Lo schema è abbastanza chiaro: “bisogna porre fine al dualismo del mercato del lavor”, dove da una parte ci sono i presunti “garantiti” con contratto a tempo indeterminato, non licenziabili senza “giusta causa” fino a poter ottenere la reintegra sul posto di lavoro da un giudice; dall’altra i precari a vita, prigionieri di ben 43 possibilità contrattuali dverse in mano al padrone.
La soluzione ideale, davvero “egualitaria”, sarebbe cancellare i contratti precari e reintrodurre il contratto a tempo indeterminato per tutti.
Ma questo, ci viene detto, è “improponibile” stante le attuali condizioni dell’economia nazionale e internazionale. Quindi, l'”egualianza” verrà cercata rendendo tutti precari.
Il problema è come farlo senza dirlo così brutalmente. Un ruolo decisivo, sia dal punto di vista tecnico-legislativo che sindacale, lo sta svolgendo il Pd. Che da un lato dispone di consistenti schiere di “esperti” provenienti dal funzionariato sindacale (sia Cgil che Cisl), dall’altra manovra ancora con qualche successo l’evoluzione a “complice” del più grande sindacato italiano, la Cgil.
Lo “scambio politico” è già impostato: via la maggior parte dei 43 contratti “atipici” (che sono una complicazione contabile anche per le imprese) e via le residue tutele, a partire dall’art. 18.
La soluzione concreta capace di mettere d’accordo tutti non appare ancora all’orizzone. Lo si può vedere dalla sommaria ricostruzione fatta dal quotidiano di Confindustria, la cui scivolata più pesante sta nel presentare la “proposta Ichino” come quella “più di snistra” tra le tre provenienti tutte dal Pd. Leggendo tra le righe, però, si noterà che questo “scandaloso” pseudo-sinistrismo di Ichino è rappresentanto soltanto dalla proposta di sostituire il reintegro sul posto di lavoro con un “risarcimento” a carico delle imprese. Detta insoldoni, le imprese vogliono poter licenziare liberamente chi non gli piace (sindacalisti autentici, ma anche portatori d’handicap o “inidonei” per ragioni di servizio), ma pretendono di poterlo fare anche gratis! Non si accontentano mai, hanno la lotta di classe nel dna…
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da Repubblica
L’obiettivo di un contratto unico contro la giungla dei lavori flessibili
Roberto Mania
REGOLE uniche per le pensioni, regole uniche anche nel mercato del lavoro. È l’obiettivo che si è dato il governo Monti. Dopo quindici anni di flessibilità spinta che ha portato a oltre quaranta tipologie contrattuali (dal lavoro in affitto fino al job on call, una vera giungla contrattuale) e che ci lascia, però, un tasso di occupazione giovanile tra i più bassi d’Europa (circa il 47 per cento contro una media Ue che viaggia intorno al 60 per cento), si è deciso di voltare pagina.
Non un ritorno al passato, ormai improponibile nella competizione globale, ma il tentativo di chiudere la lunga stagione del dualismo nel mercato del lavoro: da una parte i protetti dalle leggi e dai contratti, dall’altra i precari quasi senza leggi e diritti contrattuali.
Si prova a chiudere, pure, la presunta contrapposizione tra padri e figli. In fondo l’estensione nella forma pro rata del metodo contributivo per il calcolo della pensione rappresenta il fulcro di un nuovo patto generazionale nell’epoca dei lavori e non più del lavoro standard a tempo indeterminato.
A regime la riforma Fornero permetterà di risparmiare 20 miliardi di euro. Risorse decisive per ridisegnare gli attuali ammortizzatori sociali, nati davvero in un’altra epoca del lavoro.
Le proposte progressiste
Nuovi ammortizzatori sociali, dunque, e nuove regole (omogenee) nel mercato del lavoro, due facce della stessa medaglia. Per ridurre – come ha già detto il premier Mario Monti – l’area della precarietà. Terreno che in questi anni ha continuato a presidiare, nonostante le tante contraddizioni, la sinistra politica.
Le soluzioni in campo 1, infatti, quelle con cui il governo non potrà non fare i conti, sono nate a sinistra e presentate in Parlamento dalla sinistra. C’è la proposta del senatore giuslavorista Pietro Ichino che ha l’ambizione di riscrivere il diritto del lavoro; c’è il “contratto unico” a protezione crescente, nato nelle aule universitarie (i veri ispiratori sono gli economisti Tito Boeri e Pietro Garibaldi) e “adottato” dal senatore Paolo Nerozzi (ex dirigente della Cgil); e c’è anche il “contratto unico di inserimento formativo” firmato da un’ottantina di parlamentari democratici (tra i quali l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano), una “terza via” partita in sordina rispetto alle altre due ma, alla vigilia del confronto tra governo e parti sociali, con qualche chance in più di arrivare al traguardo.
Perché il “contratto prevalente”, così come per ora hanno cominciato a chiamarlo i tecnici del ministero del Lavoro somiglia molto al modello del contratto di inserimento, concepito per tagliare via la stragrande maggioranza dei contratti di lavoro precari.
Le differenze, il nodo dell’art.18
Ci sono differenze non di poco conto tra i tre modelli a confronto, culture diverse e anche costi diversi a carico delle imprese. Ichino propone che le nuove assunzioni siano tutte a tempo indeterminato. Ma che sia anche possibile il licenziamento individuale per motivi economici, tecnici o organizzativi. Senza più il reintegro nel posto del lavoro, nel caso di licenziamento senza giusta causa (come prevede l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), bensì con un’indennità economica di tre anni a carico in buona parte dell’impresa (da qui la sostanziale malcelata ostilità della Confindustria) pari al 90 per cento dell’ultima retribuzione per il primo anno, e poi all’80 e al 70 per cento.
L’idea è quella di rendere il datore di lavoro direttamente responsabile nel progetto di ricollocazione del lavoratore licenziato. Nulla di simile c’è nella proposta Boeri e nel disegno di legge di gran parte del Pd. Entrambi puntano a una graduale stabilizzazione del rapporto di lavoro. Fino a tre anni di prova (l’ingresso nel lavoro), poi il contratto a tempo indeterminato.
Nessun intento di modificare o attenuare lo spettro d’azione dell’articolo 18, mentre c’è l’idea (ne aveva accennato, seppur a titolo personale, la Fornero) di un salario minimo. Un tragitto che sembra aver ispirato le parole di Monti nella conferenza stampa di fine anno sul contrasto alla precarietà, ma anche la formula del “contratto prevalente” che si sta studiando al ministro del Lavoro.
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lo schema
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