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Stellantis. Il nuovo polo europeo dell’auto, nel rigido rispetto delle gerarchie

La  imminente formalizzazione del nuovo polo europeo dell’auto Stellantis, con la fusione della francese Peugeot (PSA) e l’italo-americana Fiat-Chrysler (FCA), è stata salutata positivamente da commentatori e stampa economica.

Una fusione che sulla carta pone Stellantis al quarto posto nella classifica mondiale dei produttori di automobili, con una presenza teoricamente capace di sostenere l’urto della concorrenza mondiale e di affrontare la nuova frontiera della sfida tecnologico-industriale dell’auto elettrica.

Tuttavia, uno sguardo, neanche approfondito, pone alcune questioni. In primo luogo, i poteri interni alla governance del costituendo polo europeo dell’auto: il CDA della nascitura Stellantis prevede la maggioranza dei consiglieri in capo al socio francese che, come noto, avrà alla guida l’attuale amministratore delegato di PSA Tavares, portoghese ma formatosi all’”Ecole Centrale de Paris”.

L’operazione sostanzialmente guidata dal governo francese ne vedrà una robusta partecipazione con il 6,2% delle azioni, ad evidente garanzia degli interessi sovrani francesi.

Una presenza politica con un peso specifico, verrebbe da dire, ben superiore alla quota azionaria del 14% di EXOR, la holding finanziaria della famiglia Agnelli con sede in Olanda.

Il trasferimento della presenza pubblica da PSA nel capitale della Stellantis non costituisce certo una novità, anche la Wolkswagen ha una storica e solida componente pubblica nel suo azionariato, ma dovrebbe dirci qualcosa circa il ruolo pubblico nelle politiche industriali.

Il governo italiano che pure ha sostenuto finanziariamente con un prestito di 6 miliardi EXOR, senza menzionare lo storico sostegno economico dello Stato alla Fiat, ha deciso (?) di starsene fuori dalla porta, evidentemente il destino degli stabilimenti italiani e delle migliaia di lavoratori del settore sono sufficientemente garantiti dalla “mano invisibile” del mercato.

Ed è proprio lo scenario dei mercati un altro aspetto che richiama l’attenzione, a partire dalla diffusa opinione che la capacità produttiva del settore auto è ben oltre le capacità di assorbimento del mercato occidentale, soprattutto europeo, anche post-pandemia.

Sul piano della competizione il ruolo della FCA, con l’inevitabile ridimensionamento della presenza oltre oceano, si riduce proprio all’asfittico mercato europeo e servono investimenti consistenti perché come l’Economist ha rilevato “solo la super mini 500 si vende bene. Mentre la PSA ha dalla sua parte un mercato consolidato sullo scenario asiatico, anche grazie alla partecipazione cinese che, sebbene non abbia presenza azionaria nel capitale Stellantis, garantisce comunque competenze acquisite in un mercato dinamico e con margini di crescita.

Infine, non cero per rilevanza, le competenze nel campo della tecnologia dei motori elettrici vedono la Francia e la Germania come sede di insediamento dei grandi produttori di batterie, anche grazie agli incentivi previsti proprio dalla UE, un settore in cui il nostro paese è drammaticamente assente.

Insomma, parlare di fusione tra PSA e FIAT-CHRYSLER sembra un vero eufemismo, quella in via di realizzazione è una acquisizione, il cui epilogo sembra già scritto: un ulteriore ridimensionamento della capacita produttiva dell’industria italiana, sempre più paese fornitore subordinato e gregario ai veri protagonisti europei nello scenario della competizione.

Una condizione che non è sfuggita neanche a Romano Prodi, che tra l’altro è stato il liquidatore dell’IRI il patrimonio pubblico italiano, che in un intervento sul Messaggero del 10 Gennaio in relazione alla costituzione di Stellantis scrive “l’industria italiana dell’auto si trova in una situazione in cui la difesa dei nostri interessi nazionali è non solo prioritaria,  ma particolarmente urgente” e ancora “ è compito del nostro governo fare in modo che la resurrezione della Fiat non avvenga solo nei suoi impianti serbi ….che i nostri centri di ricerca ritornino a giocare un ruolo d’avanguardia”.

Qualcuno nelle settimane scorse si era spinto ad affermare che con il Recovery Fund e la presunta condivisione del debito, trovava compimento una nuova dorsale dei paesi core della UE, comprendenti Italia, Francia, Germania e Olanda, ostinandosi a non capire che la relazione nei paesi della EU è di tipo gerarchico basato sulla competizione,  e che per scalare le gerarchie serve un apparato statale e una visione strategica capace di sostenerla.

Leggi anche: Il nuovo cda di Stellantis parla francese e non ai lavoratori

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