproposte perché l’ ente pubblico economico ha comunque come scopo lo svolgimento di una attività di lucro.
Dunque, tutti quei meccanismi (aggi, interessi moratori e quant’altro) che facevano schizzare oltremodo la pretesa impositiva e che hanno fatto la disgrazia in particolar modo di quei contribuenti appartenenti alle fasce sociali più basse, verranno riproposti, sotto mentite spoglie e con qualche cambio di denominazione.
D'altronde, nei confronti di quelle stesse regole d’ingaggio contro le quali ora si scaglia il governo, nulla è stato fatto in questi anni permettendo così che continuassero a lievitare al di là di ogni ragionevolezza.
La natura palesemente ingannevole e propagandista dell'operazione che si sta mettendo in campo è tutta qua.
Su tutto, poi, aleggia il rischio che la trasformazione di Equitalia da spa ad ente pubblico economico possa divenire prodromica alla trasformazione di tutto il comparto fiscale in ente pubblico economico.
Una ipotesi realistica, sia perché all’interno del governo ci sono spinte in questa direzione, sia perché, in questi anni, il meccanismo è stato ben avviato mutando la funzione sociale del Fisco da strumento di contrasto all’evasione, in ente di consulenza delle grandi imprese e delle banche, in nome della tanto sbandierata tax compliance.
Un termine che in questi anni ha coperto qualsiasi provvedimento volto ad allargare così tanto le maglie della legge da consentire a grandi imprese e banche di non pagare le tasse "legalmente", in tutta tranquillità.
Una politica fiscale socialmente criminale figlia di quella logica aberrante secondo la quale per rendere appetibile investire in Italia occorrere abbattere il costo del lavoro ed abbassare il carico fiscale sulle imprese.
E così il Fisco, da strumento redistributivo necessario anche per finanziare lo Stato sociale, finisce con l'acuire le diseguaglianze sociali, scaricando tutto il peso della tassazione sui redditi da lavoro dipendente e sui pensionati, mentre i servizi pubblici vengono drasticamente ridotti.
E’ all’interno di questa logica, dunque, che vanno collocate quelle misure contenute nel decreto fiscale e nella legge di stabilità: la riproposizione della vergognosa voluntary disclosure, (anche nella versione domestica), e la riduzione di ben 3,5 punti percentuali dell’IRES, l’imposta pagata dalle società di capitali.
Un ennesimo regalo alle imprese e in particolar modo a quel settore bancario ed assicurativo che maggiormente si avvantaggerà dei rilevanti risparmi di imposta che ne conseguiranno.
Sarà forse perché Confindustria si è apertamente schierata per il SI al referendum?
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