Nel 1981 l’Alfa Romeo di Milano contava circa 20 mila dipendenti. I quadri costruirono villette monofamiliari in stile asburgico ad Arese, i tecnici si stanziarono in ville a schiera a Lainate, mentre “la marmaglia”, formata soprattutto da meridionali, si acquartierò nelle coree di Garbagnate, Cesate, Solaro, su fino a Limbiate, paesotto della Brianza, noto negli anni Ottanta per la piccola delinquenza e il più basso tasso di scolarizzazione della provincia.
La grande concentrazione di Sciuri da vestire e profumare, da acconciare, nutrire e smaltare, e all’occasione difendere in procura o riparare in ospedale, fece la fortuna di avvocati, dentisti, primari, pettinëse, trumbé, prestiné e bottegai, che, insieme, costituivano un drappello risibile, ma rispettato, in confronto al reggimento di operai massificati.
Era noto a tutti, meno che all’erario, che la ricchezza di questo manipolo di professionisti era estorta all’operaio dell’Alfa con la promessa di garantire l’accesso ad un qualche ordine professionale, se non direttamente all’interessato, perlomeno alla sua progenie.
La promessa fu mantenuta, e i figli degli operai diventarono avvocati, diventarono giornalisti e scrittori, diventarono dottori. Non tutti, si capisce. Alcuni aprirono dei Barber Shop, altri dei Nail & Body Lab, altri ancora rilevarono Boutique da vecchie signore emigrate nel Canton Ticino, o comprarono con mutuo ipotecario prestigiose Boulangerie, poi convertite in Native Wheat Bread.
Quelli che non riuscirono ad essere cooptati dall’Alfa, perché intanto la fabbrica si era sparpagliata in tutta la regione, e c’era chi faceva bulloni alla Brugola di Lissone, chi faceva cerchioni a Baranzate, chi lamierini magnetici a Paderno o Liscate; tutti quelli che non erano riusciti a farsi assumere direttamente dall’Alfa, erano stati convinti a mettersi in proprio, a occupare uno spazio, magari in coworking, e ad auto-gestirsi.
Il sogno era sempre lo stesso, tirarsi fuori dalle coree, accedere ad un mestiere che avesse a che fare con l’arte, la bellezza, la poesia, i diritti umani, le minoranze, la scienza pura, l’altruismo; per poi ripiegare, raggiunta la maturità, su qualche forma di sadismo culinario, tipo gettare aragoste vive nell’acqua bollente.
L’erario lasciava fare, lasciava stare, anche se intanto il numero delle cosiddette partite Iva – sigla sotto la quale si nascondevano questi nuovi aspiranti Mastri e Bottegai – aveva raggiunto cifre stratosferiche, tanto da creare un sottobosco di faccendieri, ragionieri, finti-patronati, franchisee o concessionari, pony express, sbrigatutto, webmaster, tele-assistenti, resettattori di windows. Insomma, altrettante partite Iva che vivevano di ciò che riuscivano a succhiare dalle prime, come le zecche dai cani.
E anche se non c’era molto da spremere, perché questi cosiddetti mastri e bottegai si portavano a casa il lavoro che grosse aziende gli subappaltavano, senza che queste si accollassero l’onere di garantire loro la salute e l’igiene mentale, né tanto meno la riproduzione in quanto classe; anche se non c’era molto da scialare, si tirava a campare.
Si diceva di essere andati in vacanza in Ecuador, quando si era andati dai parenti a Rossano Calabro, di avere sciato a Brunico, quando in verità si era andati con qualche cugino a pattinare sul ghiaccio a Saronno.
Intanto che il mondo si fermava a riprendere fiato dopo la strizza dei subprime, le partite Iva di Lainate chiudevano i Nail & Body e aprivano Tatoo-Lab, chiudevano i Tatoo-Lab e aprivano Grotte di sale. Il sabato mattina alcune le trovavi nella squadra gialla alle casse di Primark, all’interno dell’Iper che aveva preso il posto della vecchia fabbrica dell’Alfa Romeo. Iper che non se la passava bene, perché soffriva la concorrenza delle consegne porta a porta fatte da ex aspiranti bottegai convertiti in driver e subordinati a ditte localizzate all’estero.
Nel 2011 Mario Monti decise che questi disgraziati, evasori incalliti, spacciatori di denaro contante, pervertiti habitué di Cortina, ma che in verità più spesso facevano due o tre lavori, restando comunque confinati nella no-tax-area, se volevano beneficiare del sussidio ai disoccupati, per loro non era più sufficiente fare domanda all’Inps, bisognava che si facessero censire all’anagrafe dell’Afol.
Ho visto in coda persino il direttore di una radio nascondere la domanda di Naspi, qualcuno lo aveva riconosciuto e credeva che fosse lì per un servizio, per un’inchiesta, per un reportage, per una denuncia, quando invece era lì anche lui per dichiararsi disoccupato, per ingrossare le fila di quanti non avevano lavoro, di quanti, ufficialmente, alitavano sul collo di quelli che un lavoro ancora ce l’avevano, anche se non era per nulla sufficiente a permettere di comprare una villetta a schiera nemmeno a Limbiate, figurarsi a Lainate.
* da http://www.coku.it/
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